Quaderno della Ricerca #11

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I Quaderni della Ricerca

Imparare per competenze Principi, strategie, esperienze Giovanna Benetti, Mariarita Casellato



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I Quaderni della Ricerca

Imparare per competenze Principi, strategie, esperienze

Giovanna Benetti, Mariarita Casellato


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Loescher Editore opera con sistema qualità certificato CERMET n. 1679-A secondo la norma UNI EN ISO 9001-2008 Le autrici ringraziano il Prof. Giuseppe De Puri, Dirigente Scolastico del Liceo “Francesco Cecioni” di Livorno, per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione di alcune esperienze maturate all’interno del Progetto Sperimentale di Revisione Didattico-Metodologica. Un particolare ringraziamento va al Prof. Paolo Eppesteingher per aver sostenuto la realizzazione di tale Progetto e alle docenti che vi hanno partecipato per il senso profondo che hanno saputo dare a questa esperienza. Le autrici ringraziano tutti i loro alunni. Coordinamento editoriale: Laura Trimarchi Realizzazione editoriale e tecnica: Les Mots Libres srl – Bologna Introduzione: Graziella Pozzo Ricerca iconografica: Valentina Ratto Progetto grafico: Fregi e Majuscole - Torino Copertina: Leftloft – Milano/New York; Visualgrafika - Torino Fotolito: A.G. Media – Milano Stampa: Tipografia Gravinese Corso Vigevano, 46 10155 - Torino


«Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.» Primo Levi, La chiave a stella



Indice Introduzione

Costruire competenze a scuola di Graziella Pozzo .

. . . . . . . . . . . . . . . 7

Premessa Un approccio metodologico orientato all’azione .

. . . . . . . . . . . . . .

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Prima parte Una metodologia maturata sul campo: i principi dell’approccio orientato all’azione nell’esperienza di classe 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.

Daniele – Il processo di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Filippo – L’approccio azionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Luca – La motivazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marta – La motivazione frustrata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Arianna – La componente umanistico-affettiva . . . . . . . . . . . . . . Alice – L’autenticità e della concretezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valentina – L’apprendimento collaborativo. . . . . . . . . . . . . . . . . Alessandro – L’apprendimento significativo. . . . . . . . . . . . . . . . Mauro – Lo stile di apprendimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La V C – L’autonomia dell’apprendimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . L’insegnante – Ma chi me lo fa fare?! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

31 35 43 53 55 61 69 75 79 87 89

Seconda parte La didattica per competenze in lingua straniera: lo spagnolo 1. 2.

Le competenze e i documenti ufficiali di riferimento . . . . . . . . . . . 93 Osservazione di modelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 Osservazione di modelli di didattica per competenze. . . . . . . . . . . . . 99 Osservazione di modelli tradizionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 5


IMPARARE PER COMPETENZE

3. 4.

Le competenze di cittadinanza. . . . . . . . . . . La valutazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valutazione delle competenze comunicative (A2). .

. . . . . . . . . . . .

119 123 124

. . . . . . . . . . . . . .

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. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Terza parte Diverse discipline, un unico approccio metodologico L’esperienza del Liceo “Francesco Cecioni” di Livorno. . 1.

La motivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 Esempio 1: la matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 Esempio 2: la musica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 Esempio 3: la matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136

2.

La situazione problematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 Esempio 1: la matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 Esempio 2: lo spagnolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138

3.

L’autenticità . . . . Esempio: la fisica . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

143 143

4.

La gradualità della scoperta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 Esempio 1: l’inglese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 Esempio 2: la matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

5.

L’organizzazione dei materiali all’interno del percorso didattico . Esempio: la storia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . .

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6.

La componente umanistico-affettiva. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 Esempio 1: l’italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 Esempio 2: il latino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162

7.

Conclusioni.

Bibliografia .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Introduzione Costruire competenze a scuola di Graziella Pozzo

Quali competenze per le nuove sfide? Viviamo in un’epoca caratterizzata da profondi e rapidi cambiamenti in ambito tecnologico, economico e culturale che determinano nuove forme di organizzazione della vita e della convivenza. La costante evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione comporta l’affermazione di nuovi profili professionali e l’organizzazione sociale è continuamente sottoposta a nuove sfide, dettate anche dai limiti ecologici connessi alla crescita economica. Come risponde il sistema educativo ai complessi processi di cambiamento in atto? In Italia, come negli altri paesi europei, le politiche educative hanno risposto proponendo il passaggio da una scuola delle conoscenze a una scuola delle competenze all’interno di una prospettiva che rovescia il punto di vista tradizionale: dall’insegnamento all’apprendimento, dalla centralità del docente e della disciplina alla centralità dell’apprendente e dei suoi processi, dalla riproduzione alla competenza d’azione. Tutto ciò non può lasciare inalterata una didattica di natura prevalentemente trasmissiva che dà allo studente soprattutto il ruolo di ascoltatore, ma richiede al contrario una didattica attiva e laboratoriale, basata sull’agire dello studente. Più che impegnato a rispondere in modo passivo alle sollecitazioni dell’insegnante, lo studente andrà impegnato in prima persona a gestire e a risolvere situazioni problematiche, a prendere decisioni, da solo o in collaborazione con i compagni, imparando in questo modo a gestire emozioni e relazioni e a costruire contestualmente le proprie competenze. In questa prospettiva, conoscenze e abilità acquistano valore soprattutto se usate per dare senso al mondo e per guidare l’azione. Conosciamo bene le difficoltà che molti alunni incontrano quando imparano cose di cui non capiscono il senso o lo scopo. Per questo, come si vedrà meglio più avanti, nella didattica per competenze diventano importanti non solo le conoscenze e le abilità, ma anche quegli atteggiamenti fisici, emozionali e cognitivi che portano lo studente a reagire in modo appropriato a nuove situazioni. 7


IMPARARE PER COMPETENZE

Le competenze infatti non riguardano semplicemente il piano del saper fare ma quello del saper agire in situazioni problematiche complesse. In una situazione problematica si studia e analizza il problema, si fanno ipotesi, si immaginano soluzioni e le si perseguono mettendo in atto strategie, attivando processi di ordine superiore, interpretativi e di transfer, diversi dai processi di ordine inferiore legati alla ripetizione e all’applicazione dei concetti appresi. Qui si tratta, a seconda dei contesti, di saper individuare, gestire e risolvere situazioni problematiche, saper progettare, saper reperire ed elaborare informazioni, saper stabilire collegamenti, saper comunicare con gli altri... Ma anche saper gestire emozioni e stress, saper collaborare... E ancora, saper prendere decisioni, sentirsi responsabile, sapersi autoregolare e autovalutare. Per sapersela cavare nelle diverse situazioni occorre quindi sviluppare, accanto alle competenze disciplinari, anche le competenze sopra elencate, che sono trasversali ai vari ambiti. Esistono oggi diversi quadri di riferimento e repertori di competenze trasversali, ma al di là delle varie formulazioni, quello che conta è che tali competenze vengano riconosciute e sviluppate nei contesti scolastici in tutte le discipline. Riportiamo qui i tre elenchi più diffusi. a. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Le competenze per l’apprendimento permanente1 Comunicazione nella madrelingua Comunicazione nelle lingue straniere Competenze di base in matematica, scienze e tecnologia Competenza digitale Imparare a imparare Competenze sociali e civiche Spirito di iniziativa e intraprendenza Consapevolezza ed espressione culturale

b. Le competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria2 1. Imparare a imparare 2. Comunicare

1. Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006 / 962 / CE), Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 30/12/2006 (http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-policy/doc44_en.htm). 2. Ministero della Pubblica Istruzione, Il nuovo obbligo di istruzione: cosa cambia nella scuola? La normativa italiana dal 2007, Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ex Indire), Firenze 2007.

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introduzione

3. 4. 5. 6. 7. 8.

Collaborare e partecipare Individuare collegamenti e relazioni Acquisire e interpretare l’informazione Agire in modo autonomo e responsabile Progettare Risolvere problemi

c. Life skills (OMS3) 1. Decision making 2. Problem solving 3. Pensiero creativo 4. Pensiero critico 5. Comunicazione efficace 6. Capacità di relazioni interpersonali 7. Auto-consapevolezza 8. Empatia 9. Gestione delle emozioni 10. Gestione dello stress

Nuova prospettiva, nuove parole chiave Esaminando la normativa che regola questo nuovo approccio didattico, è interessante osservare il cambiamento di alcune parole chiave, indice del cambio di prospettiva: da programma a curricolo, da materie a discipline, da conoscenze a competenze. Il programma, centrato sui contenuti da apprendere riferiti soprattutto alle conoscenze, viene sostituito con il curricolo, inteso come il percorso da fare insieme con gli studenti. Il curricolo risponde infatti all’esigenza di mettere al centro dell’apprendimento lo studente con il proprio bagaglio di conoscenze, esperienze e risorse e di fornire strumenti concettuali dinamici adatti a leggere in modo critico un mondo in continuo cambiamento. Anche il passaggio dalle materie alle discipline non è banale: se materia sembra suggerire un oggetto inerte, disciplina implica che ogni area di studio ha un suo metodo di lavoro che va insegnato e appreso contestualmente ai contenuti. Ancora più problematico è il passaggio dalle conoscenze alle competenze. Poiché la nozione di competenza viene utilizzata anche dal mondo dell’im3.

Organizzazione Mondiale della Sanità, Skills for life, 1, 1992.

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IMPARARE PER COMPETENZE

presa, da parte di alcuni è sorto il dubbio che tale approccio rispondesse a una logica prevalentemente utilitaristica. Pur non negando che le competenze rispondano anche a tale logica, per evitare schematizzazioni e valutazioni affrettate vale la pena di entrare nello specifico del costrutto. Si vedrà come, privilegiando l’azione, le competenze richiedano di rendere operativi i saperi.

Il costrutto competenza Consideriamo due definizioni di competenza. Pellerey la definisce come «la capacità di far fronte a un compito riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a usare quelle esterne disponibili per affrontare positivamente una tipologia di situazioni sfidanti»4. Nella normativa che regola l’Obbligo Scolastico, derivata dal Quadro Europeo dei Titoli e delle Qualifiche (EQF – European Qualification Framework5), la competenza viene definita come «la capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia»6. Competenza è dunque un costrutto complesso che comprende non solo le conoscenze (il sapere) e le abilità (il saper fare), ma anche il saper essere (atteggiamenti e disposizioni) e il saper imparare. Sono comprese nel sapere le conoscenze empiriche, legate alla propria esperienza, e le conoscenze specifiche, per esempio linguistico-culturali; tra queste, la conoscenza dei modelli di declinazione in una determinata lingua, la conoscenza delle pratiche alimentari e sessuali e di come in certe culture a esse possano associarsi dei tabù e dei riti, oppure delle connotazioni religiose. Il saper fare riguarda le abilità intese come schemi operativi o procedure di routine. Così, in ambito linguistico-comunicativo sono abilità il saper ricorrere a una routine conversazionale (come si ordina al ristorante, come si compra un biglietto per il cinema…), saper impostare una lettera, saper trovare una parola sul dizionario, sapersi orientare facilmente in un centro di documentazione, sapere utilizzare i mezzi audiovisivi e il web come risorse per l’apprendimento.

4. M. Pellerey, Le competenze individuali e il Portfolio, ETAS, Milano 2004. 5. Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente cit. 6. Pellerey, Le competenze individuali e il Portfolio cit.

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introduzione

Il saper essere è una dimensione meno visibile, che riguarda le caratteristiche individuali, gli atteggiamenti e le disposizioni ad agire, come per esempio la disponibilità a prendere l’iniziativa e a correre rischi nella comunicazione faccia a faccia per evitare di far cadere la comunicazione, ma che riguarda anche i processi motivazionali, volitivi e socio-affettivi di cui è ben noto il ruolo nell’apprendimento7. Sovraordinato a questi tre saperi è il saper imparare, che rimanda alla metacognizione: riflettere sulle proprie azioni e strategie sviluppa la consapevolezza dei propri punti di forza e delle proprie criticità e porta anche al controllo del proprio apprendimento8. Contrariamente a quanto molti sembrano temere, in questo quadro le conoscenze non sono sottovalutate, anzi: esse sono un elemento costitutivo della competenza e diventano parte delle risorse che una persona competente sa, intende e può attivare e mobilitare in un dato contesto.

Dalle conoscenze alle competenze: cosa cambia? Nell’orientamento alla didattica per competenze, cambia la domanda che ci si pone come punto di partenza per delineare l’approccio: da cosa insegnare? a quali condizioni creare perché lo studente impari? Lo spostamento del focus dall’insegnamento all’apprendimento implica un cambiamento di prospettiva. Come in un puzzle, se si cambia un elemento non si possono lasciare inalterati gli altri pezzi: occorre apportare ulteriori modifiche. Vediamo quali aspetti si trasformano in questa nuova prospettiva: • cambia la formulazione degli obiettivi: essi diventano descrittori di competenza e sono espressi con un linguaggio concreto, operativo, trasparente in modo da poter essere controllabili dagli stessi studenti, visto che per evolvere è importante anche l’imparare a imparare e cioè la consapevolezza di cosa si sa o non si sa fare. Per esempio, esplicitare che nella comprensione di un testo narrativo è importante saper cogliere le sequenze, saper cogliere il punto di vista di chi racconta, significa fornire agli alunni dei dispositivi concettuali di controllo durante l’esecuzione di un dato compito, oltre che naturalmente fornire a insegnante e alunno dei parametri utili per valutare le prestazioni; 7. Si vedano, tra gli altri, D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1997 e D. Goleman, Intelligenza sociale, Rizzoli, Milano 2006. 8. Si vedano, tra gli altri, L. Mariani, G. Pozzo, Stili, strategie e strumenti nell’apprendimento linguistico. Imparare a imparare. Insegnare a imparare, La Nuova Italia, Firenze 2002 (oggi disponibile sul sito Lend, www.lend.it) e M. Pellerey, Competenze. Conoscenze, Abilità, Atteggiamenti, Tecnodid, Napoli 2010.

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IMPARARE PER COMPETENZE

• cambia la natura delle attività: accanto alle esercitazioni per segmenti discreti, sequenziali, che portano per lo più a risposte convergenti, si proporranno compiti complessi, situazioni problematiche di natura aperta che non richiedano risposte precostituite ma, al contrario, interpretazioni e soluzioni anche divergenti, soprattutto se l’attività verrà condotta in una dimensione collaborativa; • cambia il ruolo dello studente: lo studente assume un ruolo attivo e propositivo, teso verso una meta condivisa, finalizzato alla ricerca di soluzioni e quindi attivatore di strategie e di processi cognitivi superiori; • cambia il ruolo dell’insegnante: l’insegnante, da decisore assoluto, diventa mediatore, guida e sostegno nel processo di apprendimento; • cambia l’uso del tempo: oltre al tempo del fare è previsto il tempo per fermarsi a riflettere sul fare, per rilevare punti di forza ed errori; si tratta di un momento metacognitivo indispensabile per l’autoregolazione verso l’autonomia; • cambia il modo di considerare l’errore: da aspetto da sottoporre a giudizio, o peggio, a censura, l’errore diventa risorsa e “finestra” sul mondo cognitivo dell’allievo; • cambia la stessa idea di valutazione9, che riguarderà non solo gli esiti ma anche i processi; non solo le conoscenze acquisite ma anche l’uso che un alunno sa fare delle risorse, le strategie che sa mettere in campo per superare ostacoli e difficoltà e l’atteggiamento con cui affronterà un dato compito: un atteggiamento di apatia? Di curiosità? Di disponibilità a cogliere le sfide? Guardare a ciò che l’alunno riesce a fare invece che a ciò che l’alunno non sa fare rende la valutazione non giudicante, e ciò potrebbe avere anche un ruolo non secondario sulla sua motivazione e quindi sulla sua voglia di mettersi alla prova. In quest’ottica la scuola viene considerata non come luogo di trasmissione di un sapere universale, ma come luogo di costruzione del sapere a partire da attività situate10, in cui le competenze disciplinari, ma anche quelle trasversali, si possano sviluppare agendo in un ambiente socialmente ricco, aperto all’esplorazione e alla scoperta, alla condivisione e al confronto, visto che l’istanza principale non è più “finire il programma”, ma affrontare in modo attivo e approfondito le questioni nodali della disciplina (“meno, meglio”). In questo modo l’insegnante potrà anche osservare e valorizzare nelle pre9. Si vedano, tra gli altri, G. Wiggins, Assessing Student’s Performance, Jossey Bass, San Francisco 1993; M. Castoldi, Valutare per competenze, Carocci, Roma 2009 e G. Pozzo, Fare il punto sulla valutazione, in «Lend, Lingua e Nuova Didattica», 1, 2011. 10. P. Boscolo, Costruire l’apprendimento, in «Rivista dell’Istruzione», 1, 2013.

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introduzione

stazioni tutti quegli atteggiamenti e quelle qualità dinamiche che sono predittivi dello sviluppo di competenze, come la voglia di esplorare, la disponibilità a porre domande e problemi, lo sforzo di capire, la voglia di mettersi in gioco, il saper rischiare e il saper affrontare situazioni incerte.

Idea di apprendimento, idea di lingua e competenza comunicativa Per poter operare scelte metodologiche ragionate in una prospettiva di sviluppo della competenza comunicativa può essere utile esplicitare le idee di apprendimento e di lingua sottese. Nelle ricerche sull’apprendimento, la neurobiologia ha ampliato la nostra comprensione dei processi: essi sono individuali, attivi e olistici e si basano sulle conoscenze ed esperienze previe, che portano a un cambiamento persistente nei comportamenti e negli atteggiamenti. Si impara e si amplia la propria competenza d’azione a partire dalle proprie esperienze e percezioni in situazioni concrete, nel dialogo con gli altri, in un clima di fiducia e di apprezzamento. In primo piano non vi sono più l’accumulazione e la memorizzazione di conoscenze interrogabili, ma la capacità di selezionare le informazioni in modo finalizzato a trasformarle in un agire significativo e rilevante per la pratica. Ciò richiede, nel processo, di sviluppare la capacità di affrontare l’incertezza e gestire emozioni e stress. Come per altro ben esplicitato nel QCER11, più che dalla metafora del “vaso vuoto” l’apprendente è meglio rappresentato da quella del “bagaglio appresso”, che mira a valorizzare le competenze generali e le risorse che ogni studente già possiede: l’apprendimento linguistico viene favorito se l’apprendente viene stimolato e sa attingere alle proprie risorse personali. In quest’ottica diventano centrali i processi e le strategie che l’apprendente mette in atto quando ascolta, interagisce, legge e scrive, e cioè mentre sviluppa competenze. Per quanto riguarda l’idea di lingua, negli ultimi cinquant’anni si è registrata un’evoluzione da un pensiero di tipo strutturale – lingua come insieme di strutture di cui occorre conoscere le regole combinatorie per poterla usare – all’idea di lingua come comunicazione. Saper usare la lingua non significa tanto saper manipolare strutture quanto saper agire socialmente e veicolare intenzioni, e di conseguenza saper scegliere le forme linguistiche adatte al contesto. Nell’insegnamento linguistico lo spostamento è stato dalla lingua come forma (cos’è la lingua) alla lingua come funzione (a che cosa serve); dalla 11. Consiglio d’Europa, Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione, La Nuova Italia-Oxford, Firenze 2002.

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IMPARARE PER COMPETENZE

lingua come sistema di regole alla lingua come strumento per raggiungere uno scopo comunicativo. Obiettivo prioritario dell’insegnamento delle lingue straniere diventa allora lo sviluppo di competenze che permettano di comprendere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni, e di interagire in forma sia orale sia scritta per operare in modo appropriato in una varietà di contesti sociali e culturali a seconda delle esigenze individuali. Per fare ciò diventa fondamentale potersi confrontare con esperienze e situazioni simili e/o diverse dalla propria, il che significa sviluppare anche la capacità di comprensione interculturale e la capacità di mediazione. Senza dimenticare che, in un mondo caratterizzato da una mobilità crescente, saper comunicare in più lingue straniere diventa la chiave per accedere a mondi diversi dal proprio, per superare barriere linguistiche e per affrontare contesti di interazione culturale in continua evoluzione (da qui la scelta di inserire il possesso di una o più lingue straniere tra le competenze chiave per l’apprendimento permanente individuate dall’Unione Europea).

Le nuove coordinate per progettare un curricolo per competenze In questa nuova prospettiva, gli elementi della programmazione vanno rivisitati tenendo conto delle nuove coordinate, che includono: • l’area di competenza e gli Assi culturali12; • i nuclei fondanti, le conoscenze, i concetti, le abilità e i processi nei vari ambiti disciplinari; • i traguardi, cioè dove si vuole portare l’alunno rispetto alla competenza considerata; • i compiti di apprendimento, compiti significativi per la disciplina e significativi per gli studenti in quanto collegati alle loro esperienze, tali da offrire contesti al cui interno si costruiranno conoscenze e si attiveranno i processi da valutare; • gli strumenti metacognitivi di riflessione sui processi attivati per lo sviluppo della consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza; • gli strumenti di valutazione e autovalutazione: non solo le prove finali che permettono di inferire il livello di competenza raggiunto (valutazione sommativa: dell’apprendimento), ma anche gli strumenti per documentare e monitorare i processi (valutazione formativa: per l’apprendimento).

12. Ministero della Pubblica Istruzione, Il nuovo obbligo di istruzione cit.

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introduzione

La prospettiva azionale, ovvero dall’esercizio al compito Stabilito che le competenze non privilegiano l’utilitarismo ma l’azione, le scelte didattiche e i compiti proposti saranno volti all’agire comunicativo, all’imparare facendo, tenendo conto dei bisogni, delle motivazioni e delle risorse degli apprendenti, definendo obiettivi validi e realistici, progettando materiali e compiti adatti al livello di competenza ipotizzato, mettendo a punto strumenti di valutazione adeguati. Fare: che cosa? La parola chiave è compito, inteso in primo luogo come azione significativa e concreta che gli alunni realizzano da soli o in una dimensione collaborativa, imparando tutto ciò che serve per portarla a termine; ma il compito è inteso anche come luogo dove si sviluppa e si manifesta una competenza; e, infine, come spazio delimitato da “vincoli” entro il quale attivare tutte le risorse disponibili: interne (ciò che si sa e si sa fare, la voglia di mettersi in gioco e di farcela) ed esterne (i compagni, gli strumenti come il libro di testo o il dizionario); uno spazio in cui poter trasferire quanto si sa o si sa fare in contesti nuovi (transfer). Fare: come? Poiché i processi e le strategie si attivano solo in contesti precisi, diventa centrale nell’insegnamento una riflessione sul tipo di lavoro da compiere e sulla creazione di un ambiente di apprendimento che favorisca la loro attivazione mentre si agisce, negoziando i significati, utilizzando una lingua autentica, da modulare in base al contesto, riflettendo sul fare e sull’apprendere, promuovendo attraverso la capacità di autovalutarsi un crescente livello di autonomia. Il compito si differenzia dall’esercizio in quanto è focalizzato sul significato e sulla dimensione pragmatica della lingua, anziché sulla forma. Mentre l’esercizio riguarda aspetti “discreti” di conoscenza e richiede di attivare processi mnestici più che capacità operative e ragionamenti, il compito, riproducendo le sfide del mondo reale, risponde meglio alla logica della complessità. Nel compito si parte da una situazione problematica e da uno scopo che diventa anche la meta da raggiungere. La ricerca di una soluzione mette in moto tutte le risorse disponibili, non solo conoscenze e abilità, ma anche strategie, atteggiamenti e capacità di controllo dei processi. Per questo, come vedremo tra breve, la valutazione diventerà un’operazione complessa, diversamente dalle soluzioni binarie giusto/sbagliato proprie dell’insegnamento trasmissivo. Vediamo meglio alcune caratteristiche del compito: • presenta uno scopo che porta a una meta. Lo scopo dell’azione rimanda al perché ci si dovrebbe impegnare: per fare cosa? Per arrivare dove? Solo se lo scopo è chiaro e condiviso l’alunno troverà lo stimolo necessario per provarsi a usare le risorse disponibili per raggiungerlo. Così, cercherà in ogni 15


IMPARARE PER COMPETENZE

modo di cavarsela usando la lingua disponibile, anche se limitata, e metterà in moto strategie compensative o di evitamento; cercherà di essere fluente, più che corretto; ricorrerà alle risorse extralinguistiche, come l’uso di gesti, quando la lingua non lo sostiene; e, soprattutto, mostrerà impegno nel compito non demordendo di fronte agli ostacoli, ma attivando una serie di strategie per evitare le difficoltà (per esempio strategie di riformulazione con uso di circonlocuzioni) pur di perseverare nel raggiungimento dello scopo. Ciò non significa abbandonare l’obiettivo della correttezza. Il percorso per il raggiungimento dello scopo sarà infatti costellato di microattività di rinforzo e consolidamento focalizzate sulla forma nonché di attività di riflessione linguistica mirate a sviluppare la consapevolezza dei vari aspetti linguistici, testuali e pragmatici messi in gioco nei compiti; • è significativo per il discente e per la disciplina. Per essere significativo il compito dovrà non solo essere contestualizzato e riguardare situazioni che siano agganciabili alla realtà dell’apprendente, ma dovrà anche portare ad apprendere nuove conoscenze e abilità per far evolvere la competenza. Per esempio, nelle discipline linguistiche, compiti a misura di allievo, con un riscontro nel suo mondo, potranno impegnare e coinvolgere l’alunno nella soluzione di situazioni problematiche autentiche mirate a un agire sociale; ad ascoltare o leggere istruzioni per poter agire; ad ascoltare o leggere descrizioni per realizzare un disegno; a progettare domande per realizzare un’intervista; a leggere le risposte, a tabularle e realizzare grafici; a preparare presentazioni in PowerPoint; a negoziare nel gruppo le modalità di progettazione di una locandina; • è aperto e complesso (vs esercizi manipolativi). Diversamente dall’esercizio, che è semplice in quanto riguarda elementi discreti di conoscenza e attiva processi di riconoscimento basati sulla memoria più che sul ragionamento, il compito è complesso perché, riproducendo le sfide del mondo, è aperto a più soluzioni (vedi Tabella 1). Esercizio

Compito

è chiuso

è aperto

è discreto, monodimensionale

è complesso, attiva più competenze

è attento alla forma (accuratezza)

è attento al significato

prevede una sola soluzione

Prevede più soluzioni

Attiva strategie basate sulla riproduzione

Attiva strategie basate sul ragionamento

è autocorrettivo

è controllabile in base a criteri

Tabella 1 Esercizio vs compito

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introduzione

Nel compito si parte da una situazione problematica: la ricerca di una soluzione mette in moto atteggiamenti, conoscenze, capacità operative e di controllo dei processi. Essendo complesso, il compito richiede risposte articolate e quindi l’attivazione dei processi cognitivi superiori, oltre alla capacità di operare un transfer e, cioè, di trasferire sapere e saper fare in contesti nuovi. Per lo studio grammaticale, si individueranno via via i momenti utili per esercitare e fissare le forme e per condurre una riflessione linguistica sui vari aspetti, grammaticali, lessicali, testuali e pragmatici messi in gioco dal compito; • è delimitato da vincoli. Sono vincoli il tempo a disposizione per svolgere il compito, la modalità di lavoro, la lunghezza di un testo scritto. Portare l’alunno ad agire all’interno di vincoli sviluppa il senso di responsabilità e permette di osservare quanto egli sappia muoversi entro cornici delimitate, una competenza trasversale richiesta in molte occasioni della vita, ogni volta cioè che si deve operare all’interno di vincoli, fisici o sociali. In questo senso il rispetto dei vincoli può diventare anche un criterio da inserire in una rubrica valutativa: “sa tener conto dei vincoli posti dal compito”; • valorizza la dimensione collaborativa, in quanto è attento al potenziale di apprendimento e al suo sviluppo anche attraverso l’interazione con l’insegnante e i compagni; • si realizza con una didattica laboratoriale. Operando per problemi, la didattica laboratoriale si muove tra i due poli della sfida e del sostegno, della complessità e della facilitazione. Diversamente da un approccio analitico step-by-step che stimola un uso linguistico controllato e quindi corretto, nella didattica laboratoriale l’alunno viene stimolato a esplorare e a provarsi, mentre l’insegnante interviene non solo per sfidare gli alunni, ma anche per sostenerli nel processo, per esempio spezzettando un compito complesso per renderlo più gestibile; oppure proponendo di lavorare attraverso il confronto con i compagni; o ancora, venendo incontro ai diversi stili cognitivi fornendo supporti visivi e uditivi o proponendo attività di movimento13; • la valutazione è autentica e formativa: si valutano non solo le prestazioni ma anche i processi, sulla base di criteri espliciti e condivisi tali da favorire anche l’autovalutazione. Ma questo punto merita di essere approfondito ulteriormente.

13. Si veda Mariani, Pozzo, Stili, strategie e strumenti nell’apprendimento linguistico. Imparare a imparare. Insegnare a imparare, cit. per esempi di compiti specifici orientati alle differenze individuali.

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IMPARARE PER COMPETENZE

Per una valutazione autentica, contestuale all’agire Poiché la competenza non è direttamente osservabile ma può solo essere inferita, occorre dotarsi di modalità e strumenti di valutazione che permettano di osservarla là dove si manifesta e che prendano in considerazione non solo gli aspetti più facilmente misurabili, come i saperi, ma anche quelli più complessi, senza perdere di vista la fruibilità: gli strumenti dovranno essere agili e facilmente gestibili. Non si apprende per essere valutati, ma si valuta per apprendere: questa affermazione sembra di buon senso. Ma nella realtà quanto si pratica una valutazione mentre si impara, durante il processo, tale da favorire l’apprendimento (valutazione per l’apprendimento o valutazione autentica)? E come la si pratica? Come fare perché essa non risulti sanzionatoria ma, al contrario, possa aiutare gli alunni a migliorare e possa quindi ricadere subito sul loro processo di apprendimento, per diventare così formativa? Rimandiamo alla Tabella 2 per considerare le differenze tra valutazione dell’apprendimento e valutazione per l’apprendimento, precisando che entrambe sono necessarie ma rispondono a esigenze diverse, e che solo una valutazione contestuale all’apprendere permette all’insegnante di dare un feedback immediato alle prestazioni degli alunni e di sostenere i singoli alunni durante il processo. Valutazione dell’apprendimento

Valutazione per l’apprendimento

è separata dal processo di apprendimento

è integrata nel processo di apprendimento

Si concentra sulla preparazione alle prove

Si concentra sul capire

Prende in considerazione i risultati

Prende in considerazione i processi

è implicita negli scopi, nei criteri e nei traguardi

è esplicita negli scopi, nei criteri e nei traguardi

Si comunica con un punteggio, un giudizio, un voto

Si realizza come dialogo tra insegnante e studenti

Non ricade sull’apprendimento

Ricade sull’apprendimento

Segue un’ottica di deficit (pone l’accento sugli errori)

Segue un’ottica di potenziamento (tiene conto di ciò che lo studente sa/sa fare e delle potenzialità)

Tabella 2 Valutazione dell’apprendimento vs valutazione per l’apprendimento

La valutazione per competenze dovrà dunque dotarsi di dispositivi che permettano di osservare la competenza nel suo evolversi da punti di vista diversi, dell’insegnante ma anche dei singoli alunni, e di rilevare anche aspetti complessi come le percezioni, i processi, gli atteggiamenti. Diventeranno allora utili l’osservazione dell’insegnante, la riflessione metacognitiva e l’au18


introduzione

tovalutazione degli allievi, le rubriche valutative. E sarà correlando i diversi punti di vista che si avrà un quadro più completo dello stato di cose. Non solo: se usati insieme, questi strumenti renderanno la valutazione un dispositivo dialogico anziché sanzionatorio. Ciò può avvenire a due condizioni: che la valutazione venga condotta sulla base di criteri chiari ed espliciti e che i criteri siano condivisi (o costruiti) con gli allievi. Così, per esempio, in un’attività di lettura insegnante e alunni potranno osservare il livello delle conoscenze (sapere) e delle abilità (saper fare): se e in quale misura un alunno conosce il lessico, sa fare ipotesi, sa cogliere il senso globale di una storia, sa cogliere relazioni, sa riflettere sul testo e riportarlo alla propria esperienza. Ma diventerà osservabile anche l’atteggiamento con cui un alunno si dispone al compito (saper essere): se e in quale misura manifesta interesse, pone domande, interviene nelle discussioni, dimostra di apprezzare il testo. E ancora, si potranno osservare le strategie messe in atto: se per esempio si attivano strategie di fronte a una parola non nota, e se sì, quali: si usa il contesto? O invece si segue una procedura analitica e deduttiva? Il rapporto tra compito e valutazione, tra agire e valutare cosa si è fatto, è molto stretto. Quando un compito ha un aggancio alla realtà, i criteri di valutazione derivano in gran parte dalla natura del compito, dai processi attivati e dalla natura dell’oggetto prodotto. In questo senso l’insegnante può guidare gli stessi alunni a scoprire i criteri, con una possibile importante ricaduta anche motivazionale, oltre che sul controllo. Non è difficile scoprire insieme e descrivere gli aspetti da valutare. Per esempio, se il compito richiede di scrivere una breve recensione di un libro letto o di un film visto, tre criteri importanti saranno “saper individuare gli elementi principali del libro o del film”, “saper esprimere un’opinione”, “saper scrivere in modo corretto”. Come si vede, individuare tali criteri è un compito a portata di allievo, soprattutto se si lavora in una dimensione collaborativa. La creazione dello strumento di valutazione può così diventare una parte stessa del compito. Se il compito è autentico, i criteri di valutazione non risultano più arbitrari, perché sono derivati da considerazioni che si basano sulla natura del compito stesso, che a sua volta si basa su variabili che caratterizzano anche l’agire sociale (più che la dimensione scolastica). L’esperienza conferma che quando si valuta per favorire l’apprendimento, e non per sanzionare, quando la valutazione viene condotta in modo trasparente, cambia il modo di lavorare e di vivere la scuola, con una serie di vantaggi: insegnante e alunni sono informati in ogni momento su progressi o difficoltà; l’alunno può autovalutarsi e grazie al feedback dell’insegnante sa cosa fare per migliorare; l’insegnante ottiene informazioni preziose sull’efficacia del proprio insegnamento e sa cosa modificare rispetto a quanto progettato. E così il cerchio si chiude. 19


IMPARARE PER COMPETENZE

Progettare esplicitando conoscenze, abilità, processi e competenze in gioco permette di individuare indicatori chiari attraverso indicatori chiari l’insegnante può condurre osservazioni puntuali nel corso del processo osservazioni puntuali permettono all’insegnante di offrire agli alunni un sostegno mirato. indicatori chiari permettono di definire criteri di valutazione trasparenti criteri di valutazione trasparenti permettono all’alunno di controllare quanto fa criteri di valutazione trasparenti permettono all’alunno di capire la valutazione dell’insegnante l’alunno può autovalutarsi e valutare le prestazioni dei compagni.

L’ambiente di apprendimento Per Le Boterf14, per poter agire con competenza sono necessarie tre condizioni: • saper agire: in una data situazione il soggetto deve avere le risorse per svolgere il compito richiesto e deve saperle mobilitare; • voler agire: il soggetto deve avere una motivazione personale che influirà sulla qualità dell’impegno e sulla perseveranza nel portare avanti e completare una data operazione o compito; • poter agire: il contesto deve consentire e legittimare l’assunzione di responsabilità e il correre rischi anche attraverso il confronto con gli altri. Di particolare rilevanza per il discorso che si va qui sviluppando sono la seconda e terza condizione. Il voler agire, che sembrerebbe una condizione dipendente esclusivamente dal soggetto, tocca in realtà il complesso fattore delle motivazioni. Essere coinvolti a fare, essere impegnati nella costruzione condivisa e nell’interpretazione di significati può stimolare la motivazione intrinseca, là dove un ruolo passivo porta invece a inibirla. Allo stesso modo sentirsi accolti ma anche

14. G. Le Boterf, Costruire le competenze individuali e collettive, Guida, Napoli 2008.

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introduzione

stimolati da una giusta sfida predispone a persistere anche in caso di difficoltà. Il poter agire rimanda invece alle condizioni del contesto. Poiché l’apprendimento avviene in contesti precisi, occorre che l’insegnante abbia cura della qualità dei contesti: l’ambiente di apprendimento favorisce l’attivazione di processi e di strategie? In quale misura l’alunno può agire, può fare domande, può esprimere le proprie idee? In quale misura le sue domande e le sue idee vengono valorizzate o invece ignorate? Può confrontarsi e discutere? Può riflettere sul fare e sull’apprendere? Si tratta quindi di creare un ambiente attento al potenziale di apprendimento degli alunni e al loro sviluppo anche attraverso l’interazione tra l’insegnante e la classe. Le caratteristiche di un ambiente di apprendimento possono essere racchiuse in poche parole chiave, quelle che altrove ho chiamato “Il fattore C”15: • coinvolgimento; • contenuti significativi; • competenza comunicativa; • compiti complessi, significativi; • condivisione, collaborazione, confronto; • consapevolezza e controllo; • clima. Il lettore non mancherà di trovare in questo volume, nella varietà dei casi e degli esempi forniti, diversi spunti utili a illustrare ognuna di queste parole chiave. Tali parole possono servire anche a definire una serie di domande da utilizzare come guida procedurale nella progettazione e nella valutazione di compiti complessi (vedi Tabella 3). Il compito…

• riguarda un punto nodale della disciplina? • esplicita lo scopo del lavoro e il punto d’arrivo (la meta)? • si aggancia alla realtà del discente, lo coinvolge e gli assegna un ruolo attivo? • stimola ad agire anziché a mostrare di sapere? • sviluppa strategie? • è attento agli stili di apprendimento? • richiede cooperazione, negoziazione di significati e confronto con i compagni? • incoraggia la riflessione metacognitiva sul come si impara? • suggerisce i criteri in base ai quali condurre la valutazione? • è sotto il controllo dell’alunno e rende possibile l’autovalutazione? Tabella 3 Una guida procedurale di controllo del compito

15. G. Pozzo, Quale ambiente per l’apprendimento?, in «Insegnare Dossier», 2011.

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IMPARARE PER COMPETENZE

Questo volume: un’opera a misura di insegnante Non è perché si riesce a fare un esercizio che si sa. Sapere non è saper restituire quello che si è ricevuto, né soltanto aver compreso. Significa saper riutilizzare ciò che si sa quando serve, senza che l’insegnante ce lo chieda! G. De Vecchi, évaluer sans dévaluer16

Quanto scrive De Vecchi è del tutto consonante con, e complementare alla frase scelta dalle autrici come epigrafe alla Premessa: Non perché il docente lo dice l’alunno lo apprende. In entrambi i casi, infatti, l’attenzione è rivolta alla centralità dell’alunno e al processo di apprendimento, alla necessità di coinvolgere in modo significativo e profondo l’apprendente in operazioni complesse con una particolare attenzione alle condizioni dell’apprendimento. Questo volume si distingue da altri lavori di impianto più teorico per una serie di motivi: per la struttura, per la lingua usata, per il taglio squisitamente operativo, radicato nella pluriennale esperienza delle autrici, per la continua ricerca di coerenza tra il dire e il fare, ovvero tra teoria e pratica. In primo luogo è originale la struttura del volume, suddiviso in tre sezioni. La Prima parte contiene la presentazione di casi vissuti dalle autrici, qui usati come spunto per illustrare principi metodologici e strategie (per altro molto simili alle parole chiave sopra individuate). La Seconda parte, dedicata all’insegnare per competenze, usa l’accorgimento retorico del confronto per opporre in modo piuttosto netto – e sempre con abbondanza di esempi – un approccio per competenze orientato all’azione a un approccio di impianto più tradizionale. Le riflessioni non si limitano tuttavia alla sola competenza linguistico-comunicativa. Il discorso si apre infatti anche alle competenze trasversali, o competenze chiave di cittadinanza. L’apertura al trasversale e al sovra-disciplinare si chiarisce bene nella Terza parte, in cui la didattica per competenze viene illustrata nei diversi ambiti disciplinari, con esempi concreti tratti da una sperimentazione pluriennale condotta nella scuola di una delle due autrici; questa parte mostra come sia realizzabile un percorso fedele al principio della coerenza – ribadito in più punti del testo – non solo tra il dire e il fare, ma anche nell’ambito delle decisioni del consiglio di classe, fondamentali se si ha a cuore l’orientamento degli alunni e lo sviluppo di comportamenti responsabili e autonomi.

16.

G. De Vecchi, évaluer sans dévaluer, Hachette, Paris 2011, trad. di G. Pozzo.

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introduzione

È inoltre interessante l’uso della lingua, che viene modulata in base al tipo di discorso portato avanti. Così, l’illustrazione dei casi avviene con un linguaggio rapido, analogico, informale, che per molti versi mima quello dei ragazzi, mentre il linguaggio diventa meno informale quando si illustrano i principi metodologici sottesi o i modi di gestirli. Ancora, la scelta di affidare a casi reali e a una miriade di esempi pratici l’illustrazione di principi metodologici rende questo volume molto concreto e utile: l’attenzione alle scelte metodologiche e alla centralità dell’apprendente, con le sue motivazioni e i suoi processi, fa sì che le parole chiave sopra individuate si intreccino continuamente per formare un tessuto dalla trama solida, arricchita da numerosissimi esempi di obiettivi, di compiti di apprendimento, di attività linguistiche, di note metodologiche che rendono il volume a misura di insegnante. Va infine segnalata l’attenzione posta in ogni passaggio alla congruenza tra teoria e pratica, tra l’azione e i principi e valori che la ispirano. È questo, forse, l’aspetto qualitativamente più interessante del volume: se gli esempi non mancheranno di offrire spunti nuovi agli insegnanti di lungo corso e di orientare gli insegnanti di nuova nomina, il suo valore aggiunto, la sua valenza formativa risiede soprattutto nella coerenza sempre perseguita tra principi dichiarati e pratica, per vivere l’insegnamento come un’esperienza ricca e gratificante.

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Premessa Un approccio metodologico orientato all’azione Non perché il docente lo dice l’alunno lo apprende Sonsoles Fernández López ci folgorò con la massima che apre questo capitolo durante il nostro cammino nella didattica: ci trovammo così catapultate in un’avventura che ancora continua. Da allora l’abbiamo seguita nei suoi tanti corsi di aggiornamento, nei suoi seminari e laboratori di metodologia sempre sorprendentemente rivoluzionari per il modo in cui la studiosa approfondisce le tematiche continuamente trattate e mai esaurite. Non è perché il docente l’ha detto che l’alunno lo impara: per molti questa è un’ovvietà, ma a ben vedere, se origliate in sala insegnanti o in qualche consiglio di classe, vi imbatterete in frasi come “Io l’ho detto, l’ho spiegato, ma non lo sapeva” o “Non l’ha capito, ma io l’ho detto proprio la settimana scorsa”. Insomma per alcuni è ancora in voga la convinzione che basti spiegare un determinato argomento perché magicamente l’alunno, solo per averlo sentito menzionare o spiegare dal professore, possa introiettarlo, assimilarlo, apprenderlo. Ma non è così. La nostra lunga esperienza maturata sul campo ci offre una serie di spunti di riflessione di tipo metodologico, che andremo a presentare nel corso della prima parte di questo volume. In questo contesto non è importante precisare a chi è riconducibile l’esperienza citata, ma è importante piuttosto la condivisione delle riflessioni che ne conseguono. Le esperienze vengono quindi presentate in prima persona, sia per quanto appena detto, sia per una maggiore spontaneità e autenticità. Per ovvi motivi di privacy, pur trattandosi di nostre esperienze personali i protagonisti non sono riconducibili a quelli reali. Iniziamo con un esempio che rende evidente il significato della metodologia orientata all’azione: – Dove sono le istruzioni per questo mp3? – Quali istruzioni? Non servono le istruzioni, basta che tu inizi a usarlo, poi lo vedi da te. Con questa risposta Cecilia, figlia diciassettenne della mia amica Anna 25


IMPARARE PER COMPETENZE

Maria, liquidò sua madre lasciandole tra le mani un oggetto che non sapeva come usare; lo aveva comprato per ascoltare la sua musica nei momenti di relax, ma stava diventando un motivo di frustrazione: – …lo vedi da te. – Ma che risposta è? Be’, forse pensandoci bene Cecilia non aveva tutti i torti: dicendo “provaci e scoprirai da sola come funziona” stava dando un consiglio a sua madre per imparare facendo, così come fa lei, come fanno tutti i suoi coetanei per apprendere l’uso funzionale di certi marchingegni, più familiari a loro che a noi adulti. Ognuno di noi conosce una gran quantità di aneddoti come questo, e questa storia, simile a tante altre, non vuole affermare che l’alunno vada abbandonato a se stesso – come accadde ad Anna Maria con il suo nuovo lettore mp3 – ma è significativa circa l’efficacia del principio del fare come strategia di apprendimento. Nelle nostre classi ci confrontiamo con un pubblico di adolescenti avvezzi all’apprendere facendo: perché allora continuare a insegnare impartendo nozioni e dando per scontato che ciò di cui abbiamo parlato in classe debba essere stato appreso? Perché non favorire l’apprendimento impegnando i nostri alunni in dinamiche che li accompagnino verso la scoperta del nuovo? Perché non puntare verso l’autonomia dell’alunno? Un alunno capace di avanzare con le proprie risorse superando le tappe, più o meno guidate, della scoperta, è un alunno che ha imparato a imparare, è un alunno autonomo. D’altra parte, l’apprendere facendo non è ciò che ci prescrive anche il secondo capitolo del QCER (Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue)? Qui, alla domanda Quale approccio metodologico?, si fornisce la seguente risposta: L’approccio adottato qui è, in termini generali, orientato all’azione in quanto considera le persone che usano e apprendono una lingua come “attori sociali”, vale a dire come membri di una società che hanno dei compiti (di tipo non solo linguistico) da portare a termine in circostanze date, in un ambiente specifico e all’interno di un determinato campo di azione1.

1. Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione, La Nuova Italia-Oxford, Firenze 2002, p. 11.

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PREMESSA

E ancora: Se gli atti linguistici si realizzano all’interno di attività linguistiche, queste d’altra parte s’inseriscono in un più ampio contesto sociale che è l’unico in grado di conferir loro pieno significato. Si parla di “compiti” in quanto le azioni sono compiute da uno o più individui che usano strategicamente le proprie competenze per raggiungere un determinato risultato. L’approccio orientato all’azione, prende dunque in considerazione anche le risorse cognitive e affettive, la volontà e tutta la gamma delle capacità possedute e utilizzate da un individuo in quanto attore sociale. 2

L’orientamento metodologico del QCER si basa su due concetti fondamentali: 1. la lingua come strumento privilegiato della comunicazione, indispensabile per affrontare e risolvere compiti comunicativi concreti; 2. una lingua motivata da un bisogno reale, da un’autentica necessità di comunicare per svolgere e portare a termine compiti in maniera concreta. Il QCER fa riferimento all’apprendimento della lingua, ma l’apprendere facendo, di matrice socratica, sembra potersi adattare a qualunque altro tipo di apprendimento, cioè anche all’insegnamento di altre discipline scolastiche, come vedremo in seguito (Terza parte). La metodologia allora deve adeguarsi alle nuove esigenze ed essere capace di orientare l’alunno in percorsi di apprendimento efficaci e significativi. Siamo tutti d’accordo su questo principio? Certamente sì, ma come realizzarlo nella pratica di classe? Spesso, al rientro dai corsi di aggiornamento, una serie di interrogativi angustiano i bravi insegnanti: come mettere l’alunno sulla via della scoperta? Con quali strumenti? Con quali strategie? Con quali modalità? Insomma: che cosa faccio da ora in poi quando entro in classe? Nello specifico, l’insegnante di lingua si chiederà: quali compiti comunicativi concreti proporrò ai miei alunni per far sì che la lingua diventi uno strumento di comunicazione autentica? Come faccio a creare negli alunni un reale bisogno di comunicazione? Qualunque approccio metodologico si fonda su principi che guidano lo sviluppo delle lezioni. Inizieremo quindi con l’esame dei nostri principi e delle loro modalità di applicazione alla didattica della lingua straniera; in seguito potremo valutarne l’applicabilità ad altre materie.

2.

Quadro Comune Europeo di Riferimento cit.

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IMPARARE PER COMPETENZE

Per fare questo presenteremo spesso due situazioni contrapposte – corrispondenti una alla didattica per competenze, o didattica azionale, e una alla didattica tradizionale3 – che ci serviranno per mettere meglio in evidenza i punti forti e i punti critici delle due tipologie di approccio, con la consapevolezza che la realtà è molto più sfumata.

3. Con il termine tradizionale intendiamo riferirci a tutti quegli orientamenti metodologici che, pur presentando indiscutibili aspetti positivi, non sono orientati all’acquisizione di competenze.

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Prima parte Una metodologia maturata sul campo: i principi dell’approccio orientato all’azione nell’esperienza di classe



1. Daniele – Il processo di apprendimento Il caso Da quando ho conosciuto Daniele tutte le volte che ho dovuto inviare un curriculum vitae ho pensato che quello che avrei dovuto scrivere avrebbe potuto essere racchiuso in questa semplice frase: “Ho insegnato spagnolo a Daniele per tre anni, ho imparato da Daniele più che dagli oltre settanta corsi di aggiornamento (alcuni durati settimane)”. Daniele è un giovane uomo, non vedente dalla nascita; quando lo conobbi era un ragazzino quindicenne che se ne stava in disparte e in classe comunicava soprattutto con il suo computer, una specie di prolungamento del suo essere che gli permetteva di mantenersi impegnato quando gli altri lavoravano sui libri di testo o svolgevano attività che, inevitabilmente, lo tagliavano fuori dal loro mondo. Inoltre, essendo poco abituato a reagire a stimoli realmente comunicativi durante le lezioni di lingua straniera, si può immaginare quale fatica doveva comportare per lui lavorare in gruppo con gli altri compagni quando il libro di testo lo richiedeva. D’altro canto aveva ragione lui: che divertimento ci poteva essere nel leggere in braille, o nell’ascoltare dalla voce metallica del sintetizzatore vocale, della docente di sostegno o del compagno, la descrizione di una figura, di un disegno, di una foto? Tutto ciò significava per lui lo svelamento anticipato di quello che per i compagni era invece un graduale processo di scoperta. Il rischio era di annullare solo per lui il metodo comunicativo, a favore di un’accozzaglia di approcci diversi ma generalmente tutti diretti verso il metodo grammaticale-traduttivo, molto più facile e immediato per l’insegnante. Ma, ricordate? Non perché l’ho detto in classe i ragazzi l’hanno imparato o lo sanno usare. Che cosa ne sarebbe stato dei suoi processi d’apprendimento? Della sua comunicazione autentica? Delle sue scoperte? Conoscere il mondo per lui era, ed è, non solo un’esperienza uditiva, olfattiva, gustativa ma anche, e soprattutto, tattile. Perciò, dopo i primi fallimenti per il suo processo d’apprendimento e per il mio ego di docente che aveva fatto del Quadro comune e dell’approccio orientato all’azione il suo cavallo di battaglia, pensai che fosse giusto che anche lui avesse le opportunità che avevano gli altri. Decisi quindi che anche lui avrebbe dovuto avere accesso alle fasi del processo d’apprendimento per scoperta, per formulazione d’i31


IMPARARE PER COMPETENZE

potesi, e che anche lui avrebbe dovuto confutare, riformulare o accogliere le ipotesi. Grazie anche al valido aiuto di un’insegnante di sostegno attenta e volitiva, trasformammo e ricostruimmo tutti gli input visivi in input tattili; le situazioni e il contesto divennero copioni per i suoi compagni, che insieme a lui, davano soffio vitale ai personaggi, ai pupazzi, alle foto del libro. Ed ecco che grossi camion giocattolo si trasformavano nel camion dei traslochi raffigurato sul libro di testo e che i mobili delle bambole entravano e uscivano dal camion per arredare, secondo il gusto di Daniele, la casa della famiglia Pérez costruita con il Lego; ecco gli abiti veri che, simili a quelli del libro, permettevano a Daniele di capire, attraverso il tatto, quali fossero i più adatti per la serata in discoteca di Marta o per la gita in campagna di Pablo (ambedue rappresentati in vignette); ecco Big Jim che riproponeva le posizioni di un aitante ragazzotto fotografato sul libro per far scoprire, attraverso diversi esercizi di ginnastica per mantenersi in forma, il lessico delle parti del corpo; ecco che anche Daniele riusciva a costruire il suo percorso per arrivare al suo prodotto finale, cioè all’attività conclusiva in cui confluiscono i contenuti e le competenze acquisiti durante lo svolgimento dell’unità didattica (cfr. pag. 39, nota 1); ecco coinvolti la sua persona, la sua personalità e il suo personale contributo nel progetto che via via costruivamo. Abbiamo proseguito così per tre anni. Durante questo percorso, in cui ho imparato tantissimo sulla didattica e sui processi di apprendimento, ho potuto convincermi giorno dopo giorno che l’insegnamento/apprendimento è efficace solo se si basa su processi creativi, su scoperte, su elementi significativi, se si serve del contributo degli altri, se si fonda sulla collaborazione tra i discenti-interlocutori nella costruzione del significato, se si raggiunge un’interazione autentica e se in tutto il processo esiste un vero gap comunicativo. E Daniele? Continua a usare lo spagnolo, e anche molto. Grazie alla tecnologia, ai social network (ne privilegia uno in particolare che gli permette una interazione orale con hispanohablantes in tutto il mondo a costo zero), continua a usare la lingua straniera che ha appreso – benissimo in tre anni! – attraverso la scoperta e la formulazione di ipotesi, cioè attraverso un processo di apprendimento capace di accogliere le istanze imprescindibili della comunicazione.

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1. Daniele – Il processo di apprendimento

La metodologia L’apprendimento coinvolge sempre processi cognitivi, ma se attiva quelli che riconoscono l’agente sociale che c’è in noi, funziona ancora meglio. Nelle ultime righe del paragrafo precedente è entrato in scena uno dei principi base del nostro approccio metodologico: il processo di apprendimento (PA). Qui l’insegnante ricostruisce per l’alunno un percorso didattico mirato alla realtà specifica del ragazzo, ricorrendo ai mezzi descritti, per permettergli di accedere in maniera autentica alle fasi del processo di apprendimento. Infatti è l’autenticità nella costruzione del processo di apprendimento che sta a cuore all’insegnante: non ha senso proporre a Daniele un’attività utilizzando gli stessi strumenti rivolti ai suoi compagni, perché in questo modo gli verrebbe a mancare quell’esperienza diretta che gli altri acquisiscono attraverso la vista. Dal momento che anche per un ragazzo come Daniele l’apprendimento può avvenire per scoperta, per formulazione, confutazione e riformulazione delle ipotesi, l’insegnante ha il difficile compito di rendere le fasi del processo il più autentiche possibile perché anche Daniele possa percorrere il suo cammino verso la costruzione del significato, mantenendo il contatto e il confronto con i compagni. Anche Daniele quindi, come i suoi compagni, è stato coinvolto in un processo di apprendimento autentico, creativo, basato su scoperte, su elementi significativi, sulla costruzione del significato; anche Daniele ha potuto avvalersi del contributo degli altri, che hanno fatto di questo contributo una bandiera di solidarietà.

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2. Filippo – L’approccio azionale Il caso – Prof, lo sa che Filippo se ne va? Entro in classe; c’è agitazione, alcune alunne concitate mi danno la notizia: Filippo, un compagno di classe, presto ci lascerà per trasferirsi in un’altra città per motivi di famiglia. Mi dispiace, è sempre un piccolo dolore perdere un alunno, anche se per motivi validi; mi rivolgo a Filippo, gli chiedo se è contento, non lo è, lo consolo: troverà nuovi compagni, si ambienterà bene, è un ragazzo pieno di risorse, estroverso, ci manterremo in contatto… Non lo convinco. La lezione stenta a decollare, anzi, non decolla per niente: non riesco a fare quello che avevo programmato, ma non importa, sarà una lezione diversa. Filippo ci ha offerto uno spunto e noi lo cogliamo: parliamo dell’amicizia, della forza dei legami, della vita con i suoi imprevisti, ci scambiamo aneddoti e battute simpatiche. Ridiamo per sdrammatizzare, ci lasciamo pieni di speranza. Ci sentiamo meglio, questa chiacchierata ci voleva. Io, per sentirmi a posto con la mia coscienza professionale, mi dico che in fin dei conti abbiamo parlato in spagnolo. Potevamo farlo, anche se il tema può sembrare complicato: la classe è una terza liceo, i ragazzi hanno più di due anni di studio della lingua alle spalle e se la cavano discretamente. Quindi non è stato tempo perso. A casa, con un po’ di tristezza, ripenso a Filippo, poi mi viene un’idea: Filippo sarà il nostro punto d’accesso alla funzione dell’esprimere auguri, dell’augurare qualcosa a qualcuno, e quindi ci condurrà verso l’uso dell’ostico congiuntivo. Il libro di testo, anche se è valido, a volte richiede degli adattamenti da parte mia, come appunto in questo caso. Mi metto al lavoro e preparo la lezione: il libro ci servirà per la sistematizzazione, per gli esempi, per alcuni esercizi; il resto lo costruiremo insieme passo a passo – mi esprimo al plurale perché quando preparo la lezione non sono mai sola, sono con i miei alunni, con i ragazzi di quella classe. Intanto iniziamo dalla motivazione che qui è davvero forte: Filippo se ne va, e noi gli faremo un regalo; preparare il nostro regalo per lui ci offre la motivazione per affrontare questi nuovi aspetti comunicativi. Mi metto al lavoro e dopo qualche ora l’unità di insegnamento/apprendimento è pronta. 35


IMPARARE PER COMPETENZE

In classe Qui di seguito riporto la sintesi dell’intera unità che, ovviamente, si suddivide in più incontri, tenendo conto dei tempi oggettivi delle singole lezioni. In questo caso si prevedono almeno tre ore di lezione. L’esordio in classe è più o meno così: – Salve ragazzi, che ne dite se oggi iniziamo a vedere come possiamo augurare buona fortuna a Filippo? Filippo ricambia il mio sguardo con un misto di meraviglia, ritrosia, imbarazzo; i compagni sono entusiasti, lui accetta, si rasserena, è contento. Continuo nell’introduzione dell’attività: – Impareremo anche a esprimere gli auguri per altre situazioni, per esempio per il compleanno di qualcuno o per altri eventi importanti. Per fare questo dovremo conoscere alcune forme espressive nuove e anche nuove forme verbali, come per esempio il congiuntivo. Alla fine del nostro percorso ogni gruppo preparerà un suo regalo speciale da dare a Filippo. Potete realizzare prodotti di diverso tipo: cartelloni con testo e immagini, presentazioni in PowerPoint, brevi filmati o servizi fotografici con didascalie e dialoghi, insomma, tutto quello che più vi piace. Potete anche inserire della musica, delle clip animate, ciò che volete. Poi ogni gruppo presenterà il proprio prodotto al resto della classe. Infine impacchetteremo il tutto in una bella confezione regalo e la daremo a Filippo. Filippo si schermisce ma si capisce che la cosa gli piace. La classe approva. Non avevo dubbi. Si parte.

Attività 1 Abbiamo diversi biglietti di auguri e diverse vignette, c’è un po’ di tutto: auguri di compleanno, di buon Natale, di buone vacanze, per la festa della mamma/del papà, per l’onomastico e così via. Ascoltiamo anche delle registrazioni e guardiamo dei brevi filmati sul tema. Il lavoro consiste nell’associare i testi, scritti e orali, alle diverse situazioni. Siccome ci sono gli ascolti e i filmati, propongo di lavorare tutti insieme, direttamente in una messa in comune d’impatto. È più faticoso e forse anche un po’ più dispersivo, ma in questo caso non possiamo fare altrimenti. Ognuno esprime le proprie proposte: le possibilità sono molteplici e le vagliamo tutte; ne discutiamo un po’ e ci soffermiamo a ipotizzare altre situazioni comunicative in cui è adeguata l’applicazione delle espressioni viste. Se avessimo lavorato solo con vignette e testo scritto, avrei preferito proporre un lavoro a coppie, durante il quale di solito io osservo e seguo i lavori, 36


2. Filippo – l’approccio azionale

passando tra i gruppi; è un lavoro che gli alunni svolgono in maniera assai rapida e quindi anche il mio monitoraggio può essere piuttosto agile. I risultati del lavoro di ogni coppia vengono poi messi in comune con l’intera classe.

Attività 2 Prospetto un’attività dove gli alunni dovranno creare situazioni diverse in cui fare gli auguri, applicando le forme comunicative appena viste. – Adesso ipotizziamo delle situazioni un po’ diverse dove si possono usare le stesse strutture, per esempio per un incontro speciale (un’amica esce per la prima volta con un ragazzo che le piace o viceversa), per un matrimonio tra persone che conosciamo, per una persona vicina che deve sostenere un esame importante (prendere la patente di guida, sostenere un colloquio di lavoro), eccetera. Ci rendiamo conto che prima di fare questo ci serve saperne di più dal punto di vista formale: le nuove forme verbali, gli esponenti linguistici appena incontrati ma non approfonditi, altre forme lessicali, e così via.

Attività 3 È quindi giunto il momento di fare delle riflessioni importanti sugli aspetti formali della lingua: dobbiamo sistematizzare ciò che abbiamo scoperto, riconoscere le forme del congiuntivo, osservare gli aspetti linguistici utilizzati per i diversi atti di lingua (le diverse espressioni), fare altri esempi e sperimentare altre applicazioni per fissare bene “il nuovo”. Ricorriamo al libro di testo e individuiamo ciò che ci serve: le tabelle dei verbi, le forme espressive, le esemplificazioni, il lessico; ci appropriamo del nuovo sistema formale necessario per dirlo bene in spagnolo. Il libro propone molti esercizi di applicazione e di uso, che i ragazzi faranno a casa.

Attività 4 Adesso sì che possiamo realizzare quanto richiesto nell’Attività 2. Riprendiamo le consegne e propongo di lavorare in gruppi di quattro: ciascun gruppo preparerà delle situazioni diverse. Iniziano le negoziazioni. La classe è abituata a lavorare in gruppo: c’è voluto tanto in termini di pazienza e di tenacia da parte mia prima di ottenere un certo ordine nel disporre gli alunni di volta in volta secondo le diverse combinazioni di gruppo, ma adesso viviamo di rendita. 37


IMPARARE PER COMPETENZE

I gruppi sono sette; io, come sempre, visito le diverse postazioni e mi soffermo a vedere i lavori. Sono disponibile, mi consultano, offro consigli e suggerimenti, mi entusiasmo con loro per un’idea geniale (ce ne sono più di quante ne possiamo immaginare!), mi lascio coinvolgere da certe loro stravaganze. Il lavoro non richiede molto tempo, per cui dopo circa 15 minuti i gruppi sono pronti per la messa in comune.

Mettiamo in comune i risultati Ogni gruppo espone il proprio lavoro: ce ne sono di tutti i tipi e ci divertiamo anche, a sentirli tutti. A volte però le presentazioni possono essere monotone, per lunghezza o per ripetitività: in questi casi l’insegnante può negoziare con i gruppi una modalità di presentazione più agevole, ma ugualmente significativa.

Attività 5 – Realizzazione dei prodotti finali Iniziano le grandi manovre: i tavoli si riempiono di fogli bianchi su cui annotare le idee, esempi di ciò che è stato fatto, libri aperti alle pagine utili pronti per essere consultati, matite colorate, righelli, qualche cartellone colorato: insomma, di tutto e di più. Ciascun gruppo prima si consulta per decidere che tipo di prodotto vuole realizzare. Ricordo in cosa può consistere il prodotto finale: – Alla fine del nostro percorso ogni gruppo preparerà un suo regalo speciale da dare a Filippo. Potete realizzare prodotti di diverso tipo: cartelloni con testo e immagini, presentazioni in PowerPoint, brevi filmati o servizi fotografici con didascalie e dialoghi, insomma, tutto quello che più vi piace. Potete anche inserire della musica, delle clip animate, ciò che volete. Poi ogni gruppo presenterà il proprio prodotto al resto della classe. Infine impacchetteremo il tutto in una bella confezione regalo e la daremo a Filippo. Filippo fa parte di un gruppo che preparerà un servizio fotografico, quindi la sua presenza alla confezione del proprio regalo non è fuori luogo ma, anzi, consente di scattare foto dove compaia anche lui. Il lavoro non può essere esaurito in classe: sarà terminato a casa, anche perché sono venute fuori idee speciali che richiedono più tempo per essere sviluppate.

Attività 6 – Presentazioni dei prodotti finali Il gran giorno è arrivato! Entro in classe e trovo una certa agitazione: ogni gruppo, già radunato, dà gli ultimi ritocchi ai propri materiali. Hanno prepa38


2. Filippo – l’approccio azionale

rato di tutto: cartelloni, book fotografici, computer, proiettore. I ragazzi sono emozionati non solo perché devono presentare il proprio prodotto (a questo sono abituati) ma soprattutto perché Filippo se ne va e deve portare con sé il meglio di tutti noi! Dopo l’iniziale trambusto partono le presentazioni. Di solito, per garantire che tutti seguano i diversi gruppi che man mano si avvicendano, assegno a ciascun alunno il compito di annotare su un’apposita scheda alcuni aspetti salienti delle diverse presentazioni, di cui parleremo in seguito. Ma oggi non è necessario: sono tutti attentissimi, per non parlare di Filippo, che per la verità è ovviamente anche un po’ teso. Non mi soffermo a descrivere le diverse presentazioni, perché non riuscirei mai a trasmettere ciò che venne fuori in quell’occasione in termini di emozioni, di creatività e anche di risorse linguistiche: certe situazioni, per essere comprese, vanno viste e vissute nel contesto autentico. Mi limiterò a dire che andò tutto molto bene. Generalmente durante le presentazioni io intervengo con eventuali richieste di chiarimento, domande su altre possibili soluzioni, su come è stato pensato e realizzato il prodotto, su eventuali difficoltà incontrate, su episodi che possono avere segnato il percorso; questo per poter esprimere una valutazione in piena serenità sulle mie schede specifiche per questo tipo di prove. Lo feci anche in quell’occasione, anche se con un po’ di difficoltà: ero molto emozionata anch’io.

La metodologia Il caso di Filippo (come quello precedentemente esaminato di Daniele) è un esempio di come la realtà di classe spesso offra degli spunti di motivazione autentica capace di mettere in moto tutto il processo di apprendimento. Qui addirittura si ricorre all’enfoque por tareas1, dove la prospettiva di costruire un prodotto finale significativo è il motore che dà l’avvio al processo. Il prodotto finale, punto di forza dell’enfoque por tareas, qui è il regalo speciale per Filippo. La possibilità che ogni alunno ha di sbizzarrirsi, scegliendo liberamente tra diverse attività creative, aggiunge forza alla motivazione. Già, 1. Come teorizzato da J. Zanón (La enseñanza del español mediante tareas, Madrid, Edinumen, 1999), l’enfoque por tareas è un’evoluzione dell’Approccio Comunicativo. Per tarea s’intende sia una unità di insegnamento/apprendimento, intesa come “compito” (task), sia il prodotto finale di tale “unità”, che funge da motore di tutto il lavoro. Infatti, grazie a differenti tipi di “compiti”/tareas, presenti nell’unità, si trattano e si sviluppano tutti gli aspetti (funzionali, grammaticali, lessicali…) necessari affinché gli alunni possano realizzare il “prodotto”, o tarea, finale dell’unità.

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perché proprio di motivazione si tratta e, anche se la esamineremo meglio più avanti (Capitoli 3 e 4), qui la osserviamo come prima fase del processo di apprendimento, cioè come motore di avvio capace di attivare il processo. Quali sono le fasi di questo processo?

Fase 1 L’insegnante esordisce proponendo un percorso alla fine del quale ogni gruppo sarà in grado di preparare un proprio prodotto finale: – Alla fine del nostro percorso ogni gruppo preparerà un suo regalo speciale da dare a Filippo. Potete realizzare prodotti di diverso tipo: cartelloni con testo e immagini, presentazioni in PowerPoint, brevi filmati o servizi fotografici con didascalie e dialoghi, insomma, tutto quello che più vi piace. Potete anche inserire della musica, delle clip animate, ciò che volete. Poi ogni gruppo presenterà il proprio prodotto al resto della classe. Infine impacchetteremo il tutto in una bella confezione regalo e la daremo a Filippo. In questa prima fase, oltre a venire motivati, gli alunni vengono anche informati sugli obiettivi specifici del percorso: – Impareremo anche a esprimere gli auguri per altre situazioni, per esempio per il compleanno di qualcuno o per altri eventi importanti. Per fare questo dovremo conoscere alcune forme espressive nuove e anche nuove forme verbali, come per esempio il congiuntivo. Anche nel caso in cui non si ricorra all’enfoque por tareas, la motivazione sarà comunque e sempre la prima fase del processo di apprendimento e potrà assumere diversi aspetti, sempre partendo dagli interessi reali degli alunni su temi che li riguardano da vicino o dalle loro esperienze concrete (avremo modo di osservare diversi esempi nel Capitolo 6). La prima fase del processo di apprendimento riguarda non solo la motivazione ma anche quella che viene chiamata identificazione del problema, problematizzazione, o anche situazione problematica. Che cosa significa? Significa che qui entra in gioco il principio in base al quale ci attiviamo come agenti sociali solo quando abbiamo un problema da risolvere, un compito da svolgere e portare a termine. Per esempio, se mi trovo in un ristorante straniero e voglio ordinare un piatto, il primo problema che devo risolvere sarà quello di comprendere il menù. Si tratta di una situazione problematica iniziale, seppur semplice e di abbastanza facile risoluzione: l’importante è averla individuata come tale e di conseguenza prepararsi ad attivare tutte le risorse linguistiche per risolverla. Nel nostro caso la situazione problematica è, appunto, la realizzazione del regalo speciale per Filippo, che comporta l’acquisizione di nuove competenze comunicative. 40


2. Filippo – l’approccio azionale

Fase 2 Nella seconda fase del processo di apprendimento la classe viene impegnata in un’attività di associazione dei testi (scritti/orali) alle immagini. Si tratta di un primo contatto con i nuovi aspetti linguistici presentati attraverso alcuni modelli; gli alunni devono solo riconoscere alcune situazioni comunicative dove il nuovo ha una sua logica collocazione che essi devono individuare. In questa fase l’alunno, entrato ormai in contatto con nuove forme comunicative e osservati alcuni modelli, seleziona dei dati significativi, linguistici nel nostro caso, e inizia a formulare le sue prime ipotesi di comunicazione autentica.

Fase 3 Le prime ipotesi formulate nella fase precedente devono essere verificate per poi essere accolte e immagazzinate; generalmente è un’operazione che viene fatta in condivisione con tutto il gruppo classe e che viene guidata dall’insegnante. In questa fase si ascoltano i risultati di tutti: l’insegnante interviene confermando o suggerendo modifiche e correzioni, se è il caso propone l’osservazione di altri modelli, si sperimentano forme più consone, finché le nuove proposte non vengono accolte definitivamente. È la fase della scoperta: una volta verificata la correttezza delle ipotesi iniziali, se ne definiscono le caratteristiche sia formali che di uso, accogliendo il nuovo come un dato di fatto utile per costruire altre possibili applicazioni che, di fatto, si iniziano a intraprendere. Ma presto ci accorgiamo che per farlo bene ci occorre qualcosa di più. Nascono delle esigenze, delle necessità alle quali va data una risposta.

Fase 4 È giunto il momento di sistematizzare il tutto: in altre parole si tratta di riflettere sugli aspetti formali e sugli esponenti linguistici utilizzati per la costruzione del significato. Dobbiamo prendere in mano il giocattolo e smontarlo per vedere come funziona. Diciamo che questo è il momento degli aspetti grammaticali nudi e crudi, quelli che in una didattica tradizionale fanno la parte del leone occupando quasi tutta l’unità di apprendimento. Nel processo di apprendimento, invece, questa fase delicata e dedicata agli aspetti formali viene proposta dopo che nell’alunno è stata indotta la necessità di conoscerli per farli propri al fine di usarli autonomamente in altre situazioni. Quindi strategicamente tale fase è collocata al punto giusto, nel momento giusto del percorso di apprendimento, di modo che l’alunno venga a contatto 41


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con determinati aspetti comunicativi proprio quando è già stato motivato a conoscerli; apprenderli non è quindi un’operazione priva di significato ma risponde a un’esigenza concreta.

Fase 5 Una volta impossessatosi degli aspetti del sistema formale/comunicativo, l’alunno passa a sperimentarne altre applicazioni in altri contesti. Ipotizza nuove situazioni creando nuove espressioni comunicative con esse coerenti, si appropria del nuovo, lo acquisisce. Come abbiamo visto nel Capitolo 2, la classe si cimenta nella nuova attività creativa: – Adesso ipotizziamo delle situazioni un po’ diverse dove si possono usare le stesse strutture, per esempio per un incontro speciale (un’amica esce per la prima volta con un ragazzo che le piace o viceversa), per un matrimonio tra persone che conosciamo, per una persona vicina che deve sostenere un esame importante (prendere la patente di guida, sostenere un colloquio di lavoro), ecc. In questa fase si lavora in gruppo perché, come vedremo meglio nel Capitolo 7, dedicato alle dinamiche di gruppo, qui la creatività gioca un ruolo importante, per cui il risultato è migliore se vengono messe insieme le idee di più compagni, se c’è una condivisione che renda possibile lo scambio di opinioni e di punti di vista, se nel lavorare l’alunno può arricchirsi delle risorse degli altri, realizzandosi di conseguenza anche come portatore del proprio contributo. Queste sono le fasi fondamentali del processo di apprendimento, imprescindibili perché esso avvenga in maniera efficace e significativa. Se l’insegnante ha optato per l’enfoque por tareas, come nel caso appena considerato, la fase dell’apprendimento vero e proprio è seguita dalla realizzazione del prodotto finale. È superfluo sottolineare che nel caso della realizzazione e presentazione dei prodotti finali, trattandosi di momenti molto creativi, gli alunni vengono maggiormente coinvolti dal punto di vista emotivo, rendendo il percorso di apprendimento più significativo; d’altro canto però ciò potrebbe comportare una dilatazione dei tempi non indifferente, che non sempre la realtà di classe può permettere. Sarà qui l’insegnante con la sua sensibilità a decidere quale delle opzioni privilegiare.

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3. Luca – La motivazione Il caso È uno spilungone, a mala pena riesce a ripiegare le gambe sotto il banco, ha la classica faccia da schiaffi da film realista italiano, si stende come un orologio molle di Dalì sul banchetto di scuola… insomma, sembra che tutto giochi a suo sfavore! Lo riconoscete? Ne conoscete, ne avete conosciuti e ne conoscerete tanti di ragazzi così durante la vostra carriera di docenti: quando si risvegliano dal letargo sono capaci di battute argute e di far ridere 29 ragazzi in modo fragoroso; quando si scrollano il loro torpore di dosso vi costringono a pensieri come “Però, non me lo sarei mai aspettato da lui”, “Notevole”. Eppure questi ragazzi sono quasi sempre condannati a portare le classiche stimmate: – Luca non è motivato; è intelligente, potrebbe fare di più ma… non è motivato! Lo scenario cui si fa riferimento è ovviamente la bolgia infernale del ricevimento genitori. Anche oggi i genitori di Luca, padre e madre insieme, sono a colloquio con gli insegnanti del figlio. Quando arrivano da me sono ormai sconsolati e scoraggiati perché non sanno come aiutare Luca a “motivarsi”, come alcuni insegnanti, precedentemente interpellati, hanno consigliato loro. Io che conosco Luca e il suo modo di rapportarsi alla lezione, non lo riconosco come demotivato o assente, quindi cerco di rassicurare i poveri genitori per quanto riguarda la mia disciplina, sperando in cuor mio che anche altri insegnanti riescano infine a valorizzare i lati positivi di Luca. Quante volte noi docenti abbiamo proferito frasi di questo tipo a carico di un alunno o addirittura di tutta una classe che non dà i risultati sperati? – Questa classe non va bene, questi ragazzi non seguono, non stanno attenti, non si interessano, sono alunni demotivati. È una frase che assegna un ruolo fondamentale a uno dei principi base dell’approccio orientato all’azione: la motivazione.

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IMPARARE PER COMPETENZE

La metodologia Cosa ci suggeriscono frasi come “Luca non è motivato” e “Questi ragazzi non vanno bene perché sono demotivati”? Si parla di qualcosa che appartiene al patrimonio cognitivo dell’alunno, come la capacità intellettiva? Forse di un’abilità che l’alunno deve acquisire strada facendo? Oppure di una strategia in gran parte riposta nelle mani dell’insegnante? Non è questa la sede per una discussione sui vari tipi di motivazione: quella intrinseca, quella estrinseca, quella proposta da John Schumann centrata sulla valutazione dell’input appraisal1, o quella basata sul bisogno, sul piacere, sul senso del dovere. Ci limitiamo solo a osservare che tra i nostri ragazzi non sono molti quelli che arrivano alle scuole superiori già muniti di una motivazione ad apprendere tanto rilevante da permettere loro di affrontare e superare gli ostacoli di diversa natura che immancabilmente incontreranno sul loro cammino di studenti, o da resistere stoicamente ai molti stimoli provenienti dall’esterno. Nel caso della nostra situazione di insegnanti di scuola superiore di secondo grado, la risposta è ovvia: la motivazione è una grande risorsa che deve essere indotta negli alunni (o mantenuta, nel caso di studenti inizialmente motivati) sin dall’inizio del processo di apprendimento. Chi può indurla e mantenerla è l’insegnante; lo strumento principale è il libro di testo. Da qui la domanda che ogni insegnante di coscienza si pone a un certo punto del suo percorso professionale: come posso indurre la motivazione nei miei alunni? Proviamo a capovolgere la domanda per assumere il punto di vista dello studente: quando mi sento maggiormente motivato/a ad apprendere qualcosa di nuovo, che magari non mi è neppure particolarmente congeniale? Per rispondere, osserviamo la Tabella 4: al tempo in cui andavo io alle superiori, la mia massima aspirazione di studente, se mai avessi potuto scegliere, avrebbe potuto essere quella di realizzare tutte le condizioni indicate nella Colonna A della tabella, tranne il punto 6: infatti era per me un grande cruccio quello di essere circondata dai miei coetanei, tutti a bordo insieme a me sulla stessa barca, senza poter comunicare con loro neppure per condividere un dubbio o un chiarimento (la lezione non prevedeva momenti di scambio tra compagni). Le condizioni indicate nella Colonna B non erano ancora neppure immaginabili. Se agli studenti dei nostri giorni venisse proposta la scelta tra i due tipi di scuola probabilmente molti opterebbero per la tipologia delineata nella Colonna B, ma allora non era così.

1.

P.E. Balboni, Italiano lingua materna, Fondamenti di didattica, UTET Università, Torino 2006, p. 54.

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3. Luca – la motivazione

A

B

1. Quando ho un insegnante che mi spiega tutto molto bene. 2. Quando in classe posso seguire le spiegazioni e prendere appunti. 3. Quando i compiti a casa mi servono per completare ciò che l’insegnante ci ha spiegato a scuola. 4. Quando i compiti a casa sono ripetitivi: anche se sono monotoni fisso meglio le cose importanti. 5. Quando non devo impegnarmi troppo in attività di classe, tanto so che il grosso del lavoro devo farlo dopo a casa, per conto mio. 6. Quando lavoro da solo senza perdere tempo con i compagni. 7. Quando devo stare attento a non commettere troppi errori altrimenti potrei prendere brutti voti e non recuperare più, o recuperare con molta difficoltà. 8. Quando sono sicuro che se non ce la faccio da solo, a casa qualcuno mi aiuta, magari posso anche andare a ripetizione. 9. Quando...

1. Quando conosco la meta sin dall’inizio e ho chiare anche le possibili tappe intermedie. 2. Quando mi sento attivo: partecipo con le mie opinioni e i miei punti di vista e vengo ascoltato, posso esprimere al meglio le mie risorse e la mia creatività. 3. Quando mi sento importante perché sento di costruire qualcosa di personale. 4. Quando sento che ogni volta scopro e faccio mio qualcosa di nuovo. 5. Quando posso lavorare con altri compagni miei pari. 6. Quando posso condividere i risultati strada facendo e magari aggiustare il tiro e migliorare. 7. Quando avverto l’utilità di ciò che faccio, in altre parole conosco il perché di ciò che mi viene proposto di fare. 8. Quando sento che gli errori che faccio strada facendo posso correggerli senza problemi perché mi verranno forniti gli strumenti giusti. 9. Quando...

Tabella 4 Quando mi sento motivato ad apprendere qualcosa di nuovo?

Riprendiamo il nostro quesito: come indurre la motivazione nei nostri alunni? Osserviamo il contenuto della Colonna B e vediamo di ricavarne alcuni suggerimenti utili. Ipotizziamo di realizzare una lezione della stessa materia, spagnolo, più o meno con lo stesso livello di lingua e sullo stesso ambito tematico (gli acquisti), ma in due realtà didattico-metodologiche differenti (con due insegnanti e due libri di testo diversi).

Classe A Ora di spagnolo; l’insegnante entra in classe e, presumibilmente in spagnolo, inizia la sua lezione: – Buongiorno, oggi iniziamo una nuova unità, dedicata alle spese, quindi parleremo di negozi, di oggetti e di prezzi. Impareremo a chiedere la disponibilità di alcuni articoli, a domandare quanto costano e a rispondere; impareremo anche i numerali e altri aspetti formali utili per queste funzioni linguistiche. Prendete il libro a pag… Paolo, comincia tu a leggere. Ci sono anche insegnanti che esordiscono senza introdurre l’argomento: – Prendete il libro a pag… 45


IMPARARE PER COMPETENZE

Il libro esordisce proponendo l’ascolto di un dialogo sul tema degli acquisti, che si conclude con 5 domande di comprensione. La lezione prosegue con un esercizio di lessico: l’alunno ascolta delle parole che deve individuare tra quelle rappresentate sul libro con disegni o foto. Poi è invitato a trascrivere sul quaderno la traduzione in italiano di quelle parole. Si procede con altri esercizi di lessico: associazioni, completamenti e così via. Gli interrogativi che subito ci poniamo sono: perché viene proposto l’ascolto di questo dialogo? Quale obiettivo didattico ha? E le domande, quale scopo hanno? Nel dialogo ci sono informazioni utili all’alunno per portare avanti il suo lavoro? Qual è inoltre l’intento comunicativo degli esercizi di lessico che richiedono la trascrizione sul quaderno dei termini in italiano? Come possono gli alunni essere autenticamente motivati in questo modo?

Classe B Ora di spagnolo; l’insegnante entra in classe e, ovviamente in spagnolo, inizia la sua lezione: – Salve ragazzi, come va? Tutto bene? Oggi vi propongo di organizzare una festa in classe. Vi piace l’idea? Bene, allora diamoci da fare! Dovremo sapere quali prodotti comprare per la festa, dove comprarli, quanto possiamo spendere e infine decidere chi fa cosa. Per fare tutto questo dovremo imparare a individuare i diversi negozi, a esprimere cosa ci serve, a parlare degli oggetti, a chiedere il prezzo, insomma impareremo tutto ciò che ci serve per cavarcela bene quando andiamo a fare spese. Come sempre lavorerete in gruppi più o meno numerosi, a seconda di ciò che di volta in volta faremo. Per caso è vicino il compleanno di qualcuno di voi? Potremmo così approfittarne per dedicargli o dedicarle la festa con tanto di torta con le candeline e pensare anche a un regalo. Che ne dite? Il compito di organizzare la festa di classe, così formulato in fase iniziale, può rappresentare un valido spunto di prodotto finale, da realizzare quindi alla fine del percorso didattico. Di quale classe vorreste fare parte se foste un alunno? Quasi sicuramente della Classe B. Perché? Perché l’insegnante ha creato la motivazione. Vediamo come: • ha espresso la ragione, il perché del percorso da intraprendere e ha indicato una meta concreta (organizzare la festa) e le possibili tappe per raggiungerla; • ha proposto la creazione di un prodotto in cui ciascuno può riconoscersi e a cui può contribuire con l’apporto delle sue risorse personali; • ha indicato quali strumenti serviranno per svolgere al meglio il compito; 46


3. Luca – la motivazione

• ha prospettato la possibilità di confrontarsi tra compagni; • ha collegato lo studio linguistico con la possibilità di svolgere un compito comunicativo concreto; • ha usato un tono adeguato, che tiene conto della componente umanistico-affettiva dell’apprendimento (aspetto che approfondiremo nel Capitolo 5). A questo punto la classe è sufficientemente motivata per iniziare un lavoro che si prospetta bello e interessante. Ma aver suscitato la motivazione non è sufficiente: è importante mantenerla viva durante tutto il percorso didattico. La domanda cui dobbiamo ora dare una risposta è: come posso mantenere la motivazione dopo che è stata ottenuta? Proviamo quindi a ipotizzare come potrebbe proseguire la lezione, o meglio l’unità d’insegnamento/apprendimento, sul tema degli acquisti. L’insegnante entra in argomento attraverso queste domande, ovviamente formulate in spagnolo. – Ti piace andare a fare spese? – Con chi ci vai di solito? – Preferisci il centro commerciale o i negozi della città? Queste prime domande hanno il duplice scopo di introdurre il tema e di stabilire un contatto comunicativo tra gli alunni e tra alunni e insegnante. Infatti, quando ciascun ragazzo parla di sé, dei propri gusti e delle proprie abitudini, stabilisce un contatto empatico con il gruppo classe, si fa conoscere e conosce gli altri; inoltre, anche l’insegnante partecipa a questo scambio di opinioni con l’apporto delle sue impressioni ed esperienze personali, in modo da sottolineare in maniera significativa la sua appartenenza al gruppo classe, impegnandosi insieme ai propri alunni in attività di comune interesse. Segue quindi un’attività proposta dal libro di testo, che chiede all’alunno di commentare con il suo compagno in quale tipo di negozi preferisce andare per i propri acquisti. Per facilitare la comunicazione, viene fornito un esempio di dialogo: – A: Quali negozi preferisci per fare spese? – B: Di solito vado nei negozi del centro perché non mi piace andare nei centri commerciali. E tu? – A: In queste ultime settimane sono andato in un negozio di abbigliamento, in un negozio di musica, al supermercato… Con lo stesso scopo, viene fornita anche una scheda facilitatrice, prevalentemente lessicale, che presenta i diversi nomi dei negozi (negozi di quartiere, centri commerciali, panetteria, fruttivendolo, cartoleria, fioraio, abbigliamento…) e le espressioni maggiormente usate nell’ambito degli acquisti (periodo di saldi, guardare le vetrine…). 47


IMPARARE PER COMPETENZE

Questa attività, che induce alla comunicazione a coppie, consolida quella precedente da un punto di vista linguistico fornendo anche informazioni utili attraverso la scheda facilitatrice alla quale gli alunni accedono per ricavare i termini necessari per la loro interazione. Segue un’altra attività mirata a consolidare l’uso del lessico, in cui si chiede all’alunno il nome dei negozi dove andare ad acquistare determinati oggetti attraverso uno scambio comunicativo con il compagno. Per svolgerla l’alunno può accedere alla stessa scheda facilitatrice dell’attività precedente. Queste prime attività prevalentemente lessicali favoriscono la familiarizzazione con i termini caratterizzanti l’ambito degli acquisti, necessaria per poter successivamente svolgere attività maggiormente comunicative. L’attività che segue infatti si articola in tre momenti diversi: • il primo momento propone l’ascolto di una conversazione tra due persone, una delle quali sembra ossessionata dal bisogno di fare acquisti; in relazione a esso si chiede all’alunno di riflettere sul comportamento della persona in questione; • nel secondo momento l’alunno scambia con il compagno delle opinioni circa i negozi nei quali la persona del dialogo ha presumibilmente fatto i propri acquisti; • nel terzo si propone un testo scritto autentico di tipo informativo in cui il tema degli acquisti è affrontato dal punto di vista problematico del compratore compulsivo. Su questo testo si chiede all’alunno di verificare se la persona che parla nel precedente dialogo può essere affetta da questo tipo di disagio (compratore compulsivo), andando soprattutto a confrontare i sintomi di cui parla l’articolo con quanto dice la persona del dialogo. Questa attività riporta sul piano dell’autenticità quanto è stato appreso in precedenza, e poggia sul principio del gap di informazione. A partire dall’ascolto del dialogo, finalizzato all’identificazione delle persone che parlano, passando attraverso le ipotesi sui negozi degli acquisti, fino al testo informativo, tutto mantiene alta la motivazione, impegnando di continuo l’alunno in sfide di diverso tipo come quella di colmare i vuoti informativi, attraverso attività linguistiche sia di comprensione orale e scritta, sia di interazione e di produzione orale. Quando ci chiediamo come suscitare la motivazione negli alunni, siamo tutti concordi nell’affermare che dobbiamo fare leva sui loro interessi. È verissimo. Ma questo non basta. Non basta parlare di calcio a Gianni, tifoso del pallone, come non basta parlare di musica a Chiara, che vive praticamente con gli auricolari incollati alle orecchie. Tutto dipende da come proponiamo il tema, da come lo sviluppiamo, da come coinvolgiamo Gianni e Chiara. 48


3. Luca – la motivazione

Vediamo due esempi. Insegnante A: oggi parliamo di calcio e di musica. Insegnante B: oggi parliamo di compere. Possiamo facilmente supporre che Gianni e Chiara si sentirebbero particolarmente felici nella classe con l’insegnante A. Verifichiamo questa ipotesi illustrando come può svilupparsi la lezione nei due casi.

Insegnante A – Prima leggiamo questo breve articolo di giornale su una importante partita di calcio disputata il mese passato a Madrid. Gianni, leggi tu che sei appassionato di calcio. Poi risponderete alle domande sull’articolo. Dopo faremo contenti coloro che amano la musica e ascolteremo un dialogo tra amiche che, come sentiremo, parlano di cantanti. Chiara, tu che ti intendi di musica, dovrai fare particolarmente attenzione perché poi ci dirai di cosa parlano esattamente, va bene? Poi ciascuno risponderà alle domande sul dialogo.

Insegnante B – Supponiamo che ciascuno di voi disponga fino a… euro, da spendere come vuole. Cosa vi piacerebbe andare a comprare oggi? Lavorate a coppie. Ciascuno può scegliere tra questi oggetti, spiegando al compagno il perché delle sue preferenze. Potete scegliere più di un oggetto, ma fate attenzione a non superare la cifra che avete a disposizione e a non lasciarne inutilizzata una parte eccessiva. Esempi: • Un paio di scarpette da calcio marca… Costa… euro • Un album fotografico del tuo gruppo/attore/… preferito. Costa… euro • Un libro sulla storia del tuo hobby preferito. Costa… euro • Un biglietto d’ingresso per il concerto di… Costa… euro • Una tuta da ginnastica strepitosa. Costa… euro • Un iPod di ultima generazione. Costa… euro • Un paio di scarpette da danza. Costa… euro • Una cesta di generi alimentari artigianali regionali. Costa… euro • Il DVD dell’ultimo concerto del tuo gruppo preferito. Costa… euro • Un maglione di lana all’ultima moda. Costa… euro • Il DVD della più spettacolare partita della tua squadra. Costa… euro • Uno zaino per i libri perché quello che hai non regge più. Costa… euro 49


IMPARARE PER COMPETENZE

• Un biglietto per assistere a un evento delle prossime Olimpiadi. Costa… euro • Che altro? • Quanto costa? Nella classe dell’insegnante A le aspettative di Gianni potrebbero essere frustrate in quanto l’attività risulta poco motivante, anche per lui che ama il calcio. Questo tipo di attività basate su letture in cui l’alunno di turno si cimenta, spesso senza neppure capire cosa stia leggendo, preoccupato più che altro per la pronuncia, sono talmente monotone che riuscirebbero a rendere noioso qualunque testo, anche se brillante e pieno di spunti interessanti, e a frustrare e cancellare nell’alunno ogni barlume di motivazione. Nella classe dell’insegnante B, invece, un’attività abbastanza generica, quindi all’apparenza non particolarmente stimolante, come quella delle spese, si è trasformata in un momento di realizzazione personale per tutti i ragazzi, messi davanti a scelte nelle quali entra in gioco la loro personalità. Inoltre c’è anche da affrontare una situazione problematica: fare attenzione a ciò che si compra in relazione alla cifra consentita (non superarla e non lasciarne gran parte inutilizzata). Nel primo caso l’alunno non ottiene nessun incremento del proprio apprendimento perché si limita a eseguire passivamente un compito che non stimola in lui alcun interesse, nonostante il tema. Nel secondo caso gli alunni sono chiamati a prendere decisioni mettendo in gioco il loro modo di essere. Quando l’alunno entra in scena con il bagaglio della sua personalità, quando deve assumersi le responsabilità delle proprie decisioni, è allora che viene davvero coinvolto nella sfida continua di giocare a essere se stesso, rappresentarsi bene, essere coerente con il proprio io, con le proprie risorse personali. In breve, ecco perché non è sufficiente affermare che l’alunno è motivato quando lo si coinvolge attraverso i suoi interessi. La motivazione sorge, più specificamente, quando lo studente è chiamato a fare qualcosa e quando in ciò che fa può essere se stesso. Si tratta di un alunno che decide, che si assume delle responsabilità, che crea, che sceglie, negozia e propone; un alunno che interagisce con il compagno, che ascolta e rilancia in un gioco di dare e ricevere senza rinunciare a essere se stesso; un alunno che si realizza ogni volta che fa qualcosa perché quel fare ha un senso. Pur nella semplicissima attività della scelta degli oggetti da comprare sopra proposta, l’alunno prende delle decisioni e le motiva in base alla sua personalità, quindi è nell’autoaffermazione che risiede il senso del suo fare. Quale realizzazione personale può raggiungere l’alunno che legge un dialogo tra personaggi ine50


3. Luca – la motivazione

sistenti che parlano di cose sganciate dalla realtà? E che poi magari deve anche rispondere alle domande, spesso banali e quindi offensive per la sua intelligenza, su quello stesso testo che altri compagni, a turno, hanno finito di leggere? Proviamo a proporre a quell’alunno dei compiti reali da svolgere, delle situazioni problematiche da risolvere, diamogli delle alternative e poi chiediamogli il perché delle sue scelte. Da una parte presentiamo il problema, dall’altra offriamo gli strumenti per risolverlo. Allora sì che possiamo parlare di motivazione e l’alunno può dare il meglio di sé. La motivazione quindi è legata a doppio filo con il tipo di attività in cui l’alunno viene coinvolto. Perché un’attività sia stimolante occorre un motivo concreto per cui l’alunno sia chiamato a intraprenderla; inoltre essa deve essere funzionale al lavoro che l’alunno sta svolgendo: deve insomma rispondere a quel fondamentale para qué che tanto cambia l’ottica dell’insegnamento in una didattica orientata all’azione. Vediamo un altro esempio: Insegnante: Adesso ascoltiamo questo dialogo dove due dipendenti dell’Hotel Salvador Dalí di Figueras parlano delle prenotazioni della settimana. In base a ciò che dicono cercate di riempire la relativa scheda delle prenotazioni. Alunni: Perché, prof? I: Perché da lì possiamo ricavare le disponibilità relative alla settimana che interessa al nostro gruppo di turisti. A: La scheda a cosa ci serve? I: A stabilire se il gruppo in questione può alloggiare in quell’hotel o se è il caso che si rivolga a un altro hotel. Appare chiaro che in questo caso l’ascolto del dialogo non è fine a se stesso, ma è funzionale a sviluppare in maniera concreta un compito più strutturato. Come noteremo meglio nel corso di questo volume, i principi alla base dell’approccio azionale non sono indipendenti gli uni dagli altri, ma si intrecciano continuamente formando il tessuto del percorso didattico. Qui infatti la motivazione scaturisce dalla presenza di un perché, di uno scopo che ha anche la caratteristica della concretezza, che cercheremo di approfondire più avanti (vedi Capitolo 6). Come abbiamo accennato, gli insegnanti di spagnolo in molti casi partono avvantaggiati perché questa lingua suscita molta simpatia e curiosità; è frequente che nelle nostre prime classi ci siano diversi alunni molto ben disposti all’apprendimento di questa lingua, insomma, alunni già motivati. Perfetto! Ma sentite questa… 51



4. Marta – La motivazione frustrata Il caso Marta, una ragazzina di terza media intelligente e vivace, dopo tre anni di spagnolo mal vissuti, preoccupata per una serie di insuccessi e prossima agli esami di stato, viene da me per cercare di recuperare la sua situazione. La prima cosa che mi dice è: – Io lo spagnolo lo odio, e pensare che fui proprio io a sceglierlo perché mi piaceva! Quando le chiedo perché fosse arrivata a detestare questa lingua, lei risponde: – Ero stata in Spagna con la mia famiglia e avevo sentito parlare spagnolo, mi era piaciuto tanto! Mi sembrava una lingua bella, mi piaceva come suonava, insomma, mi sarebbe piaciuto impararla per parlarla anch’io così… cioè, anche se non proprio come loro, almeno un po’! Invece in classe si fa solo grammatica, si studiano un sacco di verbi, sfilze di vocaboli, si leggono i dialoghi e poi si imparano a memoria, ma si parla mai, non sappiamo parlare, io non so dire niente. Così non mi piace… Quella di Marta era una motivazione intrinseca che nasceva da un desiderio concreto: quello di imparare qualcosa che le era piaciuto e che aveva ritenuto degno di essere appreso. Aveva quindi delle aspettative alte che potevano rappresentare un punto di forza per il suo apprendimento. Invece non lo furono: diventarono un boomerang che trasformò la sua motivazione in quello che lei chiamava odio per la materia. L’equazione non faceva una piega: l’alta motivazione aveva generato alte aspettative, ma l’impatto con quell’insegnamento deludente a sua volta aveva comportato il rifiuto e di conseguenza il fallimento. Si era trattato di un vero e proprio tradimento. Come darle torto?

La metodologia Mi trovavo davanti all’esempio vivente del modello egodinamico di Renzo Titone1: l’ego di Marta aveva un progetto di sé che prevedeva la conoscenza della lingua spagnola, quindi aveva individuato come strategia quella di sce1. Balboni, Italiano lingua materna cit., p. 53.

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gliere lo studio dello spagnolo al momento dell’iscrizione alle medie; al contatto reale (momento tattico) con l’insegnamento di questa lingua il feedback era stato negativo, quindi si era inserito un filtro affettivo negativo e il suo bel progetto di imparare lo spagnolo era crollato. Se invece, al momento del contatto con l’insegnamento della lingua, Marta avesse ottenuto risultati rispondenti alle sue aspettative, la sua strategia si sarebbe rinforzata dando al suo ego un feedback positivo che avrebbe contribuito a mantenere alta la motivazione e quindi a produrre l’energia necessaria per proseguire. Non era andata così.

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5. Arianna – La componente umanistico-affettiva Il caso Classe seconda, martedì, ore 9, cambio dell’ora: esce l’insegnante di scienze ed entro io per la mia ora di spagnolo. Ci risiamo: anche oggi c’è da consolare qualcuno e ristabilire in classe un clima sereno che consenta di lavorare. Quest’anno ho la sfortuna di avere la lezione del martedì subito dopo la mia collega di scienze, che, come Manolo, il protagonista del romanzo Un asunto de honor (Una questione d’onore) di Arturo Pérez Reverte, sembra portare tatuata addosso la frase nací para haserte (sic) sufrir (nato per farti soffrire), nel suo caso ovviamente dedicata ai suoi alunni. Anche oggi, infatti, trovo qualcuno che ha subìto: è Arianna, in lacrime, circondata da un drappello di compagni che l’assistono nel suo sfogo per l’ennesima frustrazione inflittale dalla collega di scienze. Mi avvicino: – Arianna, cosa ti è successo? – Non ce la faccio più prof, anche oggi quella di scienze mi ha interrogato e mi ha detto che tanto è inutile perché io non ce la farò mai a prendere più di quattro. Non ci posso credere; guardo gli altri che annuiscono con quella serietà che solo gli adolescenti sanno avere nei momenti di solidarietà. La sua amica Gaia conferma: – È vero prof, le ha detto proprio così, ma Arianna aveva studiato, sa? Ci siamo preparate insieme e la sapeva, mi creda, la sapeva. Arianna, ancora tra un singhiozzo e l’altro ma un po’ rianimata dal fatto che io mi interesso a lei, riprende: – Sì, ma tanto è inutile prof, io studio ma poi quando sono alla cattedra e quella mi guarda così… così con quello sguardo come se da me si aspettasse solo delle stupidaggini, io allora mi blocco, mi scordo tutto, faccio confusione, non lo so perché… La collega di scienze forse non è una persona così malvagia, ma è una di quelle insegnanti che intendono il proprio ruolo ancora come lo intendevano quei vecchi educatori, se così possiamo chiamarli, che pensavano di poter ricavare il meglio dai propri alunni solo con le maniere dure, le minacce e le previsioni di immani disastri. 55


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Arianna stava subendo più o meno il trattamento che prima o poi toccava a ogni suo compagno; infatti, alla seconda ora del martedì, mi trovavo spesso a dover consolare ora questo e ora quello, tutti vittime della collega di scienze. Io non sapevo cosa esattamente accadesse durante quella temuta e odiata ora di lezione, ma certamente qualcosa non funzionava. Avevo inutilmente cercato di affrontare il problema con la collega ma, pur avendo usato la dovuta delicatezza, lei si era chiusa a riccio trincerandosi dietro la fatidica frase: “Non studiano, non capiscono niente e poi vogliono i bei voti. E io? Cosa ci posso fare io se questi non studiano e sono duri come i sassi?”. Lo stesso concetto, opportunamente purgato delle implicazioni sul comprendonio dei ragazzi, lo ripeteva anche durante i consigli di classe quando a sollevare il problema era il coordinatore di classe o addirittura erano i rappresentanti dei genitori o degli alunni. Era tutto inutile: per lei il problema era degli alunni, anzi, il problema erano gli alunni, e non c’era niente da fare, se non studiavano lei non c’entrava proprio niente! In quel modo non si trovavano appigli per cercare di migliorare la situazione e inoltre gli alunni, temendo ulteriori recrudescenze da parte della loro insegnante, capitolavano miseramente promettendo che si sarebbero messi a studiare. Poveretti! I risultati di questo infelice rapporto tra insegnante e studenti erano sempre ben visibili sul cartellone degli scrutini: la fila dei voti di scienze brillava per il numero e per la gravità delle insufficienze. Questo è un aneddoto che vuole solo richiamare l’attenzione sul fatto che un rapporto sbagliato tra insegnante e alunni porta sempre a dei risultati fallimentari per tutti, insegnante compreso. A meno che non si tratti di quegli insegnanti che dell’uguaglianza tra insegnante temibile e insegnante bravo hanno fatto il loro vessillo: per loro la colonna di brutti voti nella propria materia non è affatto un loro fallimento, ma addirittura un motivo di orgoglio. Ma questi sono casi estremi, voglio sperare.

La metodologia Il principio che lega l’apprendimento alla componente umanistico-affettiva è uno dei più difficili da chiarire, infatti non è infrequente che sia confuso con il voler bene ai propri alunni, con l’essere disponibile ad aiutarli, come se questo implicasse un regalo di voti o mezzi voti; in breve viene confuso con un buonismo deleterio e decadente da maestrina d’altri tempi. Ma non è niente di tutto questo. Ormai da tempo uno dei miei obiettivi principali come insegnante è 56


5. Arianna – la componente umanistico-affettiva

quello di avvicinare gli alunni alla materia, farli appassionare, conquistarne la fiducia, la stima, la voglia di collaborare, di riuscire insieme, per indurli così a scoprire ogni volta la bellezza di ciò che studiano. Quello che ho cercato di creare è sempre stato un rapporto grazie al quale tutti noi, alunni e insegnante, siamo solidali nel voler raggiungere degli obiettivi comuni, con l’atteggiamento corretto da ambedue le parti. Quando entro in classe e presento un nuovo percorso didattico, corredato di tutte le tappe necessarie, magari anche con la prospettiva di un prodotto finale che mi permette di partire con il vento in poppa, lo faccio tenendo conto di diversi aspetti che hanno molto a che vedere con la componente umanistico-affettiva: • mi rivolgo agli alunni chiedendo se sono d’accordo a intraprendere quel determinato percorso; • ascolto le loro impressioni e, se è il caso, mi dispongo ad accogliere eventuali loro controproposte; • dopo che ho ricevuto il consenso della classe e tutti siamo d’accordo, passo a dettagliare il lavoro, sempre attenta alle reazioni dei ragazzi; • fornisco alcuni suggerimenti operativi usando proprio il verbo suggerire (vi suggerisco…) o sinonimi come sarebbe meglio, potete, potreste, provate a; • mi rivolgo a loro usando quasi sempre la prima persona plurale noi, dove io stessa sono inclusa nel gruppo, a indicare che mi associo a loro nel lavoro, per trasmettere forte e chiaro il messaggio che siamo soci, insieme formiamo una squadra; • prima di iniziare mi assicuro che ciascuno abbia a disposizione i materiali didattici necessari (per esempio, nel caso di distribuzione di fotocopie e simili, faccio in modo che ciascun alunno abbia la propria); • se devo correggere lo faccio in maniera discreta: nella comunicazione orale, se possibile, riprendo in maniera discorsiva la frase errata e la ripeto corretta; se non è possibile intervengo in maniera lieve, indicando la forma corretta e, senza soffermarmi, favorisco la continuazione del discorso da parte dell’alunno. A volte chiedo persino se preferiscono non essere interrotti e ascoltare le correzioni alla fine della loro performance (di solito preferiscono essere corretti in itinere). In caso di espressione scritta uso matite di colori diversi, non a seconda della gravità dell’errore ma magari a seconda della tipologia, per esempio arancio per il lessico, verde per le forme verbali, azzurro per le preposizioni, viola per i connettivi, e così via. Nei casi in cui questo sistema risulti troppo complicato mi limito a un colore unico, come verde o arancio. Il classico rosso/blu lo evito, perché richiama a un passato dal sapore a volte un po’ amaro. 57


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In sintesi, per costruire un rapporto collaborativo la comunicazione dell’insegnante con la classe dovrebbe ruotare intorno a verbi come chiedere, ascoltare, accogliere, disporsi a, ricevere il consenso, essere d’accordo, suggerire, associarsi, assicurarsi, favorire, limitarsi, evitare. Di contro ci sono alcuni atteggiamenti che cerco scrupolosamente di evitare: • usare forme dell’imperativo sia affermativo che negativo, soprattutto coniugate con verbi come dovere, essere tenuti a, ecc.; • dare per scontato che ciò che propongo è ciò che deve essere fatto indiscutibilmente; • non ammettere che il mio percorso possa non essere adatto a tutti i miei alunni (non considerare che per qualcuno non sia possibile raggiungere quegli obiettivi), e quindi non fare niente per migliorarlo; • non mantenere ciò che ho promesso, sia in termini di sviluppo del lavoro che di qualunque altro aspetto, dal più banale al più consistente; • “fare finta” di interessarmi a loro, ascoltarli, essere dalla loro parte, credere in ciò che fanno/dicono/propongono; • correggere facendo pesare l’errore: se si tratta di espressione orale non faccio smorfie, non sgrano gli occhi, non mi blocco con fare minaccioso; mi guardo bene dal ridicolizzare il malcapitato, insomma evito di sotterrare gli alunni sotto il peso dei loro errori. Se si tratta di espressione scritta evito di marcare l’errore sul foglio tracciando tremendi segni rosso/blu (a seconda della gravità dell’errore), come ho esposto sopra. Tutto questo, solo per iniziare, ma il punto centrale è che cosa accade dopo che il lavoro è stato avviato. Nei Capitoli 2 e 3 abbiamo esaminato lo sviluppo dell’unità di insegnamento/apprendimento dal punto di vista didattico. Dal punto di vista umanistico-affettivo è come se insegnante e alunni fossero partiti insieme per un viaggio che li accomuna, li stimola, li incuriosisce e – perché no? – li diverte. Quando si stabilisce questo tipo di rapporto tutto cambia. Iniziano i lavori, si formano i gruppi, la classe si trasforma in una fucina del fare, l’atmosfera si riscalda. Inizia lo svolgimento delle diverse attività: comunicative, naturalmente. È giunto il momento di chiedersi che cosa ciò comporta. Anche se tutto – turni di parola, ritmi di lavoro, ecc. – procede con un certo ordine, la lezione è caratterizzata da una grande vivacità: quando ad esempio i ragazzi lavorano a coppie (si presuppone che in una classe si formino circa 14/15 coppie) e ogni coppia ha un compito comunicativo da svolgere, è chiaro che non può e non deve esserci silenzio! Come ho già detto, io sto in mezzo a loro, seguo i loro lavori, mi soffermo tra i gruppi, li ascolto, parliamo insieme di ciò che stanno facendo, colgo anche le loro battute che spesso sono davvero divertenti, ridiamo insieme, scherziamo! Lavoriamo sodo. 58


5. Arianna – la componente umanistico-affettiva

Quando ero all’inizio della mia avventura con il metodo comunicativo, forte degli insegnamenti di avanguardia di chi godeva (e gode ancora) di tutta la mia stima, imbastivo tutto questo e mi sentivo morire all’idea di potermi rovinare la reputazione di insegnante seria e responsabile nel caso in cui qualcuno (un collega, il preside, persino un bidello), entrando nella mia classe e, trovando un ambiente così diverso da quello che si sarebbe aspettato di trovare, si facesse un’idea sbagliata su come conducevo la lezione. Ciononostante non ho mai cambiato una virgola nel mio modo di lavorare e con il passare degli anni ho rafforzato le mie convinzioni, ho acquistato sicurezza e, devo essere sincera, a volte ho anche sperato di riceverle, quelle visite, tant’è che mi ero anche preparata la battuta per il visitatore inaspettato: – Mi fa piacere che tu sia qui con noi, proprio adesso che stiamo nel pieno del processo di apprendimento, perché vedi… e lì avrei spiattellato un po’ di sana teoria che, secondo me, avrebbe chiuso la bocca a chiunque. Non mi è mai capitato di poterlo fare. Tornando a noi, è chiaro che la qualità del rapporto che l’insegnante stabilisce con gli alunni determina cambiamenti significativi nel loro modo di vivere la scuola. Tutto assume un aspetto diverso, tutto diventa più disteso; il clima è di fiducia, costruttivo, gradevole, umano, sicuramente più efficace dal punto di vista dell’apprendimento e più salutare per lo stato d’animo degli alunni. E dell’insegnante. Non si è mai sentito di alunni il cui apprendimento sia stato favorito da minacce, umiliazioni, punizioni, sbeffeggiamenti di sorta! Un altro fraintendimento del principio umanistico-affettivo riguarda l’aggettivo umano che, associato all’insegnante, tradizionalmente significa buono/a, amorevole, paterno/materna. Invece, come abbiamo visto, per noi da ora in poi significa: autentico, vero, disponibile a collaborare. Quest’ultima espressione, che nella didattica tradizionale si riferisce esclusivamente agli alunni, assume un rilievo particolare nell’approccio comunicativo, secondo cui è fondamentale che essa sia riferita anche all’insegnante. Ciò significa voler bene ai propri alunni? Sicuramente sì, ma nel senso di volere il loro bene, quindi nel senso di attivare tutte quelle strategie necessarie perché possano ricavare il meglio dalla lezione e dalle loro risorse, perché possano dare il meglio di sé, e non solo in termini di competenze disciplinari ma anche dal punto di vista umano. Avvicinarsi in maniera autentica a loro significa anche conoscerli e farsi conoscere, quindi quello che si stabilisce è un rapporto umano nel vero senso della parola. Ciò significa essere disponibili ad aiutare gli alunni? Certamente sì, ma nel senso di metterli in condizione di raggiungere gli obiettivi fornendo loro tutti gli strumenti necessari per farlo in maniera autonoma e quindi digni59


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tosa, non nel senso di regalare voti o frazioni di voto (come spesso si fraintende). L’autenticità del rapporto tra insegnante e alunni e la disponibilità che l’insegnante ha verso di loro sono anche garanzie di correttezza e di reciproco rispetto, che nulla tolgono all’autorevolezza del docente ma anzi la rafforzano. La disponibilità dell’insegnante a collaborare si manifesta anche in quei momenti in cui un alunno si trova in difficoltà: invece di abbandonarlo o di fomentarne i sensi di colpa per non aver studiato abbastanza, l’insegnante cerca insieme all’alunno di capire la natura della difficoltà, gli fornisce ulteriori strumenti e, se il problema è imputabile anche a uno scarso studio, non lo liquida con una comoda esortazione a studiare di più (questo lo sa anche lui/lei), ma lo indirizza in base al tipo di problema che insieme hanno individuato: gli dà dei consigli che valorizzino il suo impegno e insieme cercano di convenire su un’azione tattica, la più adatta ed efficace possibile. In questo modo probabilmente quell’alunno avrà molte più occasioni di recuperare, rispetto a quello che viene lasciato al suo destino. Se poi, nonostante tutto, la situazione non migliora (cosa che può accadere), quell’alunno è consapevole, sa perché è andata così, non si sente tradito, sa che comunque lui e l’insegnante ci hanno provato. In lui non c’è rancore, quel cupo sentimento che spesso ammorba quei ragazzi che si sono sentiti traditi e che si traduce in espressioni come: “Non me l’aspettavo”, “Il prof ce l’ha con me”, “La prof non mi ha più voluto interrogare”, “Non capisco perché: ce l’avevo quasi, la sufficienza”, “Ha aiutato tutti, poteva aiutare anche me”, e così via. A questo proposito ricordo un’alunna che alla fine dell’anno, dopo che anche gli ultimi tentativi erano falliti, mi si avvicinò in lacrime e, a modo suo, mi chiese scusa per non essere stata capace di darmi la soddisfazione che a suo parere meritavo, cioè quella di riuscire a recuperare, come ambedue avevamo sperato. Ma in quel caso erano subentrati altri fattori. Ciò che fa la differenza è dunque l’atteggiamento dell’insegnante: quello che abbiamo osservato finora è ben diverso dal caso limite della sopra citata insegnante di scienze che lanciava anatemi di fallimenti irreversibili ad alunni annichiliti e terrorizzati. Anche senza chiamare in causa casi così estremi, sono molti i danni provocati da certi comportamenti assunti dal docente: dal favorire la famigerata dispersione scolastica, con conseguenze disastrose per la vita dei giovani, al lasciare impronte negative nella loro personalità. Inoltre c’è da tener presente che non tutti i ragazzi reagiscono ai fallimenti allo stesso modo: ci sono quelli più corazzati che tirano avanti senza perdersi d’animo, ma ci sono anche quelli che non riescono a trovare le risorse necessarie per la sopravvivenza, sia scolastica che psicologica, riportando danni spesso anche gravi. 60


6. Alice – L’autenticità e la concretezza Il caso Questo episodio può essere ben esemplificativo di quanto la scuola, pur senza volerlo, possa influire sull’autenticità dei ragazzi, per lo meno circa la didattica delle lingue. Immaginate un’attività il cui scopo sia riconoscere alcuni personaggi del mondo della cultura ispanica: vengono presentate le foto dei personaggi e, in un box a parte, i nomi che devono essere associati alle immagini usando i pronomi dimostrativi in un contesto comunicativo autentico. Si tratta di un’attività realmente comunicativa: c’è il gap comunicativo, una buona dose di motivazione e un’implicazione personale, visto che si lavora su alcuni personaggi che i ragazzi conoscono e seguono. E poi c’è la sfida: sapranno riconoscerli tutti? Assegneranno loro il nome corretto? Alcuni personaggi fanno parte del passato, ma non del passato dei ragazzi. Per loro Picasso o Dalí sono sconosciuti. Picasso potrebbe avere i baffi a manubrio e Dalí la maglietta a righe, e se anche sanno qualcosa del Guernica e del suo autore, non sanno dare un volto al geniale pittore. Insomma, è un’attività che ha la giusta mescolanza di tutti quegli ingredienti metodologici che rendono il compito autentico e con il giusto livello di difficoltà. Nei nostri libri di didattica della lingua troviamo spesso attività di questo tipo, ma la realtà di classe spesso può distorcerne l’autenticità. Al via i ragazzi partono come Bolt sulla pista dei 100 metri. È una gioia vederli e udirli mentre parlano in spagnolo, muovendo i primi passi nella lingua di Cervantes (che loro confondono spesso con Gabriel García Márquez), e osservare con quale serietà discente comunicano realmente tra loro: – Esta es Penelope Cruz, ¿verdad? – Sí, sí es ella. Oppure: – ¿Y este es Piqué, no? – Pues, no, este es Xavi Alonso, Piqué es este. – No sé, ni idea. Io passeggio tra i banchi, ascolto, aiuto, correggo con il mio approccio comunicativo, scambio qualche battuta, ovviamente in spagnolo, su un certo cantante che piace alle ragazze o su quel calciatore che (quasi) tutti i ragazzi 61


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vorrebbero essere. Sono momenti magici, in cui ci si rende conto che i ragazzi stanno davvero parlando e che, ognuno secondo il proprio livello, riescono tutti a comunicare. Così continuo a passeggiare tra le coppie e sono felice nel constatare che un’altra sfornata di ragazzini sta per prendere il volo linguistico. Ecco che imperiosamente Alice alza il braccio, io mi avvicino e lei, sussurrando per non farsi sentire dagli altri, mi dice in italiano: – Prof, devo fare finta, no? – ¿En qué sentido Alice? – Insomma, faccio come in inglese, anche se so la risposta, faccio finta di non saperla! Alice, cresciuta in una cultura didattica che sacrifica l’autenticità della comunicazione alla rigidità dell’approccio grammaticale tradizionale, era abituata a fare finta: consapevole che l’obiettivo del compito che le veniva richiesto di svolgere era dimostrare la conoscenza di una particolare struttura grammaticale, Alice adeguava le proprie risposte a questo obiettivo, rinunciando a esprimersi in modo autentico per simulare risposte che rendessero evidenti la sua conoscenza della grammatica. Nelle classi che per la prima volta si rapportano a un approccio orientato all’azione questi episodi non sono infrequenti e molti dei nostri sforzi iniziali sono rivolti proprio a rimuovere questi atteggiamenti e a riportare negli alunni il senso della realtà, della concretezza, dell’autenticità di ciò che fanno. Essere autentici come persone, realizzare un insegnamento autentico a livello di contenuti e autentico per modalità di comunicazione: ecco quello che dobbiamo proporci come insegnanti di lingua straniera, e non solo.

La metodologia Nella vita di tutti i giorni è autentico tutto ciò che facciamo spinti dai nostri bisogni reali: facciamo cose, ci muoviamo, ci rapportiamo agli altri, in maniera autentica perché è autentica la necessità che mette in moto il nostro comportamento. La domanda è: perché in classe dovrebbe essere diverso? – Perché la classe è una realtà diversa dove non è possibile ricostruire le situazioni reali della vita quotidiana. – Ma anche la vita di classe è fatta di persone e di condizioni dove ciascuno può muoversi come agente sociale e non come un pappagallino ammaestrato. – Potremmo però ricorrere alle simulazioni, no?

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6. Alice – l’autenticità e la concretezza

Ma tra la simulazione e la situazione autentica esistono differenze sostanziali: vediamole attraverso alcuni esempi, sempre riguardanti una lezione di spagnolo. L’insegnante sta lavorando suell funzioni comunicative relative a formulare un invito/rispondere rifiutando e avanzando delle giustificazioni/fare una controproposta/accettare.

Classe A Insegnante: Matteo, tu sei Manuel, e tu Elisa, sei Carmen: Manuel e Carmen si incontrano per strada e, dopo i primi saluti, Manuel chiede a Carmen se domani pomeriggio vuole uscire con lui per andare a fare spese. Carmen gli risponde di no perché deve andare alla festa di compleanno della sua amica. Manuel le propone un altro giorno ma Carmen deve andare dal dentista: alla fine restano d’accordo per un altro giorno ancora. Matteo ed Elisa, riluttanti e imbarazzati, si prestano a questa simulazione. Il resto della classe assiste. L’insegnante interviene con le opportune correzioni e con altri eventuali suggerimenti sullo sviluppo dell’incontro. La scena può ripetersi con altre coppie.

Classe B Insegnante: Avete molti impegni nell’arco di questa settimana? Provate a creare, ciascuno per proprio conto, una scheda dove riportate i giorni della settimana e, in corrispondenza di ogni giorno, tutti gli impegni che avete, cercando di indicare anche gli orari. Cercate di non far vedere la scheda al compagno. Gli alunni si mettono al lavoro e dopo circa 5/7 minuti ciascuno ha la propria scheda. I: Adesso ciascuno compila una lista di cose che gli piacerebbe fare insieme al suo compagno: dopo gliele proporrà. Dopo circa 5 minuti le liste sono pronte. I: Adesso, in coppia, a turno, cercate di stabilire quando potete incontrarvi nel corso della settimana, in base ai vostri impegni, per fare ciò che ciascuno ha pensato di fare insieme al compagno. Potete anche decidere di spostare alcuni impegni, se è possibile e se vi interessa molto la proposta del compagno. Esaminiamo le due situazioni. Nel primo esempio è evidente che si tratta di una simulazione dove gli alunni assumono le identità di personaggi im63


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maginari a loro estranei. Essi sono attori (diciamo così) di situazioni che non appartengono alla propria realtà: in altre parole, non c’è autenticità. Nel secondo esempio ci troviamo di fronte a una situazione dove ciascuno partecipa portando con sé la propria realtà: gli impegni della settimana, le uscite da proporre al compagno, le reazioni in base agli impegni reali. Tutto è autentico. Qualcuno potrebbe obiettare che in fin dei conti anche in questo caso la situazione non nasce da un reale bisogno dell’alunno ma è pilotata dall’insegnante. È ovvio che è l’insegnante a mettere in moto il meccanismo della comunicazione; non potrebbe essere altrimenti, dal momento che si agisce in un ambiente di apprendimento organizzato. Ma in questo secondo caso ciò che l’insegnante propone è una situazione autenticita, perché ciascuno è se stesso con la propria vita, con le proprie attività di tutti i giorni, e perché ciascuno è lasciato libero di decidere il proprio modo di essere nel rapportarsi all’altro. Inoltre non è escluso che questa attività favorisca la nascita di un rapporto di amicizia tra compagni di classe o che contribuisca al consolidamento di un rapporto di amicizia già in avviato, investendo quell’aspetto umano così fondamentale nell’approccio comunicativo. Cosa accade dal punto di vista linguistico quando gli alunni comunicano in situazioni di autenticità? La spontaneità con la quale gli alunni costruiscono il significato si basa sul fatto che gli aspetti linguistici sono ogni volta il più possibile adeguati a una specifica situazione: l’alunno non si accontenta di dire la prima cosa che gli viene in mente, non pensa “Tanto mi basta parlare”, come avviene in contesti non autentici. Quando c’è autenticità la lingua è davvero un veicolo di comunicazione: l’alunno vuole davvero far sapere al compagno che se non può uscire con lui è perché ha questo o quell’impegno, e cercherà anche di farlo in modo che il suo rifiuto venga recepito correttamente dall’altro, senza urtarne la sensibilità; adotterà strategie comunicative adeguate e cercherà le espressioni linguistiche più opportune; forse si sentirà in dovere di fare una controproposta per non piantare in asso il compagno; insomma, si comporterà in maniera autentica e attiverà le strategie comportamentali del caso. Tutto questo non accade nel caso della simulazione, dove gli alunni non agiscono per se stessi ma per conto di altri. Poiché non si espongono in prima persona la comunicazione rimane sterile e si esaurisce in breve tempo, senza implicazioni sociologiche e neppure semplicemente umane. Un giorno mi trovavo ferma sul pianerottolo delle scale della scuola e stavo parlando con il dirigente scolastico. Una mia alunna mi si avvicinò e, in uno spagnolo fluido e naturale, mi chiese se poteva parlarmi. Io, scam64


6. Alice – l’autenticità e la concretezza

biato un rapido cenno di assenso con il preside, mi disposi ad ascoltarla e lei mi sottopose un piccolo problema circa la lezione dell’indomani; dopo una breve negoziazione giungemmo a una soluzione comune, il tutto rigorosamente in spagnolo. La ragazza ringraziò e ci salutò graziosamente, rivolgendosi a me in spagnolo e al preside in italiano. Il preside era rimasto a osservare la scena in silenzio, quasi incredulo, e quando la ragazza si allontanò, mi disse compiaciuto e con fare ammiccante: – Ma allora voi fate davvero sul serio! Ciò che aveva suscitato la meraviglia nel preside non era tanto il fatto che la ragazza sapesse parlare spagnolo (poteva essere anche normale, visto che lo studiava) ma che avesse scelto di parlarlo fuori dalla realtà di classe, in un contesto non facile, addirittura in sua presenza, e per di più con scioltezza e assoluta autenticità, cioè senza la tensione e la ritrosia di chi parla una lingua straniera una tantum. Era stata la sua autenticità a stupire il preside. Il titolo del presente capitolo fa riferimento anche al concetto di concretezza, che va di pari passo con quello di autenticità. Come abbiamo visto in altri casi, i diversi principi si intrecciano e si compenetrano nel tessuto del percorso didattico. Il principio della concretezza è in perfetta sintonia anche con il concetto di compito, inteso, come abbiamo esposto prima, nel senso di realizzare un prodotto concreto. Nell’enfoque por tareas la creazione di un prodotto finale è quanto di più concreto possiamo immaginare dal punto di vista didattico, è il motore per eccellenza che dà energia alla motivazione e contribuisce efficacemente a portare avanti il percorso di apprendimento. Il compito in sè, però, non è sufficiente a rendere concreto tutto il processo: tale concretezza va rispettata anche nelle attività di apprendimento intermedie, che conducono verso la realizzazione del prodotto finale. Le attività intermedie infatti, diverse a seconda della tipologia e delle risorse impiegate, propongono il nuovo attraverso obiettivi comunicativi, tenendo conto anche dell’esistenza di intelligenze multiple, e puntano alla costruzione del significato piuttosto che all’apprendimento di elementi discreti, come invece accade negli esercizi che caratterizzano la didattica tradizionale. È per questo che vogliamo mantenere ben distinti i due termini: attività comunicativa ed esercizio. Supponiamo che il lavoro di classe sia giunto all’unità dedicata agli acquisti. L’insegnante usa la funzione comunicativa parlare di prezzi come attività intermedia. Si può procedere in vari modi: qui proponiamo di esaminare due diverse situazioni di apprendimento, una portata avanti tramite un esercizio, l’altra tramite l’approccio comunicativo, cioè tramite un’attività comunicativa. Gli esempi sono qui presentati in italiano ma nel materiale originale sono in lingua spagnola. 65


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Classe A: la situazione di apprendimento Il libro propone diverse vignette (negozi, commessi, clienti): in ciascuna vignetta è rappresentata una diversa situazione commerciale dove si parla di prezzi. Consegna Leggi/ascolta i dialoghi delle vignette qui riportate. La tipologia dei dialoghi potrebbe essere più o meno questa: A: Buongiorno, vorrei vedere quella maglietta in vetrina. B: Quale, quella rossa o quella verde? A: Quella verde, grazie. B: Questa? A: Sì questa, quanto costa? B: Questa costa 45 €. A: Va bene, la prendo. Esercizio Adesso costruisci tu un dialogo in un negozio./Immagina di dover comprare un paio di pantaloni e costruisci il dialogo tra te e la commessa.

Classe B: la situazione di apprendimento Il libro propone l’immagine di un grande magazzino con diversi negozi vuoti. In un’altra parte della pagina vediamo, in ordine sparso, oggetti di diverso tipo (vestiario da donna/uomo/bambino), e in un’altra ancora alcuni cartellini con prezzi differenti. Attività Con il tuo compagno provate a ricostruire un negozio di vestiario a vostra scelta (da uomo, donna o bambino) e a ciascun oggetto associate il prezzo secondo voi più giusto. L’esempio vi può servire: A: Secondo me questa maglietta può costare 55 €. B: No, secondo me 55 € va bene per i pantaloni, la maglia costa meno, 40 €. A: Allora i pantaloni costano 55 € e la maglia 40 €, va bene? B: D’accordo. 66


6. Alice – l’autenticità e la concretezza

Di seguito vi forniamo alcune espressioni utili: Quanto costa? Quanto viene? Quant’è?/Questa/o costa, viene…, Sono… euro Quanto costano? Quanto vengono? Questi/e costano, vengono… euro. Alla fine potremo anche dare vita a un vero mercatino dove ciascuno va a spendere fino a un massimo di 200 € nei diversi negozi che ogni coppia ha ricostruito. Quale delle due proposte applica il principio della concretezza? Certamente la seconda. Ma non è questo il punto, vista l’ovvietà della risposta. La domanda interessante è invece: perché applicare questo principio della concretezza a un’attività di apprendimento intermedia? Non andavano bene anche i brevi dialoghi delle vignette scelti per la Classe A? Vediamo alcuni motivi per cui l’esercizio della Classe A non ci sembra adeguato: • l’alunno lavora da solo, ma anche se lavorasse in coppia, magari ricorrendo alla simulazione, l’esercizio di per sé non sarebbe comunicativo, perché si limita a ricalcare un modello e tutto si esaurisce lì; • manca una situazione problematica che dia la motivazione per la ricerca di una soluzione: in altre parole, l’esercizio è sterile; • l’alunno non ha stimoli motivazionali: esegue solo ciò che gli viene detto; • manca l’autenticità: l’alunno non è spinto ad agire/comunicare da alcun bisogno reale; • è un esercizio dove l’alunno non fa delle scelte, non formula ipotesi, non valuta i risultati, insomma è un esercizio sganciato da un processo di apprendimento; • non comporta nessuna creatività per l’alunno. Nel caso della Classe B, la concretezza della proposta didattica basata su una situazione problematica autentica è uno stimolo motivazionale: ricostruire una situazione commerciale significa fare delle scelte, quindi avanzare delle ipotesi, giustificarle, confrontarle e rivederle fino alla definizione del significato. L’attività, poi, non si esaurisce in una sola fase, che poteva anche essere sufficiente per l’apprendimento, ma si completa con una ulteriore fase che è quella dell’espansione di ciò che è stato appreso: dare vita al mercatino di classe. Quindi è anche un’attività creativa, gratificante. Concludendo le nostre osservazioni sulla concretezza, diciamo che è concreta tutta l’azione in cui l’alunno viene impegnato e condotto verso risultati confrontabili e modificabili da parte dello stesso alunno, che ha la chiara percezione di ciò che fa, del perché lo fa, e di come deve essere fatto. 67


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Quindi non è concreto solo ciò che è riconducibile a materiali come cartelli, filmati, dossier, eventi, ecc., ma lo è tutto ciò che rappresenta l’organizzazione sistematica e cosciente di un lavoro che passa attraverso un percorso di costruzione. Si parla di didattica concreta perché in questo modo gli alunni costruiscono il loro sapere.

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7. Valentina – L’apprendimento collaborativo Il caso Sto attraversando il corridoio del secondo piano quando vedo Valentina, un’alunna di terza, fuori dall’aula, scura in volto: – Valentina, che ci fai qui fuori? Lei mi guarda cupa e mi risponde a voce bassa: – Mi ha buttato fuori… quella di matematica! È imbarazzata, si sente a disagio, ha l’aria di chi ha subito un’ingiustizia. Mi soffermo con lei, mi dispiace lasciarla lì così. La guardo interrogativa: – Ti ha buttato fuori dalla classe? E perché? – Perché parlavo con Giulia. – Come, parlavi con Giulia? Non è possibile che ti abbia buttato fuori per questo. Valentina solleva il capo e dà la sua spiegazione: – Sì, era la terza volta che mi sgridava perché continuavo a rivolgermi a Giulia. Ma tutto è successo perché lei, la prof, aveva spiegato delle cose nuove ma io non avevo capito e allora quando ci ha dato l’esercizio da fare, ho chiesto a Giulia, ma l’ho fatto così… perché magari mi poteva aiutare a capire, non volevo mica copiare da lei! Io sono interdetta, poi opto per l’atteggiamento politicamente corretto che tradotto nella realtà del caso suona più o meno così: quando gli alunni si lamentano di un professore, prendere sempre le parti del collega. Quindi le dico: – Be’, non ha tutti i torti l’insegnante, se l’esercizio andava fatto da soli non dovevi chiedere a Giulia! Magari se non avevi capito potevi chiedere alla professoressa, no? Valentina mi guarda incredula, poi esplode: – Cosa? Chiederle spiegazioni? Ma lei prof non la conosce! In questi casi ci chiama alla lavagna e ci fa passare per stupidi davanti a tutti! E poi prof, proprio lei mi dice questo! Proprio lei che ci fa lavorare in gruppo e che ci dice sempre di collaborare e portare avanti insieme il lavoro che stiamo facendo perché è così che impariamo! Mi sento a disagio, ho sbagliato, mi rendo conto che con quella risposta falsa (perché non era affatto quello che pensavo) ho tradito Valentina, che 69


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continua a guardarmi esterrefatta, forse anche stupita della sua stessa reazione. Mi riprendo e cerco di rimediare: – Hai ragione Valentina, ma non tutti gli insegnanti lavorano allo stesso modo, è una questione di scelta metodologica, lo vedi anche da te, che siamo tutti diversi, no? Per la prof di matematica la collaborazione tra compagni in classe non è ammissibile, per altri come me è un punto fermo, e purtroppo voi alunni dovete adattarvi ogni volta allo stile di insegnamento del professore di turno. – Lo so prof, è vero, ma mi creda, quando uno si trova bene con un metodo non è mica tanto facile rassegnarsi a quell’altro! Magari potessimo lavorare in gruppo come facciamo con lei! Sa quanti problemi in meno avremmo? Ma invece è solo lei che ce lo fa fare, sa? Tutti gli altri non ce lo permettono, anzi, si infastidiscono quando vedono che i banchi sono stati spostati per i lavori di gruppo che facciamo con lei! Valentina è una ragazza intelligente e anche molto franca e diretta; con questa risposta mi dimostra che ha capito tutto. E anch’io. Inoltre, da allora non mi sono mai più schierata a difendere posizioni che non condivido. Che lezione! Grazie, Valentina! L’episodio di Valentina mi richiama alla memoria le mie tribolazioni di studente, già a partire dagli anni delle elementari, per quanto riguarda la matematica. Ancora oggi, quando ci ripenso, non mi spiego l’intransigenza di una maestra quando cercavo aiuto dalla mia compagna, appunto durante la lezione di matematica. Il timore di espormi al ridicolo o chissà, anche di essere messa ulteriormente in difficoltà, mi impediva di ricorrere alla maestra per cercare di capire qualcosa di più. La profonda e totale solitudine in cui sprofondavo nel rapportarmi ai numeri mi gettava in un tale stato di angoscia e di sconforto che da allora non mi sarei più ripresa dai fallimenti in quella materia. Il risultato di questa condizione di apprendimento è stato devastante e duraturo tanto che anche oggi per me il numero è ancora qualcosa di misterioso e… pericoloso.

La metodologia Quando un alunno si avvicina a un compagno in cerca di aiuto rivela la necessità di collaborare con un proprio pari, nel tentativo di formulare delle ipotesi per la costruzione di significato, confrontarle, cercare soluzioni insieme, scambiare punti di vista. Ciò risponde alla necessità di avere qualcuno con cui condividere l’esperienza dell’apprendere. 70


7. Valentina – l’apprendimento collaborativo

Non per nulla Lev Vygotskij (1896-1934) è passato alla storia della pedagogia anche per aver definito il principio della zona di crescita prossimale1, cioè la distanza tra il livello reale di sviluppo dell’individuo, determinato dalla capacità di risolvere in maniera indipendente un problema, e il livello di sviluppo potenziale, determinato attraverso la risoluzione di un problema sotto la guida di un adulto o in collaborazione con un compagno più capace. Di più immediato impatto è questa massima, efficace nel riassumere il pensiero dello psicologo: ciò che oggi imparo a fare insieme a un compagno, domani saprò farlo da solo. Non sempre la tradizionale spiegazione del maestro o del professore è esaustiva per l’alunno: per quanto il professore fornisca la migliore performance didattica, l’alunno ha bisogno dei suoi tempi e del suo spazio per fare pratica secondo i suoi ritmi di apprendimento e le sue modalità, deve mettere alla prova ciò che ha appreso, deve poter fare errori e correggersi, sperimentare il nuovo, valutare i suoi risultati e confrontarli con quelli degli altri. Inoltre, il fatto di scambiare con uno o più compagni le diverse ipotesi/opinioni equivale a “fare le prove” con chi, suo pari, non si scandalizza per eventuali errori, cosa che invece può creare dei problemi al momento di esibirsi davanti al professore e davanti all’intera classe. Lo scambio di prospettive diverse rappresenta una grande risorsa per la crescita, che può concretizzarsi solo se si crea un ambiente favorevole alla cooperazione. Tutto questo comporta che il docente possa disporre di materiali didattici che prevedano l’attivazione degli aspetti collaborativi, cioè materiali in cui il cammino di scoperta sia segnato da attività che vedano l’alunno impegnato a risolvere situazioni problematiche in collaborazione con i compagni. Il buon risultato di un lavoro di gruppo dipende da una serie di fattori. Vediamoli.

L’attività proposta L’attività deve essere ben ancorata al percorso didattico, sufficientemente motivante e condurre a risultati significativi e osservabili; le consegne devono essere formulate in maniera chiara e inequivocabile.

1.

L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, Laterza, Roma-Bari 1990.

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Il tempo che l’insegnante concede alla classe prima di condividere i risultati Prima di iniziare l’attività l’insegnante comunica agli alunni il tempo previsto per giungere al risultato in modo che gli alunni si organizzino in base a esso.

Il rigore con cui l’insegnante segue i lavori L’insegnante mantiene un atteggiamento collaborativo; come già detto in precedenza, passa tra i gruppi, si sofferma per prendere atto di come procedono, è disponibile nell’aiutare a superare le eventuali difficoltà. In altre parole, è vigile e sempre presente, partecipe egli stesso del lavoro.

L’equilibrio tra i gruppi È preferibile che i gruppi si formino in modo spontaneo, ma se l’insegnante nota che qualcosa non va deve intervenire. I casi problematici possono essere i seguenti: • a volte, soprattutto quando la classe non è abituata a lavorare in gruppo, può accadere che un alunno (o più di uno) tenda a non prendere parte attiva e a lasciare che siano gli altri a portare avanti il lavoro; questo perché può essere meno motivato, più pigro, più timido o meno inserito; • in altri casi alcuni alunni tendono invece ad assumere il ruolo di leader e a rendere difficile la partecipazione agli altri compagni; • può anche accadere che alcuni alunni, abituati alle lezioni di tipo tradizionale, dove la prassi didattica prevede un atteggiamento volto alla ricezione passiva, confondano il lavoro di gruppo con un gioco e di conseguenza non prendano sul serio le attività proposte. In questi casi, l’attivazione di dinamiche di gruppo corrette prevede un grande sforzo iniziale da parte di tutti, soprattutto dell’insegnante, che deve intervenire a seconda del tipo di problema. Per formare gruppi il più possibile equilibrati possono essere utili le indicazioni seguenti. Formare i gruppi secondo lo stile di apprendimento In ciascun gruppo andranno inseriti alunni che presentano caratteristiche di apprendimento diverse/complementari. Formare i gruppi secondo gli aspetti psicologici e della personalità All’interno del gruppo è opportuno assegnare a ciascun alunno un compito specifico che gli faccia sentire l’importanza del suo contributo. All’a72


7. Valentina – l’apprendimento collaborativo

lunno leader andrà assegnato un ruolo di osservatore/moderatore, in modo che impari ad apprezzare gli aspetti positivi del saper ascoltare; all’alunno che tende a non partecipare andrà assegnato un compito di maggiore responsabilità che lo faccia sentire impegnato in prima persona. Fare leva sul senso di responsabilità è opportuno proporre attività il cui risultato sia immediatamente verificabile, in modo che gli alunni si sentano costantemente impegnati a rendere conto del loro lavoro. Composizione variabile dei gruppi Si possono formare gruppi di diversa consistenza numerica a seconda del tipo di attività che gli alunni stanno svolgendo e delle fasi del processo in cui si colloca ciascuna attività. a) Lavoro individuale. Quando l’alunno: • è impegnato in attività di ascolto; • è impegnato in attività di lettura; • riflette su aspetti emozionali che il testo gli suscita; • richiama le sue conoscenze previe o risale al suo vissuto; • sta operando in una determinata fase della verifica finale. b) Lavoro in coppia. Quando gli alunni: • scambiano informazioni e opinioni sulle loro conoscenze e/o esperienze di vita; • formulano ipotesi; • confrontano e verificano le loro ipotesi per confermarle o riformularle; • elaborano un processo di analisi, mirato a definire e approfondire; • collaborano per il recupero e la sistematizzazione dei dati; • confrontano le loro emozioni e attivano un processo di analisi sulle stesse. c) Lavoro in gruppo. Quando si tratta di: • elaborare un processo di analisi più ampio (mirato ad ampliare, recuperare e confrontare uno o più elementi); • creare un prodotto (in forma parziale, durante lo svolgimento delle attività intermedie, o nella sua interezza come prodotto finale); • mettere a punto un intervento finale (presentazione, esibizione…). 73


d) Condivisione in classe. Per: • negoziare e prendere decisioni (trasversale a tutto il processo); • confrontarsi sul risultato di un’attività intermedia che rappresenta una tappa significativa del processo; • condividere i risultati di tutti i gruppi al fine di conoscerli e confrontarli; • assemblare più risultati al fine di ottenere un prodotto unico, rappresentativo dell’intera classe.


8. Alessandro – L’apprendimento significativo Il caso – Prof, ma questo dobbiamo studiarlo a memoria? Alessandro è un ragazzo di prima, molto diligente, e ci tiene a fare sempre bella figura. Abbiamo appena terminato una lezione durante la quale gli alunni sono stati impegnati in diverse attività comunicative e abbiamo tirato le somme su tutto quanto di nuovo è emerso. Questa improvvisa domanda mi sorprende e lì per lì rimango interdetta: – A memoria? Perché a memoria? – Sì, prof, tutto questo che abbiamo fatto, lo studiamo per la prossima volta? Per me è ovvio che ciò che abbiamo trattato oggi in classe rimarrà comunque nella loro sfera cognitiva, visto che abbiamo lavorato in maniera efficace e significativa. Magari a casa dovranno riprendere ciò che abbiamo trattato e fissarlo meglio attraverso altre attività parallele, ma non mi era venuto in mente di farlo imparare a memoria. Assegno loro alcune attività da svolgere a casa e, rispondendo alla domanda di Alessandro, metto in chiaro che il mio obiettivo è che le attività che facciamo in classe lascino una traccia importante in ciascuno di loro; poi a casa ciascuno attiverà le sue strategie personali per cercare di fissare meglio il nuovo: ci sarà chi rifletterà su ciò che abbiamo trattato, chi farà altri esercizi, chi stenderà una lista delle cose nuove e le imparerà a memoria; tutto dipende dallo stile di studio, che è del tutto personale e sul quale io non posso intervenire. Mi guardano un po’ meravigliati ma alcuni anche soddisfatti, grati che qualcuno riconosca loro il diritto di gestire il proprio studio, e la discussione finisce lì. Alla lezione successiva Alessandro mi aspetta sulla porta dell’aula e mi dice: – Prof, sa che aveva ragione? Sa che mi sono accorto che non avevo poi tanto bisogno di mettermi a studiare a memoria le cose nuove? Mi sono accorto che in fin dei conti le sapevo già, le avevo imparate in classe, mi è bastato riprenderle e sistemarle per bene sul quaderno. Quale prova più valida potevo aspettarmi a conferma che la lezione era stata significativa? E che quindi anche il loro apprendimento era stato significativo? 75


IMPARARE PER COMPETENZE

La metodologia Cosa intendiamo dunque con il termine significativo? Significativo è qualcosa che ha un’incidenza tale da lasciare una traccia sensibile là dove si deposita: sulla pelle, nel cuore, nella sfera cognitiva, nel magazzino delle esperienze di vita. Quindi se parliamo di apprendimento significativo intendiamo un apprendimento capace di cambiare in maniera sensibile, e forse anche irreversibile, il terreno dove si posa, costituendo un’esperienza tutt’altro che labile o superficiale. Nelle pagine precedenti abbiamo visto quanto la componente umanisticoaffettiva possa influire sul buon esito dell’azione di insegnamento/apprendimento, e di fatto la ritroviamo con tutta la sua forza anche nel nuovo principio che esaminiamo in questo capitolo. Gaetano Domenici, nel suo Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, afferma l’importanza della «formazione […] di conoscenze, abilità e competenze che siano […] almeno significative per ciascuno e tutti gli allievi, cioè capaci di coinvolgerli sul piano cognitivo come su quello affettivomotivazionale (non vi è apprendimento senza emozione)»1. Carl Rogers, il padre della psicologia umanistica, afferma che l’apprendimento avviene solo se è significativo, cioè se «si costruisce su esperienze significative, psicologicamente e socialmente rilevanti, che vedono impegnato chi apprende non solo […] sul piano razionale, ma anche nella dimensione emozionale, relazionale, sociale»2. Per essere significativo l’apprendimento deve realizzarsi su due piani: quello cognitivo e quello affettivo-emozionale o, se preferiamo, umanistico-affettivo. Com’è possibile coinvolgere gli alunni sul piano affettivo-emozionale? Molto dipende dalla materia nell’ambito della quale avviene l’apprendimento e, come abbiamo visto, la scelta dei temi può avere la sua incidenza, ma in questo capitolo vogliamo ribadire ancora una volta che la forza emozionale, oltre a risiedere nel tema, dipende dal modo in cui l’alunno viene coinvolto nel processo di apprendimento e, di conseguenza, dalla risposta che riceve al suo sforzo. Se l’alunno ha chiara la meta verso la quale tende, se percorre il proprio cammino verso la conquista del nuovo in maniera consapevole, se lavora in un ambiente che sente favorevole al suo realizzarsi come persona, se in quella classe ritrova almeno parte del mondo che sta fuori e di cui percepisce fortemente gli stimoli, se sente che ciò che fa ha un senso per lui e vive 1. G. Domenici, Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, Laterza, Roma-Bari 2000, p.121. 2. Balboni, Italiano lingua materna cit., p. 65.

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8. Alessandro – l’apprendimento significativo

l’apprendimento come un’esperienza gratificante, allora l’apprendimento diventa emozione. In altre parole, le condizioni perché si verifichi questa magica equazione risiedono in tutto ciò che abbiamo esposto in questo volume. La combinazione di tutti gli elementi, dei principi didattici, dei comportamenti di cui abbiamo parlato può produrre l’alchimia necessaria a un vero apprendimento. Ma c’è un altro aspetto, quello individuato ed enunciato da David Ausubel3, che deve essere assolutamente tenuto in conto: nell’apprendimento significativo la nuova conoscenza si integra in maniera dinamica alle conoscenze pregresse agganciandosi a concetti rilevanti o pertinenti che funzionano come integratori e che pertanto rendono possibile l’ancoraggio e l’integrazione della nuova informazione. Per Ausubel, infatti, l’apprendimento consiste nell’organizzazione del nuovo e nella sua integrazione alla struttura cognitiva di chi apprende. Il bagaglio di conoscenze già acquisite rappresenta quindi il tessuto dove vanno a collegarsi e ad ancorarsi le nuove informazioni, ma perché questo accada è necessario un anello di congiunzione forte. In altre parole, se la nuova informazione entra in contatto con un aspetto rilevante della struttura cognitiva che funziona da ancoraggio, avviene l’apprendimento. Una volta mi è capitato di seguire un programma televisivo di informazione culturale dove venivano presentati luoghi e paesaggi molto belli; nonostante fossi molto incuriosita, avvertivo che qualcosa non andava: non riuscivo a orientarmi nel localizzare tutta quella bellezza e, a parte alcuni accenni ai nomi di paesini per me insignificanti perché piccoli e sconosciuti, la voce narrante non lasciava capire in quale parte del mondo ci trovassimo. Il programma è finito e non ho avuto modo di scoprirlo. Di conseguenza, quello che ho visto e apprezzato è rimasto del tutto sganciato dalla mia sfera cognitiva: in sostanza ho solo visto dei bei paesaggi, ma a livello cognitivo non è accaduto niente. Visualizzare sulla carta geografica l’ubicazione di ciò che stavo vedendo avrebbe significato collegare, quindi ancorare, la nuova informazione (in questo caso solo visiva: i bei paesaggi) alle mie conoscenze (in questo caso di natura geografica: il paese o il territorio a me conosciuto); questo mi avrebbe permesso di associare quelle descrizioni e quelle immagini a qualcosa a me noto che quindi avrebbe fatto da anello di congiunzione tra il nuovo e il patrimonio delle conoscenze preesistenti e probabilmente sarebbe andato ad arricchire il mio bagaglio di conoscenze geografico-culturali.

3.

D. Ausubel, Psicología educativa. Un punto de vista cognoscitivo, Trillas, Ciudad de México 1976.

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Naturalmente questo è solo un esempio, ma se lo rapportiamo al fenomeno dell’apprendimento nelle nostre classi risulta chiaro quanto sia importante tenerlo ben presente nel momento in cui stiamo costruendo i nostri percorsi didattici. È quindi importante non dare mai niente per scontato, ma al contrario è fondamentale assicurarsi che nella struttura cognitiva dell’alunno esista quel gancio che renderà possibile fissare le nuove informazioni. Per farlo possiamo introdurre le attività sondando il terreno, anche solo attraverso semplici domande generiche sul tema che tratteremo. Per esempio, se vogliamo proporre un’attività in cui, in qualche modo, siano presenti aspetti culturali, cercheremo di creare degli agganci adeguati che ne facilitino l’apprendimento: potremmo creare dei paralleli con aspetti della cultura italiana noti alla classe, o con altri fenomeni magari recenti, sempre conosciuti dagli alunni. Per rimanere in tema di lingua, anzi, di grammatica pura y dura, facciamo un esempio. Se volessimo affrontare per la prima volta il passato prossimo e sottolinearne gli usi rispetto a quelli del passato remoto precedentemente studiato, dovremmo prima richiamare quanto abbiamo detto e appreso circa quell’aspetto (usi del passato remoto) e poi innestarvi il nuovo. Solo così potremmo essere sicuri di aver creato i presupposti per far sì che l’apprendimento di questi aspetti non sia vanificato da una scarsa consapevolezza. In caso contrario gli usi del passato prossimo, sganciati dall’utile contrasto con quelli del passato remoto, resterebbero campati in aria, rischiando di non attecchire alla sfera conoscitiva dell’alunnno. Concludendo, quindi, l’apprendimento è significativo: • quando l’alunno non è lasciato da solo nell’avventura dell’apprendere ma è impegnato con altri compagni con cui può condividere le fasi del suo stesso percorso; • quando questo percorso si traduce anche in una esperienza umana, capace di suscitare delle emozioni (legate sia al tema che al risultato gratificante dell’apprendere); • quando il nuovo può fissarsi in maniera solida al bagaglio di conoscenze previe dell’alunno.

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9. Mauro – Lo stile di apprendimento Il caso Mauro è divergente, e non perché da adolescente quale è diverga su tutto quello che i suoi genitori vorrebbero da lui: è divergente per come si pone e si propone a scuola e nel modo di elaborare le informazioni. È intelligente, sociale, socievole, disponibile, educato, allegro, ma… È uno dei tanti alunni che non rientra pienamente negli schemi che la Scuola solitamente propone e richiede. Per questi ragazzi non è sempre immediato rispondere adeguatamente a ciò che normalmente la scuola si aspetta da loro; se poi incontrano un insegnante poco duttile non solo non rispondono, ma si sentono respinti. Molti di questi ragazzi propendono verso un sano anarchismo intellettuale, mal sopportano le verità indiscutibili fornite dalle autorità e… le loro sedie scottano. Chiunque di noi insegni sa perfettamente a quale tipo di alunno mi sto riferendo: non allo scansafatiche, che pure può esistere nonostante gli inossidabili sforzi del docente, non al maleducato incallito e strafottente, noncurante o sprezzante degli altri, ma a quel tipo di studente che mal digerisce la Scuola così com’è. Tempo fa un insegnante si è rivolto a Mauro con un epiteto piuttosto pesante per sottolineare la lentezza nelle risposte che dà – che lui si aspetta che dia, sarebbe meglio dire – quando è interrogato. Il metodo dell’insegnante in questione è il classico metodo ex cathedra, quello cioè di riversare nelle menti dei ragazzi delle conoscenze, assegnare una grande quantità di esercizi a casa e poi interrogare a lungo, affinché il proprio sapere venga ripetuto, esattamente secondo il proprio filo logico; e tutto senza riflettere sui processi di apprendimento, sul rinforzo positivo, sulla motivazione esogena… a che pro? Chi insegna con questo stile pensa che sia l’unico possibile, che la motivazione debba essere solo autogena; il rinforzo è quello negativo della profezia autoavverantesi (“non sei capace, tu cambi scuola o rimani in prima!”), o della battuta che mette in ridicolo le mancanze dello studente. Un epiteto pesante per un adolescente di 14-15 anni è un brutto colpo, soprattutto se pronunciato davanti a tutta la classe. Questa stigmatizzazione coram populo ha ferito molto Mauro: i compagni hanno sghignazzato e il sorriso beffardo dell’insegnante ha fatto inabissare definitivamente la zattera sulla quale il poveretto stava sfidando il mare procelloso. 79


IMPARARE PER COMPETENZE

– Mi ha interrogato, che umiliazione! Ma come si fa a essere sereni, se devo stare due ore in piedi, terrorizzato per come interroga, seguendo i suoi ragionamenti che non colgo e con lui che mi prende in giro e pur riconoscendo che ho studiato, mi dà dello scemo davanti a tutti… io cerco di fare finta di niente ma non ci riesco! Mauro lo conosco bene: come ho spiegato, diverge e si astrae, non rientra negli schemi classici dell’intelligenza premiata a scuola che, nonostante gli studi sulle intelligenze multiple di Howard Gardner1, restano quelli linguistico-verbale e logico-matematico. Mauro, invece, cerca di dare delle risposte più creative, non è per niente incasellato e si annoia se è obbligato a seguire i percorsi indicati dagli adulti. In alcune materie va bene, ma più perché segue un suo filo logico personale che per merito del metodo lineare sequenziale e delle batterie di esercizi. Mauro – ma a molti professori non bisogna dirlo per via del gratuito accostamento che “chi è bravo nello sport è un somaro a scuola” – è un bravissimo portiere di calcio. Scatta e prevede le azioni degli attaccanti della squadra avversaria con una velocità notevole, para e si rialza per ribattere, anche più volte, i tiri velenosi degli avversari, e comanda i suoi come uno scaltro giocatore di scacchi muove i pezzi sulla scacchiera (il bravo portiere deve saper dirigere la difesa e anticipare il gioco degli avversari). Riesce a farlo perché ha un’intelligenza… calcistica! Evidentemente non è affatto lento e la sua mente elabora in pochissimo tempo le informazioni utili per dare una risposta adeguata al contesto, per risolvere una situazione problematica. Howard Gardner, nel suo illuminante libro sulle intelligenze multiple, non prevede l’intelligenza calcistica (questo è un termine che ho mutuato dall’ambiente sportivo e che ho menzionato in modo provocatorio), ma definisce una serie di forme di intelligenza che riconoscono a ognuno di noi un peculiare e predominante modo di elaborare le informazioni e in una di queste, l’intelligenza corporeo-cinestetica, secondo me potrebbe rientrare anche l’intelligenza calcistica. Con il pretesto di Mauro proviamo a vedere perché è importante riconoscere e rispettare le differenze individuali.

La metodologia Quello di Gardner2 è stato per me uno dei testi più affascinanti, suggestivi, innovativi e rincuoranti sia per le sue implicazioni pedagogiche sia per gli strumenti di autoconoscenza che questa pietra miliare della ricerca pe1. 2.

H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano 2002. Ibidem.

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dagogica e psicologica mi ha fornito. In questo lavoro l’intelligenza è considerata come un’entità non unitaria, ma plurima, aperta a un campo di studi multidisciplinare. Nel testo – la cui prima edizione americana risale al 1983 – Gardner, parlando dei test di QI e della concezione di una facoltà di intelligenza comune a tutti noi, asserisce che vi sono diverse forme di intelligenza: allora ne presentava 7, ultimamente ne ha definite 8 e ½. Ma vediamo perché l’opera di questo grande esponente del cognitivismo, allievo di J. Bruner, può essere importante per la didattica. Nel libro Cambiare idee. L’arte e la scienza della persuasione Gardner afferma che la sua teoria delle intelligenze multiple «rappresenta in realtà una critica della visione tradizionale, o “curva normale”, dell’intelligenza»3. Egli, infatti, criticando l’idea di intelligenza come entità unitaria, critica anche il fatto che si affermi che le persone nascano con un certo livello di intelligenza, difficilmente modificabile in quanto inscritto nei nostri geni e che gli psicologi possano stabilire il grado di intelligenza sottoponendola a test di misurazione del QI (o a strumenti analoghi). Egli invece definisce l’intelligenza come «il potenziale bio-psicologico di elaborare specifiche forme di informazione secondo specifiche modalità»4. Il genere umano ha sviluppato capacità diverse di elaborare l’informazione, che permettono di far fronte alle varie difficoltà connesse alla sopravvivenza: Gardner le definisce con il termine intelligenze. Esse permettono di risolvere problemi e creare prodotti, che per essere considerati intelligenti devono essere valorizzati in almeno una cultura o comunità. In sostanza, come lo stesso Gardner afferma, «ciascuna intelligenza rappresenta una diversa forma di rappresentazione mentale»5, e per essere considerata tale deve essere sovrasensoria. Gardner descrive il lavoro che ha portato a definire tali forme di intelligenza e – soprattutto in Cambiare idee – spiega l’importanza che ognuna di esse ha, anche in campo lavorativo. «Per esempio nel mondo dell’industria chi ha a che fare con prodotti materiali attiva necessariamente la propria intelligenza naturalistica […] nella sfera lavorativa bisogna relazionarsi con gli altri e chi è in grado di conoscere le persone gode di un vantaggio eccezionale»6. A proposito di quelle che lo studioso chiama intelligenze personali, è giusto ricordare l’enorme popolarità raggiunta dal concetto di intelligenza emotiva elaborato da Daniel Goleman7 (citato da Gardner nelle pagine in 3. H. Gardner, Cambiare idee. L’arte e la scienza della persuasione, Feltrinelli, Milano 2005, p. 41. 4. Ibidem. 5. Ibidem, p. 42. 6. Ibidem, pp. 50-51. 7. D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1997.

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esame): in questi ultimi anni sempre di più viene riconosciuta l’importanza che può avere l’intuizione degli stati emotivi del prossimo. Il docente americano dimostra come sia importante attivare un tipo o l’altro di intelligenza a seconda dell’ambito in cui ci si trova, e inoltre che in ogni persona un tipo prevale sugli altri, che comunque sono presenti. Quindi, a meno che non vi siano delle patologie dichiarate e certificate, asteniamoci dal dare giudizi di valore sull’intelligenza di uno studente: potrebbe essere meno dotato di noi a livello linguistico o logico, ma molto di più, per esempio, per l’intelligenza spaziale o musicale. L’elenco delle intelligenze di Gardner comprende: 1. l’intelligenza linguistica 2. l’intelligenza logico-matematica Su queste prime due forme Gardner afferma: Queste sono le due forme di intelligenza particolarmente importanti per il tipo di apprendimento richiesto nelle nostre scuole di oggi: un apprendimento basato sull’ascolto delle lezioni, la lettura, la scrittura e il calcolo numerico e sono fondamentali per raggiungere buoni risultati nei test che pretendono di stimare il grado dell’intelletto e del potenziale cognitivo umani8.

Ci sono poi le intelligenze non canoniche: 3. l’intelligenza musicale 4. l’intelligenza spaziale 5. l’intelligenza corporeo-cinestetica 6. l’intelligenza naturalistica E le intelligenze personali: 7. l’intelligenza interpersonale 8. l’intelligenza intrapersonale 8½. l’intelligenza esistenziale («La mia principale esitazione nel proclamarla “nona intelligenza” a pieno titolo si deve al fatto che non abbiamo ancora prove convincenti che il “pensiero esistenziale” abbia sede in centri neurali o cerebrali specifici o se ne possano identificare precisi antecedenti evolutivi […] quindi la più recente candidata allo “status di intelligenza” rimane in lista di attesa»9). È evidente che le forme di intelligenza premiate, incentivate e da sempre riconosciute, soprattutto nella scuola, sono le prime due. Abbiamo visto come lo stesso Gardner evidenzi che il mondo occidentale ha da sempre incentivato l’intelligenza linguistica e quella logico-matematica, sottolineando come i test

8. Gardner, Cambiare idee cit., p. 43. 9. Ibidem, p. 53.

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9. Mauro – lo stile di apprendimento

di QI utilizzati in occidente considerino solo questi due tipi di intelligenza, a discapito degli altri tipi che sono ugualmente importanti nello sviluppo della civiltà umana. Rimando ai libri di Gardner per approfondire il profilo di ciascuna forma di intelligenza. Qui, per noi, è importante considerare le differenze individuali come risorse che ci arricchiscono, soprattutto se lavoriamo interagendo con gli altri e cercando di risolvere problemi. Per Gardner infatti sono le differenti forme di intelligenza ad assicurare il successo, anche nei diversi campi lavorativi. Nella scuola dare spazio a tutti può servire a mettere in luce i punti di forza e a capire dove dobbiamo intervenire di più. Una didattica varia, ricca di input, permette a tutti di emergere (punti di forza) o di imparare esercitandosi in attività con cui si ha meno affinità (punti di debolezza che vengono però rafforzati). Sempre nell’ambito della diversità che ogni individuo presenta, sicuramente tutti abbiamo avuto a che fare con gli stili e le modalità di apprendimento propri e altrui e, soprattutto noi insegnanti di lingue, sappiamo per esperienza che quando lavoriamo sulle quattro abilità possiamo attivare modalità diverse di apprendimento, come per esempio quella visiva, quella uditiva e quella cinestetica, a seconda dell’attività che proponiamo in classe. Per modalità10 s’intendono i canali sensoriali preferenziali di ricezione e riproduzione dell’informazione (che riguardano l’input e l’output dell’informazione). Tali modalità possono essere: uditiva, visiva e cinestetica generale (che comprende quella cinestetica vera e propria, e inoltre quella olfattiva e quella gustativa). Per esempio, pensiamo alla comprensione orale: possiamo usare figure, disegni o foto in relazione a un ascolto, e sicuramente chi nell’apprendere predilige la modalità visiva ne è avvantaggiato, oppure possiamo proporre un ascolto senza immagini, e in questo caso andiamo incontro a chi preferisce la modalità uditiva; invece se all’ascolto abbiniamo un’interpretazione di mimica con istruzioni da seguire saranno i ragazzi che preferiscono la modalità cinestetica ad apprezzare tali attività. E via dicendo: se per ogni abilità cerchiamo di favorire ora l’una ora l’altra modalità ci ritroveremo con tantissime attività diverse e stimolanti; tutti coloro che tra noi insegnanti praticano una didattica con input vari sanno di andare incontro alle diverse modalità congeniali ai ragazzi e allo stesso tempo di abituarli a esercitare anche le modalità a loro non congeniali. Come abbiamo detto poc’anzi per le intelligenze multiple, una didattica che vari nei modi, che sia concreta e rispettosa dei pro-

10. L. Mariani, Strategie per imparare, Zanichelli, Bologna 1996.

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cessi, che metta in atto strategie, può essere un’ottima palestra di vita, proprio perché tende al raggiungimento di competenze. Da una parte facilitiamo il processo di apprendimento di quel dato alunno che predilige una determinata modalità, dall’altra aiutiamo lo studente a praticare modalità nuove e quindi ad arricchire il proprio patrimonio di competenze. E Mauro? Predilige la modalità cinestetica; intemperante e sempre attivo, per lui la sedia scotta e il movimento è il suo pane quotidiano. Se continuiamo a esaminare il tema delle diverse modalità di apprendimento scopriamo un nuovo campo di studi, quello che riguarda la dominanza cerebrale. Vi sono appositi test che possono dare un’indicazione della nostra tendenza ad avere una dominanza cerebrale sinistra, destra o bilaterale. Ovviamente si parla di tendenze generali, e gli aggettivi che si usano per descrivere tale dominanza non devono essere considerati come giudizi di valore, ma come semplici descrittori che possono essere correlati a determinati stili di apprendimento11. Stando alle descrizioni dei profili che derivano da tali descrittori, Mauro potrebbe avere una predominanza destra: sintetico perché preferisce l’elaborazione globale delle informazioni, casuale e simultaneo perché uno stimolo di più alta intensità attiva l’elaborazione e perché preferisce un input vario e ricco, intuitivo perché prende decisioni in base alle sensazioni, è orientato alla memoria, preferisce il lavoro in gruppo ed è impulsivo e divergente. I seminari di Luciano Mariani, le sue pubblicazioni e il suo sito possono essere di grande aiuto per il docente che voglia addentrarsi in questo mondo affascinante perché, come egli afferma, per favorire l’apprendimento autonomo bisogna partire dai processi di apprendimento. Con l’espressione stile di apprendimento indichiamo «i modi preferenziali in cui una persona elabora le informazioni»12 che «costituiscono una variabile individuale (le altre variabili sono l’intelligenza e il back-ground socioculturale)»13. Tutti i documenti ufficiali di riferimento per la didattica delle lingue tengono conto delle «strategie di apprendimento, il modo in cui si può rendere più efficace il processo di apprendimento. Sono operazioni concrete e dipendono dallo stile di apprendimento e dal compito»14. Ricordiamolo: lavorare per compiti significa dare agli studenti un «problema da risolvere e dal quale dipendono le strategie. Sul compito convergono gli sforzi strategici di 11. Mariani, Strategie per imparare cit. 12. L. Mariani, Stili di apprendimento e strategie di apprendimento e insegnamento – Seminario per formatori del PSLS, MPI, Castelsardo 1996. 13. Ibidem. 14. Mariani, Stili di apprendimento cit.

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9. Mauro – lo stile di apprendimento

chi impara e di chi insegna. Ogni compito dovrebbe costituire un’occasione per l’elaborazione di strategie verso l’autonomia»15. A tutto ciò ovviamente fanno da controcanto lo stile e le strategie di insegnamento. L’obiettivo finale è rendere lo studente sempre più autonomo, ma ciò, ovviamente, richiede una consapevolezza di se stessi e dei propri stili di apprendimento e di insegnamento. Immagino che molti insegnanti potrebbero essere spaventati dall’impegno che un approccio di questo genere richiede, o dalla questione del tempo che si deve impiegare per indagare sui processi, le modalità, gli stili, le strategie e i tipi di intelligenza di ogni singolo alunno: più che una risorsa potrebbe sembrare la condanna di Sisifo. Ma in questa valutazione crediamo che debba intervenire un po’ di sano buon senso: l’importante è tenerne conto, cominciare a non far finta che questo mondo ricco, sfaccettato e intricato non esista. Come? Lavorando per compiti e non (solo) per elementi discreti, variando il più possibile le attività. Evitando la ripetizione passiva di esercizi e spronando al lavoro creativo e collaborativo, che mette inevitabilmente a confronto persone diverse; usando diversi canali e risorse nella presentazione del materiale. Inoltre, scegliendo libri di testo fondati su una metodologia che tenda a fare dello studente un soggetto attivo e autonomo, che insegni a comunicare veramente, a lavorare per compiti, a risolvere situazioni problematiche e a rispettare il diverso che c’è in ognuno di noi.

15. Mariani, Stili di apprendimento cit.

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10. La V C – L’autonomia dell’apprendimento Il caso Ho sempre sofferto di emicrania e spesso anche al mattino, durante le lezioni, sono assillata da questo inconveniente, con cui ho comunque imparato a convivere tanto da svolgere tutte le mie attività senza che la qualità del lavoro ne risenta. Quella mattina però, l’emicrania era arrivata in compagnia di un forte senso di stordimento che mi creava grosse difficoltà anche a livello relazionale. In altre parole, avrei fatto meglio a restarmene a casa. Invece ero in classe, con gli alunni già sistemati in gruppi come ormai erano abituati a fare, e non riuscivo a far funzionare il cervello, a metterlo in sintonia con la realtà. Qualcuno dei miei alunni se ne accorse e mi chiese se c’erano dei problemi; io agguantai quel braccio teso e dissi di sì, che stavo male, che non potevo garantire una lezione decente. – Non si preoccupi prof, se lei è d’accordo possiamo continuare da soli il lavoro dell’ultima volta. Così fu. Lavorarono da soli per tutta l’ora, tenendomi un po’ sott’occhio per vedere come stavo, poi al termine della lezione mi dissero che mi avrebbero sottoposto il lavoro la volta successiva. Alla lezione seguente, si preoccuparono di sapere come stavo; poi passammo a vedere il loro lavoro: ci tenevano a dimostrarmi cosa erano stati capaci di fare da soli. Mi congratulai con loro prima di tutto per la delicatezza con cui avevano gestito la situazione dovuta alla mia défaillance e poi per come avevano lavorato, per il loro senso di responsabilità, per l’organizzazione, per i risultati. Sono consapevole che quello fu un caso eccezionale e che non sempre può andare così. Innanzitutto si trattava di una quinta già abituata a lavorare in un certo modo: avevano già assunto delle abitudini che permettevano loro di muoversi con disinvoltura all’interno dei nostri percorsi didattici e nella realtà della nostra lezione. Avevamo stabilito un forte rapporto di stima e di fiducia reciproche per cui ormai tutto si sviluppava sul piano umano. Ma, nella spontanea generosità del loro volermi venire incontro, l’autonomia che nel tempo trascorso insieme avevano acquisito si era manifestata in maniera forte e chiara. In quell’occasione mi avevano dimostrato che quanto avevamo seminato stava dando i suoi frutti. 87


IMPARARE PER COMPETENZE

La metodologia L’alunno autonomo è quello che ha acquisito un metodo di lavoro, che sa organizzarsi, che utilizza al meglio il suo tempo, che è cosciente delle sue mete e mette in moto le strategie giuste per raggiungerle, che è consapevole degli strumenti che ha a disposizione e sa come usarli, che all’occorrenza sa dove reperirne altri. Tante volte, durante i consigli di classe o anche solo in sala insegnanti, abbiamo sentito dire “Questi ragazzi non sanno studiare, non hanno un metodo di studio”. Ma a chi spetta fornire loro il metodo di studio? Il caso della V C che ho riportato sopra è emblematico. Eppure si trattava di una classe normalissima, eterogenea sotto tutti i punti di vista (rendimento scolastico, stili di apprendimento, attitudine per la materia, personalità); non quella che potremmo definire una classe di secchioni, tutt’altro. Insomma, cos’era scattato in loro, oltre alla solidarietà verso di me? Avevano dimostrato che erano una classe di alunni autonomi: avevano il materiale, sapevano orientarsi all’interno di esso, erano coscienti del lavoro svolto nella lezione precedente, sapevano come doveva proseguire. Per finire, il forte senso di responsabilità e la consapevolezza di poter fare da soli avevano messo in moto un meccanismo che aspettava solo di essere attivato: l’autonomia. Anni passati insieme a lavorare con la coerenza degli stessi principi metodologici, a costruire insieme il sapere attraverso la concretezza dei compiti, a essere autentici, a collaborare, a organizzarsi, a prendere decisioni, ad assumersi le proprie responsabilità, ad assaporare i risultati, tutto questo li aveva condotti sulla strada dell’autonomia. Per onestà devo dire che quello della V C non fu l’unico caso in cui una classe dimostrò di essere autonoma: fu il più eclatante anche per la complessità del lavoro in cui eravamo impegnati. Altre volte, per ragioni diverse, mi sono trovata a dover chiedere ad altre classi di portare avanti una parte di lavoro per proprio conto e sempre, a parte rari casi, ho avuto il piacere di riscontrare che gli alunni erano all’altezza della situazione. Questo accadde addirittura in una seconda che era ritenuta da tutti una classe ingestibile e che invece, messa davanti alla possibilità di assumersi le proprie responsabilità in maniera autonoma, si dimostrò eccezionale.

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11. L’insegnante – Ma chi me lo fa fare?!

Molti anni fa, quando ancora insegnavo all’Istituto Tecnico, Antonio, un collega arguto e polemico che amava disquisire su tutto appena ne aveva l’occasione, durante il breve tragitto in ascensore da un piano all’altro, mi fece notare che in nessun altro mestiere si pretende da un lavoratore ciò che si pretende da un insegnante: – Pensaci bene: l’insegnante deve conoscere perfettamente la sua materia, quindi deve essere uno specialista serio e preparato; deve essere sempre aggiornato, quindi deve informarsi tramite mass-media, pubblicazioni e corsi vari; poi deve saperla insegnare, la sua materia, quindi deve avere nozioni di pedagogia, di didattica, di metodologia, ecc.; poi deve saper capire i ragazzi, quindi deve avere doti di psicologo; poi deve potersi accorgere se il ragazzo ha dei problemi di salute, se magari non vede/non sente bene, non si concentra, ecc., quindi deve avere nozioni di medicina; deve saper trattare con i ragazzi e perché no, anche con i loro genitori, quindi avrà competenze di sociologia… E tutto questo per la miseria di stipendio che ci danno? Ma chi me lo fa fare?! Io faccio il mio lavoro come ho sempre fatto e che nessuno venga a chiedermi altro. Dopo questa raffica, sul momento non mi venne niente da ribattere e rimasi a guardarlo interdetta, mentre mi salutava uscendo dall’ascensore, seguito dalla sua scia di tabacco. Ma restai con questo tarlo che mi ronzava nella testa: “Chi me lo fa fare?!”. Antonio aveva messo il dito in quella che per molti insegnanti è la classica piaga: “Io, per quel che mi danno, faccio anche troppo”. Ci rimuginai un bel po’, consapevole di non trovarmi d’accordo con Antonio ma dubitando su come avrei potuto rispondergli senza incappare nella faccenda ormai patetica e stantia dell’insegnante visto come missionario. Certo, messa così come diceva lui, la questione non faceva una piega. Girai la domanda a me stessa.

E a me? Chi me lo fa fare? Tanto per cominciare, in classe devo viverci anch’io quindi non fosse altro che nel mio esclusivo interesse, devo creare un clima disteso, sereno, dove tutti stiamo bene e dove la collaborazione, la stima e la fiducia siano dei punti 89


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fermi, garanzia di un benessere comune indispensabile per poter lavorare (insegnare/apprendere). Poi, dal momento che tutti, insegnante e alunni, siamo a scuola per lavorare, tanto vale cercare di farlo al meglio: un lavoro ben fatto è una soddisfazione che fa bene al cuore, è un benessere che allunga la vita. Non è quello che dice anche Primo Levi (vedi la citazione in apertura del libro)? Mi sembra così ovvio! E poi ci credo! Credo davvero che l’insegnante debba essere così! Credo che con insegnanti così la vita dei nostri studenti sarebbe migliore e anche la qualità del nostro lavoro! Mi sembra così ovvio! Io ci credo. E tu?

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Seconda parte La didattica per competenze in lingua straniera: lo spagnolo



1. Le competenze e i documenti ufficiali di riferimento Nel gradevole film Scialla, di Francesco Bruni, l’attore Fabrizio Bentivoglio interpreta la figura di un ex professore, ora ghostwriter, che si ritrova, non più giovanissimo, con un figlio adolescente. Durante il colloquio con l’arcigna docente di italiano e latino, nel cercare di prendere le difese del ragazzo, simpatico ma scapestrato, sbotta ironicamente “E certo, le competenze!”, come a denunciare una scuola che, asservita alla burocrazia ministeriale più che al benessere dell’adolescente, pensa a riempire i moduli e la bocca di parole astruse senza senso. Questa battuta la dice lunga sul modo in cui viene a volte percepita la richiesta di raggiungere competenze. Per alcuni, difatti, essa rappresenta una istanza populista dell’Unione Europea, per altri un appiattimento sul didattichese che tralascia gli aspetti davvero cruciali nel processo di apprendimento. Retorica delle competenze, burocrazia ministeriale: chi più ne ha più ne metta. Ma per noi, per il nostro modo di intendere la didattica, non è affatto così. Il QCER1 è un documento importantissimo per l’apprendimento/insegnamento delle lingue straniere, che è stato anche il punto di partenza dei regolamenti di riordino della scuola superiore. Una volta tanto viene proposto qualcosa di positivo: prendiamo ciò che c’è di buono e filtriamo tutto il resto con il buon senso del docente che ama il proprio lavoro. Proprio perché crediamo che l’alunno debba essere il centro dell’azione didattica, che non si debbano mortificare le sue risorse intellettive e affettive, che sia necessario rispettare e accogliere ogni persona e che ogni apporto individuale sia valido e degno di spazio, vogliamo portare avanti una didattica che possiamo chiamare per compiti, per competenze od orientata all’azione. Quello che a noi docenti importa e deve importare è che ogni studente sia messo in grado di raggiungere una reale competenza comunicativa in lingua straniera in un ambiente sereno. Una volta terminato il suo percorso di studi, ogni ragazzo deve essere capace di interagire linguisticamente in modo adeguato secondo il contesto in cui si trova, ovvero, nel nostro caso, quando si confronterà con ispano-parlanti, dovrà saperlo fare e farlo bene, in

1.

Consiglio d’Europa, Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue cit.

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modo efficace e senza fraintendimenti, insomma, senza sembrare un marziano catapultato su suolo ispanico. Questo per l’alunno significa anche diventare il più possibile forte e capace di farsi valere nel suo futuro d’adulto. Essere competenti, dunque, significa saper affrontare con gli strumenti giusti il difficile mondo degli adulti, del lavoro, del confronto sociale, delle diverse realtà. Nel nostro caso assumono rilievo innanzitutto le competenze linguistico-comunicative, quelle individuate per la prima volta in maniera sistematica e inequivocabile dal QCER che, ormai da tempo, è il documento di riferimento per eccellenza per chi opera nell’insegnamento delle lingue straniere. Già nel secondo capitolo viene delineato il concetto di competenza linguistica: L’uso della lingua, incluso il suo apprendimento, comprende le azioni compiute da persone che, in quanto individui e attori sociali, sviluppano una gamma di competenze sia generali sia, nello specifico, linguistico – comunicative. Gli individui utilizzano le proprie competenze in contesti e condizioni differenti e con vincoli diversi per realizzare delle attività linguistiche2 .

e anche il tipo di approccio metodologico al quale il documento stesso si orienta: L’approccio adottato qui è, in termini generali, orientato all’azione, nel senso che considera le persone che usano e apprendono una lingua, innanzitutto come “attori sociali”, vale a dire come membri di una società che hanno dei compiti (di tipo non solo linguistico) da portare a termine in circostanze date, in un ambiente specifico e all’interno di un determinato campo d’azione3.

Da questa definizione si ricava non solo l’approccio al quale il QCER si orienta, ma implicitamente emerge anche un suggerimento di carattere metodologico per quanti si riferiscono a questo documento per svolgere il loro compito di insegnanti di lingua straniera. Lo stesso concetto di competenza si ritrova nella Propuesta curricular y Marco común europeo de referencia4 di S. Fernández: El objetivo principal del aprendizaje de las lenguas es el desarrollo de la competencia comunicativa o capacidad (conocimiento y uso) de interactuar lingüísticamente de forma adecuada en las diferentes situaciones de comunicación, tanto de forma oral como escrita5.

2. 3. 4. 5.

Consiglio d’Europa, Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue cit. p. 12. Ibidem, p. 11. S. Fernández, Propuesta curricular y Marco común europeo de referencia, Edinumen, Madrid 2003. Ibidem, p. 28.

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1. le competenze e i documenti ufficiali di riferimento

Con queste definizioni del concetto di competenza non possiamo che trovarci d’accordo, così come siamo in piena sintonia con Graziella Pozzo 6 quando afferma che «competenza è la capacità di mobilitare diverse risorse: interne, esterne, cognitive, affettive e sociali per far fronte a un certo tipo di situazione» e indica l’importanza di lavorare per problemi e compiti complessi; avere aspettative, porsi domande, fare ipotesi; valutare le risorse, le opportunità, i vincoli; usare operativamente le conoscenze in modo consapevole; organizzare le conoscenze all’interno di un campo d’esperienza, per favorire lo sviluppo di competenze. Il concetto di competenza è anche al centro dei documenti ministeriali. Vediamo per esempio quanto emerge da Il nuovo obbligo di istruzione: cosa cambia nella scuola? La normativa italiana dal 2007, che, nella parte introduttiva, specifica: Il quadro normativo disegnato da questi diversi provvedimenti […] va nella direzione della necessaria integrazione di saperi e competenze, da tempo al centro del dibattito pedagogico e della ricerca delle scuole. Le Competenze, così intese, non riguardano una versione riduttiva del saper fare; costituiscono invece quel saper fare ad ampio spettro che conferisce senso autentico e motivante alle “cose apprese e utilizzate”, perché siano riconducibili a sé e utilizzabili in più campi e con versatilità7.

Più avanti, nella sezione dedicata all’Asse dei linguaggi, riferendosi alla lingua straniera, lo stesso documento afferma: «Le competenze comunicative in una lingua straniera facilitano, in contesti multiculturali, la mediazione e la comprensione delle altre culture; favoriscono la mobilità e le opportunità di studio e di lavoro»8. E, per quanto riguarda le competenze di base a conclusione dell’obbligo di istruzione, per la lingua straniera si chiarisce che si tratta di una competenza tesa a: «utilizzare una lingua straniera per i principali scopi comunicativi ed operativi»9, dove l’accento sugli “scopi comunicativi ed operativi” indica la necessità di mettere la persona in condizioni di interagire nella realtà sociale afferente alla lingua in questione, affrontando con successo diverse situazioni comunicative. Il concetto di competenza linguistica comunicativa è quindi il punto di riferimento costante dei documenti relativi ai diversi indirizzi di studi di se-

6. G. Pozzo, Progetto Sperimentale di revisione didattico-metodologica, Liceo “F. Cecioni”, Livorno, 2008/2009. 7. Ministero della Pubblica Istruzione, Il nuovo obbligo di istruzione: cosa cambia nella scuola? La normativa italiana dal 2007, p. 4. 8. Ibidem, p. 14. 9. Ministero della Pubblica Istruzione, Il nuovo obbligo di istruzione cit., p. 14.

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condo grado emanati dal MIUR. Prendiamo per esempio le Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali (2010), dove, nel definire le linee generali e le competenze in lingua straniera da acquisire alla fine del percorso liceale, si stabilisce: «Lo studio della lingua e della cultura straniera deve procedere lungo due assi fondamentali tra loro interrelati: lo sviluppo di competenze linguistico-comunicative e lo sviluppo di conoscenze relative all’universo culturale legato alla lingua di riferimento»10. Questa indicazione vale sia per la prima che per la seconda e terza lingua straniera. Per quanto riguarda il livello di competenza da raggiungere alla fine del percorso liceale, il documento opera le dovute distinzioni a seconda della lingua. Per la prima lingua straniera stabilisce infatti «il raggiungimento di un livello di padronanza riconducibile almeno al livello B2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue»11, mentre per la seconda e terza lingua straniera stabilisce «il raggiungimento di un livello di padronanza riconducibile almeno al livello B1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue»12 . Anche nei Regolamenti per gli Istituti Tecnici e per gli Istituti Professionali si ribadisce in maniera chiara l’opportunità di insegnare per competenze e si stabiliscono i livelli di padronanza da raggiungere nei diversi indirizzi, così come nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (2012), in cui ritroviamo il concetto di competenza applicato alle lingue straniere: L’apprendimento della lingua inglese e di una seconda lingua comunitaria, oltre alla lingua materna e di scolarizzazione, permette all’alunno di sviluppare una competenza plurilingue e pluriculturale e di acquisire i primi strumenti utili ad esercitare la cittadinanza attiva nel contesto in cui vive, anche oltre i confini del territorio nazionale13.

Concludiamo questa rapida panoramica sul concetto di competenza presente in alcuni dei più importanti documenti ufficiali di riferimento con una citazione, ancora da Il nuovo obbligo di istruzione: cosa cambia nella scuola?

10. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali, 2010, pp. 260, 262. 11. Ibidem, p. 260. 12. Ibidem, p. 262. 13. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, 2012, p. 37.

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1. le competenze e i documenti ufficiali di riferimento

La normativa italiana dal 2007, dove il concetto di competenza si estende oltre l’apprendimento scolastico e diventa prerequisito per l’apprendimento permanente, recependo la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio: I saperi e le competenze per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione sono riferiti ai quattro assi culturali (dei linguaggi, matematico, scientifico–tecnologico, storico-sociale) […]. Essi costituiscono “il tessuto” per la costruzione di percorsi di apprendimento orientati all’acquisizione delle competenze chiave che preparino i giovani alla vita adulta e che costituiscano la base per consolidare e accrescere saperi e competenze in un processo di apprendimento permanente, anche ai fini della futura vita lavorativa14 .

Approdiamo così al concetto di competenza di cittadinanza, di fondamentale importanza per il cittadino di domani. Esso è declinato nelle otto competenze di cittadinanza sancite dalla Comunità Europea, acquisite e rielaborate un anno dopo, appunto, ne Il nuovo obbligo di istruzione: cosa cambia nella scuola? La normativa italiana dal 2007 e riproposte nel 2012 nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione. Vediamo allora come costruire delle autentiche competenze linguisticocomunicative, e come coniugarle con le competenze di cittadinanza. Lo faremo presentando alcuni esempi ricavati da percorsi didattici di lingua spagnola.

14. Ministero della Pubblica Istruzione, Il nuovo obbligo di istruzione cit., p. 10.

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2. Osservazione di modelli Osservazione di modelli di didattica per competenze Gli esempi di diattica per competenze1 che proponiamo riguardano attività didattiche che fanno parte di più ampie unità di insegnamento/apprendimento per il biennio superiore2 . Per quanto riguarda gli aspetti formali della lingua (funzioni, esponenti funzionali, elementi grammaticali e lessicali) rimandiamo a sillabi previamente predisposti che qui non riportiamo sia per motivi di spazio sia perché non lo riteniamo necessario per l’osservazione che intendiamo sviluppare in questa sede. È invece importante precisare che le attività di didattica azionale che osserveremo fanno parte di unità che nella loro struttura riproducono le fasi del processo di apprendimento già illustrate nella Prima parte del volume. Si tratta infatti di una struttura che caratterizza tutte le unità di insegnamento/ apprendimento di didattica azionale mirate allo sviluppo di reali competenze. La prima fase è quella della motivazione iniziale: introduce l’alunno nell’ambito tematico e lo mette in contatto con alcuni aspetti nuovi, come per esempio il lessico inerente al tema, tramite la proposta di attività comunicative piuttosto semplici che lo invitano anche al reimpiego di quanto ha già appreso; è una fase abbastanza breve che può esaurirsi in due ore circa. La seconda fase crea nell’alunno la necessità di comunicare usando aspetti linguistici nuovi; è la fase in cui vengono formulate le prime ipotesi sulla lingua attraverso attività comunicative mirate; ipotesi che, attraverso un confronto con il resto della classe e con l’insegnante, saranno verificate, modificate o confermate. Questa fase può avere la stessa estensione della precedente.

1. Con il termine didattica per competenze o didattica azionale intendiamo riferirci a un approccio metodologico orientato all’azione, quindi teso allo sviluppo di competenze. Come abbiamo anticipato nella Premessa, con il termine tradizionale intendiamo riferirci a quella didattica che non è orientata all’acquisizione di competenze; si tratta cioè di un’etichetta, usata per brevità nella consapevolezza che nella realtà i colori sono molto più sfumati, andando oltre il bianco e nero qui usato per meglio evidenziare i contrasti. 2. Tutti i modelli di didattica della lingua presentati in questo capitolo fanno parte di unità di insegnamento/apprendimento appositamente elaborate dalle autrici per questo testo. I modelli di didattica azionale che presentiamo fanno parte di unità diverse, in quanto lo scopo è quello di illustrare le differenze didatticometodologiche con cui si imposta ciascuna delle quattro fasi in cui si configura una unità di insegnamento / apprendimento, e non l’unità nella sua interezza e complessità, che richiederebbe molto più tempo e spazio, pertanto il tema è diverso per ciascun esempio.

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IMPARARE PER COMPETENZE

La terza fase propone attività comunicative che inducono l’alunno all’uso cosciente del nuovo: qui vengono forniti in maniera sistematica gli aspetti formali nuovi sui quali l’alunno rifletterà per farne l’uso migliore. È la fase più significativa, durante la quale l’alunno sviluppa anche riflessioni metacognitive per appropriarsi delle strutture, delle funzioni e del lessico nuovi; perciò questa fase si compone di attività comunicative di diverso tipo e di diverso spessore, tutte orientate a mettere l’alunno davanti a situazioni problematiche autentiche che richiedano l’uso di quelle strutture, di quel lessico, di quelle espressioni. Per sviluppare questa fase saranno necessarie dalle 6 alle 8 ore di lezione. La quarta fase consolida quanto è stato gradualmente appreso, applicandolo ad ambiti più ampi e creativi, e richiede dalle 2 alle 4 ore, a seconda che l’insegnante intenda o meno effettuare le operazioni di valutazione orale. Anche se questo approccio metodologico favorisce l’apprendimento durante lo sviluppo della lezione, è opportuno che gli alunni vengano impegnati anche in attività di fissaggio e rinforzo di quanto hanno appreso in classe, attraverso esercizi di diversa tipologia presentati nel libro di testo o forniti dal professore.

Prima fase: l’approccio La lezione inizia con uno scambio di idee sul tema delle vacanze: il professore introduce il tema e rivolge agli alunni alcune domande prendendo parte egli stesso alla conversazione, esprimendo e motivando anche le proprie preferenze. ¿Adónde sueles ir de vacaciones? ¿Vas con tu familia o con amigos? ¿Qué medios de transporte prefieres? In seguito inizia la prima attività proposta dal libro di testo. SOÑANDO CON LAS VACACIONES ¿Sabes identificar los sitios representados en estas fotos?

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2. Osservazione di modelli

A ver si sabes de qué se trata: asocia cada imagen con su pie de foto. 1. La Plaza Mayor de Madrid 6. Una playa de la Costa Brava 2. Sevilla por la noche 7. El Museo del Prado 3. La Catedral de Santiago de Compostela 8. El Paseo de Gracia de Barcelona 4. Una disco de Barcelona 9. Candanchú, una localidad de los Pirineos 5. La Gran vía de Madrid por la noche – ¿Estamos todos de acuerdo? – ¿Qué fotos eliges para organizar tus vacaciones? – Selecciona 5 fotos y úsalas para decirle a tu compañero dónde y cómo te gusta pasar tus vacaciones. Ejemplo: Yo prefiero esta foto porque me gusta la playa, esta otra por la vida nocturna... Puesta en común.

Facciamo alcune considerazioni sullo sviluppo di questa prima fase. Didatticamente si tratta di un momento assai importante in quanto stabilisce il contatto emotivo tra l’alunno e il tema creando così una base motivazionale che sarà il motore di ogni ulteriore sviluppo. Nel nostro caso, dopo l’avvio dato dal professore attraverso le considerazioni sulle vacanze e sui diversi modi di intenderle, si passa alla proposta di identificare le foto presentate, per poi associarle alle relative descrizioni. Si tratta di una situazione problematica semplice ma significativa perché, mentre stabilisce un primo contatto dell’alunno con alcuni termini specifici dell’ambito, chiama in causa le sue conoscenze pregresse sugli aspetti culturali in essa implicati. Alla fine di questa breve fase l’alunno è pronto per cimentarsi nelle attività didattiche successive, sia dal punto di vista linguistico sia da quello emotivo. Non dimentichiamo che l’aspetto emozionale può giocare un ruolo determinante nel successo dell’azione didattica. Parliamo di emozione quando c’è un coinvolgimento diretto della persona in ciò che fa o che le viene richiesto di fare: una cosa è parlare delle vacanze di personaggi di fantasia lontani dal mondo reale dell’alunno, e un’altra cosa è portare il discorso sul piano personale evocando esperienze vissute o immaginando e sognando le vacanze ideali. 101


IMPARARE PER COMPETENZE

Seconda fase: l’uso del nuovo In questa fase si formulano le prime ipotesi sull’uso dei nuovi aspetti linguistici. A CADA FOLLETO SUS FOTOS En la agencia de viajes donde trabajas te han encargado elegir las fotos para ilustrar el texto de los folletos. Con un compañero, ¿por qué no lo intentáis? Abajo encontraréis tanto las fotos como los textos. Habladlo y tomad decisiones juntos.

La Costa Brava, es la denominación con la que se conoce el litoral de la provincia de Gerona, cuyos límites geográficos son el mar Mediterráneo y los Pirineos. La naturaleza, el clima y la historia, parecen competir en la creación de un entorno de gran atracción: el azul del cielo, el verde marino de las aguas, el verde oscuro y frondoso de la vegetación. La Costa Brava algunas veces parece estar suspendida sobre abruptos acantilados, otras veces sus playas de aguas cristalinas se aproximan al mar. Aquí el paisaje es el verdadero protagonista. El Caribe es una región natural que comprende el Mar Caribe, sus islas y las costas que rodean este mar. Conocido también como Las Antillas, está situado al sureste del Golfo de México y América del 102


2. Osservazione di modelli

Norte, al este de América central, y al norte de América del Sur. Es una zona de grandes bellezas naturales, con estupendas playas de arena blanca y palmeras que se asoman a las aguas cristalinas e incontaminadas del Mar Caribe. El contraste entre el azul intenso del mar con el verde de la rica vegetación tropical le dan al paisaje un atractivo exótico. Cudillero. La costa de Cudillero, dibujada según los caprichos de la fuerza de las aguas del mar Cantábrico, por las mareas y por la fuerza del viento, esconde playas y rincones vírgenes que invitan a perderse y a descubrir. Esta costa ofrece un mundo de contrastes y texturas que se mezclan en perfecta armonía en más de 30 calas agrestes y playas acogedoras donde se puede gozar de todo el encanto incontaminado de la naturaleza. Antes de empezar a discutirlo para poneros de acuerdo, estos ejemplos os pueden ayudar: Ejemplo: A: Para mí esto va con el viaje al Caribe; B: ¿No es la Costa Brava? A: No, ¿no ves las palmeras? B: ¡Ah, sí! Y esto va con Cudillero, ¿no? Esto te puede ayudar: Un poco de léxico para hablar de vacaciones – Mar, marea, olas, costa, litoral, arena, playa, palmeras, rincón – Acantilado, rocas, vegetación, paisaje, naturaleza – Arena blanca, dorada, fina, incontaminada – Azul/verde marino, oscuro, intenso; aguas cristalinas – Contraste, textura, encanto, belleza, armonía – Viaje, excursión Al final vais a presentar vuestros resultados al resto de la clase. ¿Y a ti? ¿Qué viaje te gustaría más? ¿Y a tu compañero? Escribe aquí tus argumentos y los de tu compañero. Ejemplo: A mí me gustaría más el viaje a... porque... y también porque... En cambio a... le gustaría más ir a... porque... ¿Tienes espíritu de observación? Mira este vídeo sin eschucar la descripción del paisaje: ¿es el Caribe, la Costa Brava, o la Costa Atlántica (Cudillero)? VÍDEO Ahora vuelve a ver el vídeo y escucha lo que dice el locutor. ¿Has acertado? Comparte el resultado con tu compañero... y luego con toda la clase.

Commentiamo ora quest’attività dal punto di vista dello sviluppo delle competenze linguistico-comunicative. Come abbiamo detto, essa fa parte della seconda fase, quella delle prime ipotesi di approccio ai nuovi aspetti linguistici. Qui l’alunno entra in contatto con alcuni elementi lessicali inerenti alle vacanze e inoltre consolida l’uso del pronome/aggettivo dimostrativo esto e del presente indicativo, già incontrati nelle unità precedenti. Come abbiamo detto, si tratta del primo tentativo di 103


IMPARARE PER COMPETENZE

uso dei nuovi aspetti linguistici che, quindi, non vengono ancora forniti in maniera sistematica: viene solo presentato del lessico nuovo, utile per entrare nel tema e svolgere l’attività. Ma come può l’alunno usare il nuovo se ancora non ne conosce gli aspetti formali? Innanzitutto gli viene fornito un testo abbastanza ampio da cui attingere soprattutto il lessico necessario per formulare le sue ipotesi; nel caso in cui gli aspetti lessicali abbiano una forte incidenza, essi vengono presentati in contesto nei testi proposti, e vengono quindi sistematizzati in una scheda facilitatrice il cui scopo è aiutare l’alunno nel momento in cui deve usarli. Per quanto riguarda l’interazione con il compagno, vengono forniti all’alunno degli esempi semplici ma efficaci per sviluppare l’attività. Questa non si limita all’associazione foto-testo, bensì si articola in altri momenti comunicativi: si chiede all’alunno di esprimere la propria opinione sul tipo di viaggio che preferirebbe fare e su quello preferito dal compagno, due momenti che richiedono un uso spontaneo della lingua; quando gli viene proposto il video per indovinare quale sia il paese rappresentato, si fa leva sullo spirito di osservazione; infine il confronto, prima con il compagno e poi con la classe, serve per dare all’alunno delle conferme su quanto ha ipotizzato e, in modo più ampio, per dare un senso compiuto a ciò che sta facendo. È importante sottolineare che ogni attività ha una sua vita che, come abbiamo visto, può articolarsi in diversi momenti comunicativi tutti verificabili attraverso il confronto con i compagni e con l’insegnante. È in questi momenti che l’alunno prende coscienza di quanto ha appreso, e lo fa in maniera autonoma: osserva i propri risultati, li confronta con quelli degli altri, li verifica con quanto dice l’insegnante, li modifica o li conferma, passando attraverso momenti di autocorrezione e così via. In questo modo si raggiunge un’autentica autonomia nel cammino verso l’apprendimento permanente. Continuiamo la nostra osservazione. Quali attività linguistico-comunicative3 e quali strategie vengono sviluppate in questa attività didattica? Prima fra tutte, e trasversale a tutte, è l’interazione orale, sia con il compagno che con il resto della classe. Si tratta di una comunicazione resa autentica dalla situazione problematica da cui ha origine: scegliere le foto per commentare i tre diversi testi. Poi l’alunno viene impegnato in un’attività di comprensione del testo scritto, funzionale all’associazione delle foto con i luoghi descritti. Anche in

3.

Ci rifacciamo alla terminologia usata dal QCER.

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2. Osservazione di modelli

questo caso l’attività poggia sull’autenticità, infatti abbiamo un gap informativo che si colma solo quando le informazioni fornite dal testo scritto vengono associate a quelle veicolate dal testo visivo. L’alunno viene quindi impegnato in una produzione orale, dovendo esporre i propri risultati alla classe. Dopo aver cercato di identificare il paesaggio del video senza audio, nella seconda visione con audio l’alunno ha la possibilità di verificare la validità delle sue ipotesi: si tratta di un’attività di comprensione orale opportunamente motivata, basata ancora sul gap informativo, che dà senso all’ascolto. Successivamente, la richiesta di esprimere per iscritto il tipo di viaggio preferito lo impegna in un’attività che, sebbene molto guidata, è efficace per fissare gli aspetti linguistici appena appresi, nel nostro caso soprattutto il lessico. Tutte queste attività comunicative richiedono l’attivazione di strategie: estrapolare dal testo le informazioni, elaborarle in un testo proprio, sia orale che scritto, osservare i modelli di lingua e riproporli facendoli propri, osservare il video e associarlo a quanto precedentemente osservato.

Terza fase: gli aspetti formali Osserviamo adesso come in una unità di approccio azionale vengono proposti e sistematizzati gli aspetti formali: grammatica, lessico, esponenti funzionali, ecc. Prenderemo in esame due attività estrapolate da un’unità di insegnamento/apprendimento di livello A1/A2 che tratta il tema Il mondo che ci circonda. Abbiamo volutamente preso per esempio la struttura estar + gerundio per favorire il confronto con una unità di tipo tradizionale, di cui parleremo in seguito, che presenta la stessa struttura. La prima attività, che tratta aspetti inerenti al mondo dello spettacolo, dello sport, della politica ecc. poggia su una situazione problematica tesa a far sorgere nell’alunno la necessità comunicativa di utilizzare la struttura grammaticale estar + gerundio, per poter svolgere il compito (inteso come task)4 . Per mettere l’alunno in condizione di utilizzare questa specifica struttura in maniera consapevole gli viene fornita una scheda grammaticale, dove troverà gli aspetti formali che gli servono. Vediamo insieme come ciò si mette in pratica.

4. A proposito del compito (come alternativa al tradizionale esercizio) si veda anche l’Introduzione di questo volume.

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IMPARARE PER COMPETENZE

ACTIVIDAD 1 A tu compañero y a ti os van a hacer una prueba para empezar a trabajar en una revista del corazón: tenéis que comentar algunas fotos de famosos. Solo las dos mejores parejas de la clase van a conseguir el trabajo.

Melanie Griffith y Antonio Banderas

Penélope Cruz, Pedro Almodóvar, Carmen Maura

Jorge Lorenzo y Marc Márquez

Penélope Cruz

Y ... para terminar, tres fotos de Mariano Rajoy con Ángela Merkel.

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2. Osservazione di modelli

Antes de empezar a escribir vuestros comentarios, mirad los ejemplos que acompañan las fotos de la página ... y observad: – ¿Qué forma verbal se usa para describir las acciones que están haciendo los personajes de las fotos? ¿De qué verbos se compone la estructura verbal? – ¿Cómo se conjugan los dos verbos? Escribidlo aquí. ............................................................................. Al final comprobad vuestros resultados con las indicaciones de la ficha gramatical. ¿Habéis acertado?

Angelina Jolie y Brad Pitt, una pareja inoxidable, están posando para los fotógrafos de todo el mundo: ella le está sonriendo con ternura mientras él se deja mimar como un niño tímido.

Marc Márquez, nuestra joven promesa del motociclismo mundial, mientras está exultando con su trofeo conquistado en el circuito de Indianápolis.

... y también esta información. FICHA GRAMATICAL Estar + gerundio Para describir una acción presente en curso en el momento del discurso, se usa: estar en presente de indicativo + gerundio. El gerundio se forma con la raíz del infinitivo + ando (1a conjugación) y + iendo (2a y 3a conjugación): pos-ar posando hac-er haciendo sal-ir saliendo Si el radical del verbo termina en vocal, la i de la desinencia -iendo cambia en y. ca-er cayendo le-er leyendo o-ír oyendo – Este que está posando para el objetivo es... – Estos son nuestros campeones: están sonriendo por la copa y nos la están enseñando. – Esta que está subiendo al avión es ... 107


IMPARARE PER COMPETENZE

Gerundios irregulares Los verbos en -ir con una e o una o en la raíz, cambian estas vocales en i y u respectivamente, cuando forman el gerundio: pedir pidiendo preferir prefiriendo sentir sintiendo morir muriendo venir viniendo dormir durmiendo decir diciendo poder pudiendo OJO: reír

riendo

Vamos a poner en común los comentarios de todos los grupos. ¿Cuáles pueden ganar el empleo en la revista?

La scheda grammaticale, proposta a questo punto, ha una sua giustificazione logica: è funzionale alla soluzione del problema comunicativo, quindi l’alunno la coglie in quanto strumento per risolvere una reale necessità comunicativa. Quando l’alunno entra in contatto con gli aspetti formali per necessità avrà anche un diverso modo di rapportarsi a essi: saprà valutarne l’importanza e di conseguenza saprà anche stabilire come procedere per portare a compimento il suo apprendimento. Qui entra in gioco il principio dell’autonomia, secondo il quale ogni alunno farà propri i diversi aspetti del percorso didattico a seconda dello stile di apprendimento che gli appartiene: prescindendo dal fatto che per tutti gli alunni l’uso autentico degli aspetti linguistici sarà il maggior garante dell’apprendimento, alcuni alunni riterranno utile fissarli meglio in maniera più o meno meccanica, altri trascrivendoli sul quaderno, altri ancora evidenziandoli direttamente sul libro e così via, tutto secondo criteri individuali. Non va tuttavia dimenticato il ruolo dell’insegnante, che consiste anche nel sollecitare una riflessione sulle diverse strategie, affinché l’alunno sviluppi una maggiore consapevolezza del proprio stile di apprendimento5. Per favorire l’osservazione della struttura grammaticale estar + gerundio, si guidano gli alunni attraverso alcune domande mirate, per poi portarli a verificare le loro ipotesi confrontandole con la scheda grammaticale. Per quanto riguarda il lessico nuovo, per lo più presentato nelle attività della fase precedente come abbiamo visto nel modello sulle vacanze, in questa terza fase esso viene consolidato; se poi è necessario fornirne altro, esso verrà proposto in nuovi testi o esempi, o attraverso ulteriori schede facilitatrici.

5. Per lo sviluppo della competenza metacognitiva, o dell’imparare a imparare, rimandiamo a Mariani, Pozzo: Stili, strategie e strumenti nell’apprendimento linguistico. Imparare a imparare cit.

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2. Osservazione di modelli

Una volta entrato in contatto con le strutture grammaticali che costituiscono l’obiettivo linguistico dell’unità, e dopo averle fatte proprie attraverso diverse strategie, l’alunno sarà pronto a consolidarle estendendone l’uso ad altri contesti. Ecco allora una seconda attività... ACTIVIDAD 2 ¿Tienes madera de detective? Mira las fotos de abajo: en cada una de ellas algunas personas están haciendo la misma cosa, ¿qué? Y, ¿qué están haciendo las demás personas? Ahora háblalo con tu compañero, ¿quién tiene más espíritu de observación?

Puesta en común.

... e una terza attività, da svolgere presumibilmente durante l’ora di laboratorio multimediale, in cui l’alunno, a partire dalla visione di un filmato, dovrà registrare la propria performance orale. ACTIVIDAD 3 Colaboras con una agencia de investigación privada y hoy tienes que vigilar a una persona. Mira con atención en el vídeo todo lo que esta persona hace y coméntaselo en directo a tus colegas de la sede central. Ejemplo: Estoy en frente del Banco de Santander y en este momento nuestro “amigo” está saliendo del banco con otra persona y juntos están dirigiéndose hacia... VÍDEO

(L’alunno, mentre guarda il video, registra il proprio commento orale.) Después de grabar la situación, formad grupos de 4 y escuchad vuestras grabaciones: ¿funcionan? Si no os gustan/convencen del todo tenéis otra oportunidad para mejorarlas. VÍDEO

(Seconda proiezione del video durante la quale ciascun alunno può rifare la propria registrazione, autocorreggendosi. Le registrazioni saranno poi ascoltate dal professore che, se lo ritiene opportuno, le commenterà in classe durante la lezione successiva.) 109


IMPARARE PER COMPETENZE

È interessante osservare come qui è stato risolto il problema di far impiegare all’alunno la struttura estar + gerundio in maniera operativa, cioè in maniera autentica: al contrario di quanto accade con l’utilizzo dei tradizionali esercizi meccanici, qui la situazione comunicativa è reale. Per creare la terza attività ci siamo poste questa domanda: quando viene maggiormente usata questa struttura nella realtà? La prima situazione che ci è venuta in mente è stata quella di un pedinamento con resoconto in diretta. Per ovvi motivi logistici il pedinato viene osservato attraverso un video come se l’occhio dell’osservatore (cioè del nostro alunno) fosse dietro a una finestra, come accadeva nel celeberrimo cult movie La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock. La situazione problematica è caratterizzata dall’incognita perché l’alunno non sa che cosa accadrà nel video, e dover fare il proprio resoconto di azioni in divenire è il problema linguistico che deve risolvere in tempo reale: proprio in questo aspetto risiede l’autenticità della comunicazione. La seconda fase dell’attività, che vede gli alunni lavorare in gruppi per riascoltare le loro performance, ha uno scopo prettamente didattico, poiché stimola nell’alunno l’autocorrezione attraverso l’osservazione critica del proprio risultato e il confronto con i compagni e con i loro risultati. Anche questa attività di apprendimento si trova all’interno del percorso didattico con lo scopo, come dicevamo, di permettere all’alunno di estendere l’uso del nuovo ad altri contesti; per questo non sarà l’unica attività di questo tipo, ma ne seguiranno altre dove si proporranno contesti diversi. L’impiego di ciò che è stato appreso sarà poi riproposto anche per la realizzazione del prodotto finale dove, oltre alla struttura estar + gerundio, andranno a confluire anche tutti gli altri aspetti sviluppati nel corso dell’unità. Come abbiamo detto sopra durante questa fase è opportuno che gli alunni rinforzino quanto appreso con esercizi a casa.

Quarta fase: l’estensione ad altri contesti – il prodotto finale Per illustrare questa fase proponiamo un esempio ricavato da un’unità di apprendimento il cui ambito tematico riguarda alcuni aspetti inerenti alla persona (aspetto fisico, stato di salute salute ecc.). Dopo aver sviluppato le prime tre fasi del processo di apprendimento, secondo le modalità già osservate, si giunge alla fase finale in cui l’alunno rielabora quanto ha appreso durante il percorso di apprendimento e lo fa in maniera creativa, facendo ricorso a tutte le sue risorse, linguistiche, culturali ed emotive. È un momento di grande condivisione sia durante la preparazione del prodotto finale da parte dei gruppi, sia durante le presentazioni del prodotto di ciascun gruppo alla classe. Osserviamo l’esempio: 110


2. Osservazione di modelli

Ahora vais a escribir breves artículos para el blog EN FORMA, dirigidos a personas con exigencias diferentes. Podéis dar consejos útiles para: – arreglarse para ir a la disco; – recuperar la forma física después de las fiestas navideñas; – ponerse en forma para participar al maratón de San Silvestre; – ponerse guapos para ligar; – sentirse bien con los demás; – otros... Cada grupo elige el tema que prefiere y prepara su artículo. Puesta en común. Presentaciones finales de los trabajos de los grupos a la clase.

Osservazione di modelli tradizionali Prendiamo ora in esame un’unità d’insegnamento per il livello A1/A2 sul tema dell’abbigliamento, che potremmo trovare in un libro di testo di orientamento metodologico tradizionale. L’unità inizia con una grande immagine di un gruppo di giovani vestiti alla moda; all’immagine è collegato un esercizio6 di ascolto che consiste in un dialogo di cui viene riportata la trascrizione.

Escucha y lee el diálogo. – Olga: Ana, ¿has visto qué bonita la minifalda que lleva Sara? – Ana: Sí, ¡qué guay! Pero también tu camiseta es muy bonita, ¿es nueva? – Olga: Sí, es la primera vez que me la pongo y me gusta mucho como queda con estos pantalones negros. – Ana: ¿Y los zapatos de Carmen? ¿No son preciosos? – Olga: Pues sí, son estupendos, me encantan los zapatos de tacón, pero yo prefiero llevar zapatillas porque no estoy acostumbrada a llevar zapatos de tacón. – Ana: Mira, mira el chándal que lleva Paco, ¿no es curioso? – Olga: ¡Qué raro, con esa cremallera y esos botones de colores...! Además a él le queda muy bien, ¿no te parece? 6.

Gli esercizi sono riportati in forma ridotta, poiché ciò che ci interessa osservare è la loro tipologia.

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IMPARARE PER COMPETENZE

Al dialogo segue una serie di domande di comprensione: Responde verdadero (V) o falso (F). – Ana lleva una minifalda. – La camiseta de Olga es nueva. – A Olga no le gustan los zapatos de tacón. – A Ana le encantan los zapatos rojos. – Paco es un tipo muy tradicional. – ...

Viene quindi presentata una foto dove si vedono alcuni adolescenti che ballano, e viene richiesto di rispondere ad alcune domande relative all’immagine.

Mira la foto y contesta a las preguntas. – ¿Con quién está bailando Manuel? – ¿Qué está haciendo Tomás? – ¿Qué lleva Elisa?

Alla foto successiva è collegato invece un esercizio di riempimento:

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2. Osservazione di modelli

Mira la foto y completa las frases. – Marta está hablando con ............ y lleva una ............. azul, pantalones ............ y zapatillas ............ – José está ............ y lleva una ................... y un par de ............ azules. – Simón ......... mirando un ............ y lleva ........................., zapatillas ............ y un ............ negro.

Iniziamo a esprimere alcune riflessioni relative allo sviluppo delle competenze linguistiche comunicative: • nell’unità di didattica azionale abbiamo visto che la prima fase ha lo scopo di interessare l’alunno al tema attraverso una serie di attività che gli assegnano un ruolo di primo piano. Nella didattica tradizionale osserviamo che il dialogo iniziale difficilmente riesce a coinvolgere l’alunno in prima persona, visto che manca l’intento motivazionale e tutto si risolve con un semplice esercizio di vero/falso; • la comprensione, scritta o orale che sia, non è sorretta da nessuna motivazione, né di tipo emozionale né di tipo funzionale: o l’alunno non sa perché gli si chiede di rispondere a quelle domande; o le informazioni che ricava da quel testo, scritto o orale, non gli servono per svolgere nessuna attività di comunicazione quindi per lui l’esercizio non ha senso; manca il gap informativo; • lo stesso per l’esercizio successivo Mira la foto y contesta a las preguntas. Perché viene proposta quella foto all’alunno? A cosa gli serve rispondere alle domande? C’è un motivo reale e concreto per fare questo? Evidentemente no; • Mira la foto y completa las frases: quale scopo comunicativo hanno per l’alunno le frasi che ottiene dopo averle completate? Evidentemente nessuno. Per quanto riguarda il dialogo iniziale si potrebbe obiettare che serve come modello di lingua, utile per presentare gli aspetti formali nuovi. In realtà il modello linguistico e gli aspetti formali dovrebbero essere presentati nel momento in cui una data forma serve per esprimere un concetto, per formulare una richiesta, per comprendere l’interlocutore in una data circostanza; in altre parole, quando si ha un problema comunicativo da risolvere. Il dialogo così proposto non risponde a nessuna necessità comunicativa per cui si può dubitare della sua efficacia per l’apprendimento. La motivazione, poi, è tale quando l’alunno è coinvolto anche dal punto di vista emotivo: quando può collegare l’argomento proposto con la sua realtà, quando gli viene assegnato un ruolo nel quale possa riconoscersi, quando gli viene affidato un compito da risolvere, quando può dare un senso a ciò che gli si chiede di fare. Tutti questi aspetti non sono presenti nelle attività che abbiamo appena esaminato. 113


IMPARARE PER COMPETENZE

Per quanto riguarda gli esercizi, si potrebbe obiettare che si tratta di esercizi introduttivi di warming up che precedono la parte più corposa dell’unità. Ma in effetti si tratta di esercizi di tipo meccanico, che semmai possono avere un certo significato se proposti come lavoro a casa per fissare determinati aspetti linguistici incontrati in classe durante lo sviluppo dell’unità. Che senso ha dedicare la lezione allo svolgimento di tali esercizi? Come abbiamo già sottolineato, la lezione è il momento in cui si creano le condizioni per l’apprendimento, il momento in cui si attivano i processi di formulazione di ipotesi, di comprensione, di rielaborazione ecc. In questo caso, dove sono i processi? Qui l’alunno deve solo intervenire su elementi discreti, non contestualizzati, estranei a qualunque intento comunicativo. Oltretutto è frustrante per un ragazzo mediamente intelligente dover rispondere a domande di questo tipo, senza un motivo plausibile per farlo. Ormai da decenni si parla dell’importanza della motivazione e a volte si pensa che un libro di testo ben corredato di immagini accattivanti, belle foto, disegni vivaci piazzati nel punto giusto, canzoni, realia di vario tipo eccetera, garantisca la motivazione. Ma non è affatto così: la motivazione scaturisce soprattutto da un problema da risolvere che per il ragazzo può assumere il sapore di una sfida. Il problema deve prevedere diverse possibilità di scelta e soprattutto deve attivare nell’alunno le risorse cognitive, affettive, operative per risolverlo. Vediamo adesso come vengono attivate negli esercizi in questione le competenze linguistiche comunicative individuate nel QCER. Il dialogo iniziale, che potrebbe rappresentare un input per la comprensione scritta/orale, dal punto di vista didattico è del tutto inefficace per i motivi indicati prima. Gli esercizi proposti per l’espressione scritta sono dei cloze, quindi non implicano nessuna forma di produzione effettiva. La produzione, scritta o orale che sia, può essere più o meno guidata, ma dovrebbe sempre prevedere la costruzione di testi linguistici che, dai più elementari ai più elaborati, si presentino come costrutti autonomi, e dove subentri anche l’aspetto creativo, cosa che in questo tipo di unità non avviene. Per quanto riguarda l’interazione orale l’alunno lavora sempre da solo e la sua realtà procede parallela a quella dei compagni senza che esse si incrocino mai. Da quanto fin qui osservato si può vedere bene come non si realizzi quanto prescritto dalla normativa per il biennio superiore: utilizzare una lingua straniera per i principali scopi comunicativi ed operativi7. Non è possibile parlare di reale

7.

Ministero della Pubblica Istruzione, Il nuovo obbligo di istruzione cit., p. 14.

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2. Osservazione di modelli

utilizzo della lingua perché ci troviamo davanti a esercizi costruiti su elementi discreti, laddove utilizzare la lingua per scopi comunicativi significa impegnarsi nella risoluzione di situazioni comunicative problematiche, che qui sono del tutto assenti. Osserviamo adesso come, in una unità di tipo tradizionale, vengono proposti e sviluppati gli aspetti formali. Per rendere più efficace la nostra osservazione, proponiamo l’unità di insegnamento/apprendimento che tratta la stessa struttura grammaticale estar + gerundio che abbiamo proposto per l’unità di didattica azionale. Abbiamo volutamente scelto un libro che presenta un’identica scheda grammaticale proprio per sottolineare che la differenza non risiede tanto negli aspetti grammaticali o nella loro organizzazione grafica, quanto nel processo che ne motiva la presentazione e l’uso. Qui la spiegazione è in spagnolo, ma alcuni manuali tradizionali la propongono in italiano.

Aspectos gramaticales Estar + gerundio Para describir una acción presente en curso en el momento del discurso, se usa: estar en presente de indicativo + gerundio. El gerundio se forma con la raíz del infinitivo + ando (1a conjugación) y + iendo (2a y 3a conjugación): pos-ar

posando    hac-er

haciendo    sal-ir

saliendo

Si el radical del verbo termina en vocal, la i de la desinencia -iendo se transforma en y. Ejemplo: ca-er cayendo; le-er leyendo; o-ír oyendo – Este que está posando para el objetivo es... – Estos son nuestros campeones: están sonriendo por la copa y nos la están enseñando. – Esta que está subiendo al avión es ... Gerundios irregulares Los verbos en -ir con una e o una o en la raíz, cambian dichas vocales en i y u respectivamente, cuando forman el gerundio: pedir sentir venir decir OJO: reír

pidiendo sintiendo viniendo diciendo

preferir prefiriendo morir muriendo dormir durmiendo poder pudiendo

riendo 115


IMPARARE PER COMPETENZE

Seguono alcuni esercizi applicativi degli elementi discreti: uno sul gerundio regolare, uno sui gerundi irregolari, ecc.: EJERCICIOS SOBRE LOS VERBOS A. - Completa las oraciones empleando la Perífrasis de Gerundio. – Mi padre ................................................................... (llamar) por teléfono. – Usted ................................................................... (jugar) al tenis. – Nosotras ................................................................... (escribir) una carta. – Vosotros ................................................................... (leer) un buen libro. – Tú ................................................................... (oír) música clásica. – Ellos ................................................................... (pedir) el menú al camarero. – Antonio ................................................................... (reírse) descontroladamente. – Yo ................................................................... (ir) para París. B. - Rellena con las formas de gerundio irregular. – ¿Qué estás ................................................................... (decir)? – Me estoy ................................................................... (morirse) de frío. – Silencio, por favor, el niño está ................................................................... (dormir). – Ana se está ................................................................... (sentirse) sola en este período. – Te estoy ................................................................... (pedir) un favor. – Ahora te dejo porque mis amigos están ................................................................ (venir) para saludarme.

Di solito gli esercizi sulla struttura in questione sono più numerosi ma quasi sempre di tipo cloze, cioè a risposta chiusa. Altre volte, nell’intento di fornire un aggancio alla realtà, si propongono alcune domande, come per esempio nel seguente esercizio: C. – Contesta a las siguientes preguntas. – ¿Qué estás haciendo ahora? (escribiendo) – ¿Qué están leyendo tus compañeros de clase? (libro de español) – ¿Con quién está hablando el profesor? (alumno X) – ...

Oppure si possono presentare delle vignette in cui qualcuno fa qualcosa e su quelle formulare delle domande: D. – Contesta a las siguientes preguntas. – ¿Qué está comprando la señora Pilar? – ¿Qué están bebiendo los chicos? – ¿Qué le están regalando sus padres a Ana? – ... 116


2. Osservazione di modelli

Il lessico di solito viene affrontato a parte, proponendo esercizi del tutto decontestualizzati. Ai disegni o alle foto dei vari oggetti è assegnato il compito di dare una parvenza di vivacità alla triste immobilità del tutto. EJERCICIOS SOBRE EL LÉXICO

cazadora jersey calcetines bufanda botas pantalones ... A. - Asocia cada palabra a la prenda de vestir adecuada. B. - Transcribe los nombres de las prendas de vestir en tu agenda con el correspondiente término en italiano. C. - Escucha cómo se pronuncian y repítelos en voz alta.

Infine, a conclusione dell’unità, vengono presentate una o più immagini che l’alunno deve commentare: Observa las fotos y coméntalas por escrito. ¿Qué están haciendo las personas de las fotos?

Quali competenze linguistiche si sviluppano in questa unità? Come si è potuto vedere, la scheda grammaticale non sembra essere funzionale alla comunicazione, ma serve invece all’esecuzione di esercizi meccanici il cui scopo è fissare degli elementi discreti, più che stimolare l’uso della lingua in situazioni di autenticità. 117


IMPARARE PER COMPETENZE

La scelta operata sembra disattendere del tutto quanto indicato nel QCER a proposito dell’approccio metodologico orientato all’azione, che considera le persone che usano e apprendono una lingua innanzitutto come «attori sociali, vale a dire come membri di una società che hanno dei compiti (di tipo non solo linguistico) da portare a termine in circostanze date, in un ambiente specifico e all’interno di un determinato campo d’azione»8 . Allo stesso modo, viene disatteso quanto è prescritto dalla normativa vigente per il biennio superiore, che raccomanda di utilizzare una lingua straniera per i principali scopi comunicativi ed operativi9: infatti l’alunno apprende strutture e lessico senza poterli utilizzare in un contesto, che invece è il fine ultimo dell’apprendimento di una lingua straniera. Osserviamo inoltre che qui non si sviluppa nessuna abilità linguistica. La produzione, sia orale che scritta, manca: lo svolgimento di esercizi meccanici, infatti, non ha niente a che vedere con il concetto di produzione linguistica che invece prevede l’impiego autonomo degli aspetti linguistici in contesti e situazioni comunicative autentiche; l’unico momento in cui l’alunno può svolgere un’attività di produzione scritta è quando gli si chiede nell’ultimo esercizio di commentare le foto. Così proposto, tuttavia, l’esercizio decontestualizzato rimane sterile, fine a se stesso, e quindi poco efficace. Anche l’interazione è completamente assente. Possiamo concludere dicendo che in unità di questo tipo i contenuti linguistici acquisiti non danno accesso a una competenza comunicativa autentica.

8. 9.

Consiglio d’Europa, Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue cit., p. 11. Ministero della Pubblica Istruzione, Il nuovo obbligo di istruzione cit., p. 14.

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3. Le competenze di cittadinanza

È giunto il momento di confrontare come si sviluppano le competenze di cittadinanza nelle due diverse proposte didattico-metodologiche, quella di didattica azionale e quella tradizionale. Partiamo dalle attività di didattica azionale. Sia nelle attività sul tema delle vacanze, sia in quelle sul tema del mondo che ci circonda, e in quella sugli aspetti inerenti alla persona, la competenza relativa al comunicare si sviluppa in maniera continua, autentica e fluida, dall’inizio alla fine. Trattandosi di didattica azionale, quindi di situazioni problematiche da risolvere, dalle più semplici alle più complesse, l’alunno dovrà anche saper progettare il proprio lavoro per poterlo gestire al meglio. Osservando tali attività abbiamo potuto constatare che la comunicazione è il perno intorno al quale ruota tutto il processo: il fine è quello di suscitare nell’alunno la necessità di comunicare e quindi di procurarsi gli elementi linguistici che gli servono per sviluppare l’interazione e/o la produzione di testi. Se consideriamo poi la competenza di risoluzione dei problemi, vediamo che le attività propongono diverse situazioni problematiche come quella di associare foto e testo nell’ambito lavorativo dell’agenzia turistica, o quella di produrre dei commenti scritti a foto di personaggi famosi per una rivista; è una situazione problematica anche l’attività in cui l’alunno deve commentare in diretta ciò che osserva nel video, così come lo è quella di redigere gli articoli per poi pubblicarli sul blog. In ciascuna di queste situazioni l’alunno deve risolvere un problema linguistico comunicativo che prende spunto da situazioni reali, cioè da situazioni nelle quali egli come cittadino, o se preferiamo come agente sociale, potrebbe trovarsi in futuro, sia nella quotidianità che in ambito lavorativo. Non si tratta di simulazioni, visto che l’alunno mantiene la sua identità e che le decisioni prese implicano anche assunzione di responsabilità rispetto al compagno, rispetto alla classe, rispetto al professore, rispetto a se stesso. Nel processo l’alunno deve anche acquisire l’informazione attingendola dai testi dati: si tratta di testi scritti od orali in cui l’alunno viene impegnato in attività di comprensione, o di testi visivi da interpretare e tradurre in pro119


IMPARARE PER COMPETENZE

duzioni scritte od orali, a seconda della situazione, per portare a termine il compito. E poiché l’alunno non lavora quasi mai da solo, ma viene spesso impegnato in dinamiche di gruppo che variano a seconda del tipo di attività – ora lavorando in coppia, ora condividendo i risultati con un piccolo gruppo, ora confrontandosi con tutta la classe – può sviluppare spirito di collaborazione, sia quando elabora le ipotesi con il compagno, sia in seguito, quando le confronta con il gruppo e infine con la classe. In questo modo matura un atteggiamento partecipativo ad ampio raggio, che include anche il rapporto con l’insegnante. L’alunno impara a fare tutto questo nel rispetto del punto di vista degli altri, senza rinunciare alle proprie opinioni, ma modificandole in maniera intelligente. Il senso di responsabilità che l’alunno sviluppa durante queste attività lo porta inevitabilmente a rapportarsi al proprio apprendimento in maniera autonoma, seppure nel continuo confronto con gli altri. Nell’imparare a organizzare il proprio lavoro, imparerà anche a organizzare il proprio studio, individuando le strategie necessarie per ottimizzare i risultati. Contestualmente si potranno sviluppare anche il senso dell’economia del tempo e delle energie, la capacità di andare a ricercare le informazioni e di selezionarle, la consapevolezza di quanto sta apprendendo e di come lo sta facendo, ecc. Tutto questo non è altro che la declinazione della competenza complessa dell’imparare a imparare che si va costruendo gradualmente attraverso un approccio all’apprendimento consapevole, costante e possibilmente trasversale a tutte le materie. Si potrà osservare che i tempi di svolgimento di una unità di didattica azionale si dilatano molto rispetto a quelli di una unità di insegnamento/apprendimento di tipo tradizionale. È così: se vogliamo costruire delle competenze linguistiche comunicative reali, l’apprendimento deve avvenire in classe insieme ai compagni sotto il monitoraggio costante del professore, con il confronto continuo con gli altri, ma soprattutto operando all’interno di un processo. Il lavoro a casa diventa invece un’operazione di fissaggio di quanto appreso in classe e non è il surrogato della lezione. Inoltre, le attività didattiche di tipo comunicativo che abbiamo osservato hanno una loro vita completa: hanno un inizio e una fine, e il durante è rappresentato da un insieme di attività linguistiche, di strategie comunicative, di atteggiamenti e di comportamenti che vanno oltre la semplice memorizzazione di regole o di lessico. Questo significa costruire competenze autentiche, ossia competenze linguistico-comunicative e competenze di cittadinanza. Come si realizzano queste ultime nell’unità tradizionale? Dopo quanto fin qui esposto, ci sembra superfluo sottolineare che, non 120


raggiungendo la competenza comunicativa specifica della lingua, l’alunno non ha neppure la possibilità di sviluppare le competenze di cittadinanza. Infatti non comunica, non gli viene proposto nessun tipo di problema reale da risolvere, lavora da solo quindi non c’è nessun intento di collaborazione, non gli viene richiesto di individuare collegamenti, nè tantomeno si intravede un minimo intento di dare vita ad alcun tipo di progetto; in queste condizioni l’autonomia non può svilupparsi e neppure la competenza dell’imparare a imparare. Dal punto di vista dell’apprendimento diventa difficile parlare di centralità dell’alunno, e tanto più di alunno come agente sociale.

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4. La valutazione

La valutazione è da sempre uno dei nodi più dolenti e difficili da affrontare, sul quale a volte neppure gli insegnanti dello stesso consiglio di classe riescono a trovare dei punti d’incontro. Poiché la metodologia resta il punto di riferimento fondamentale su cui costruire i criteri di valutazione, sarebbe auspicabile che in un consiglio di classe si condividesse lo stesso orientamento metodologico. Dal momento che ciò che abbiamo cercato di dimostrare fino a ora è la validità di un approccio metodologico mirato a sviluppare competenze, è con riferimento alle competenze che dobbiamo andare a costruire i criteri di valutazione. Per fare questo ci avvaliamo delle indicazioni dei documenti ufficiali di riferimento, ma soprattutto di quanto emerge dal QCER nel Capitolo 5 sulle competenze e nel Capitolo 9 sulla valutazione. Condividiamo pienamente il concetto di valutazione autentica e formativa – espresso da Graziella Pozzo nell’Introduzione al presente volume – che assegna alla valutazione il compito di osservare non solo le prestazioni ma anche i processi e, pur accogliendo tutte le osservazioni e le indicazioni a ciò inerenti, in questa sede vogliamo solo mettere l’accento su come valutare le competenze osservabili nella performance dell’alunno. Vogliamo quindi offrire alcuni spunti utili al professore nel momento di valutare le competenze linguistico-comunicative. I criteri esposti nelle tabelle che seguono, riferiti alla valutazione delle competenze linguistico-comunicative, sono puramente indicativi e non vengono dettagliati nei corrispondenti descrittori. Li proponiamo per sottolineare la loro coerenza con l’approccio metodologico orientato allo sviluppo di competenze fin qui illustrato. I valori suggeriti in corrispondenza di ciascuno dei tre criteri danno lo stesso peso agli aspetti inerenti al contenuto (competenza funzionale e sociolinguistica; competenza discorsiva e organizzativa) e a quelli inerenti alla forma (competenza linguistica).

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IMPARARE PER COMPETENZE

Valutazione delle competenze comunicative (A2) (Tabelle sintetiche) Produzione / interazione scritta Comportamenti attesi alla fine di un percorso didattico, relativi alla competenza linguistico-comunicativa Competenza funzionale e sociolinguistica (25%) L’alunno: - è capace di formulare messaggi adeguati per realizzare le funzioni comunicative oggetto del compito; - è capace di formulare pensieri e proposizioni in modo da far capire chiaramente ciò che intende; - mostra di sapersi adeguare linguisticamente al contesto sociale in cui si realizza (usa gli elementi linguistici che segnalano i rapporti sociali, le regole di cortesia e le differenze di registro). Competenza discorsiva (25%) L’alunno: - sa strutturare il messaggio secondo un’organizzazione tematica e un ordine interno; - sa sviluppare il tema in maniera adeguata al livello; - sa produrre un messaggio logico e coerente. Competenza linguistica (50%) L’alunno: - è capace di usare gli elementi linguistici adeguatamente al compito e al livello (lessico, sintassi, morfologia, fonologia, pronuncia, intonazione); - è capace di impiegarli correttamente da un punto di vista formale; - è capace di collegare le frasi del discorso con i connettivi propri del livello.

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4. La valutazione

Produzione orale Comportamenti attesi alla fine di un percorso didattico, relativi alla competenza linguistico-comunicativa Competenza funzionale e sociolinguistica (25%) L’alunno: - è capace di formulare messaggi per realizzare le funzioni comunicative (micro-funzioni) oggetto del compito; - è capace di formulare pensieri e proposizioni in modo da far capire chiaramente ciò che intende; - è capace di articolare e sostenere il discorso; - mostra di sapersi adeguare linguisticamente al contesto sociale in cui la comunicazione si realizza (usa gli elementi linguistici che segnalano i rapporti sociali, le regole di cortesia e le differenze di registro). Competenza discorsiva (25%) L’alunno: - sa strutturare il messaggio secondo un’organizzazione tematica e un ordine interno; - sa sviluppare il tema in maniera adeguata al livello; - sa produrre un messaggio logico e coerente. Competenza linguistica (50%) L’alunno: - è capace di usare gli elementi linguistici adeguatamente al compito e al livello (lessico, sintassi, morfologia, fonologia, pronuncia, intonazione); - è capace di impiegarli correttamente da un punto di vista formale; - è capace di collegare le frasi del discorso con i connettivi propri del livello.

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IMPARARE PER COMPETENZE

Interazione orale Comportamenti attesi alla fine di un percorso didattico, relativi alla competenza linguistico-comunicativa Competenza funzionale e sociolinguistica (25%) L’alunno: - è capace di formulare messaggi per realizzare le funzioni comunicative oggetto del compito; - è capace di formulare pensieri e proposizioni in modo da far capire chiaramente ciò che intende; - è capace di sostenere la conversazione e di far fronte a momenti di impasse (scioltezza e fluenza); - mostra di sapersi adeguare linguisticamente al contesto sociale in cui la comunicazione si realizza (usa gli elementi linguistici che segnalano i rapporti sociali, le regole di cortesia e le differenze di registro). Competenza discorsiva (25%) L’alunno: - mostra flessibilità nell’adattarsi alle circostanze; - prende la parola alternandosi nei turni, e mantiene la conversazione dall’inizio alla fine in base al livello; - mantiene logica e coerenza nello sviluppo del discorso, sempre in base al livello. Competenza linguistica (50%) L’alunno: - è capace di usare gli elementi linguistici adeguatamente al compito e al livello (lessico, sintassi, morfologia, fonologia, pronuncia, intonazione); - è capace di impiegarli correttamente da un punto di vista formale; - è capace di collegare le frasi del discorso con i connettivi propri del livello.

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Terza Parte Diverse discipline, un unico approccio metodologico



L’esperienza del Liceo “Francesco Cecioni” di Livorno Un liceo dal passato sperimentale glorioso, un dirigente scolastico1 illuminato e dal carattere deciso, un drappello di insegnanti di diverse materie disposti a provarci, due docenti formatrici – una in loco, ex insegnante nello stesso liceo, e una esterna – pronte a dimostrare che quel metodo funziona e si può applicare a tutte le materie, e tre anni di tempo per la verifica dei risultati. Questi gli ingredienti per dare vita al Progetto sperimentale di revisione didattico-metodologica del liceo “Francesco Cecioni” di Livorno, 2007/2010. L’iter per l’approvazione da parte del collegio dei docenti è un po’ controverso. Alcuni membri manifestano diffidenza e un certo scetticismo: è comprensibile, vista la singolarità della proposta e la sua complessità. Chi? Cosa? Come? E soprattutto Perché? sono gli interrogativi ai quali bisogna dare risposte chiare ed esaurienti pur nella ristrettezza dei tempi previsti per tali riunioni collegiali. Alla fine, però, il progetto viene approvato. Viene quindi stipulato il contratto tra il dirigente scolastico, le coordinatrici e il gruppo dei docenti disposti a partecipare alla sperimentazione; iniziano i lavori, scanditi da incontri mensili che variano dalle due alle tre ore a seconda delle esigenze, per ciascuno dei tre anni previsti (2007-2010). Nel tracciare le linee-guida del progetto, focalizzato sulle competenze, le docenti formatrici decidono di fare ricorso allo stesso approccio metodologico che caratterizza la loro didattica con gli alunni predisponendo un percorso didattico all’insegna della ricorsività, che presenti tutti i requisiti necessari affinché avvenga l’apprendimento. Orientate in quest’ottica, elaborano un piano di sviluppo che, molto in sintesi, è il seguente.

Prodotto finale Costruire percorsi disciplinari strutturati, caratterizzati da procedure metodologiche orientate all’azione.

1. Il progetto fu avviato nel 2007 dal Dirigente Scolastico professor Paolo Eppesteingher e continuato dal Dirigente Scolastico professor Giuseppe De Puri.

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IMPARARE PER COMPETENZE

Obiettivi intermedi Per poter realizzare il prodotto finale passeremo attraverso i seguenti momenti: 1. osservare modelli in cui sono stati applicati i principi teorici delle metodologie orientate all’azione; 2. studiare e ricercare per individuare le condizioni di applicabilità dei principi osservati alle diverse discipline impegnate nel progetto; 3. costruire segmenti didattici (a cura dei docenti delle diverse discipline); 4. effettuare la revisione e la rielaborazione dei materiali prodotti (a cura delle docenti formatrici); 5. osservare e condividere i risultati con il gruppo di studio in seduta plenaria e sviluppare delle riflessioni sui punti salienti; 6. sistematizzare quanto appreso: dall’esperienza alla concettualizzazione; 7. approfondire i principi teorici attraverso la bibliografia specifica del progetto e acquistando nuovi testi di pedagogia, sociologia, didattica, metodologia ecc. Perché finalizzare il progetto alla creazione di materiali? Non è sufficiente lo studio dei principi teorici e l’osservazione di come questi entrano nella prassi didattica? Gli addetti ai lavori, nello specifico gli insegnanti che maturano sul campo un’esperienza significativa, sanno bene quanto è importante disporre di un buon libro di testo per poter svolgere al meglio il proprio compito di docente. Se c’è coerenza tra l’impostazione metodologica dell’insegnante e quella del libro di testo, l’azione didattica sarà forte ed efficace. Quindi è chiaro che, una volta presa la decisione di adottare una metodologia orientata all’azione, è indispensabile che il docente disponga di materiali didattici adeguati, ed è per questo che le formatrici decidono di mettere ciascun docente in grado di costruire i propri percorsi. Questo li renderà anche molto più consapevoli al momento di analizzare i libri di testo per l’adozione. Inoltre, poiché stiamo parlando di un approccio orientato all’azione, è opportuno che anche in questo caso così “speciale” l’apprendimento passi attraverso la sperimentazione concreta. La prima difficoltà scaturisce sin dal primo punto del programma: osservare modelli in cui sono stati applicati i principi teorici delle metodologie orientate all’azione. Quali modelli prendere in considerazione? L’ideale sarebbe poter proporre un modello per ciascuna disciplina o asse disciplinare, ma evidentemente questo non è possibile, dato che tra gli obiet130


L’esperienza del Liceo “Francesco Cecioni” di Livorno

tivi intermedi c’è proprio la produzione, da parte dei docenti di ogni materia, di percorsi didattici orientati all’azione. I modelli disponibili riguardano prevalentemente la didattica della lingua straniera e la didattica della letteratura, sia straniera che italiana. Partiamo con un percorso di letteratura italiana contemporanea, soprattutto perché, essendo in italiano, non presenta difficoltà nella comprensione linguistica. In seguito riporteremo un modello di didattica della lingua straniera.

Come condurre l’osservazione Dopo lunghe riflessioni il gruppo di coordinamento decide di proporre il percorso nella sua interezza e, soprattutto, di chiedere ai docenti un coinvolgimento “da alunni”, in modo che l’esperienza, così diretta e d’impatto, sia concreta e significativa. Didatticamente è l’ipotesi vincente, anche se la distanza disciplinare tra il modello utilizzato e le altre materie, soprattutto quelle non letterarie, ha rappresentato un punto di criticità ricorrente e ha richiesto molta attenzione soprattutto nel corso del primo anno. Gli interrogativi che si presentano sin dall’inizio sono molti, tra cui: • come suscitare la motivazione anche in materie tanto distanti dal modello? • cosa intendiamo per problematizzazione? • come gestire la gradualità della scoperta? • come ottenere un’autenticità che non si confonda con la simulazione? • come strutturare un percorso di insegnamento/apprendimento, e come organizzare i materiali didattici al suo interno? • cosa intendiamo per aspetti umanistico-affettivi? Come realizzarli nella prassi didattica e all’interno di un percorso di insegnamento/apprendimento? • come conciliare questa metodologia con il libro di testo in adozione? Sono nodi assai complessi e inoltre, poiché scaturiscono ogni volta da discipline diverse, dare risposte adeguate richiede tempo e strategie di diverso tipo, come esemplificazioni attraverso altri modelli, confronto costante con gli strumenti della prassi tradizionale, richiami alla concretezza di situazioni reali, e così via. Tuttavia le risposte assumono una chiarezza sempre maggiore man mano che si procede all’applicazione concreta dei vari principi. Dopo aver osservato il modello e riflettuto a lungo sui nodi metodologici fondanti, si passa allo studio e alla ricerca da parte dei docenti, per individuare la possibile applicabilità del modello proposto alle diverse discipline. 131


Si giunge così al momento della costruzione dei percorsi didattici secondo la metodologia osservata. I docenti si raggruppano per ambiti disciplinari; ciascun gruppo ha il compito di produrre un segmento didattico o, se preferisce, un intero percorso. Man mano che i materiali vengono prodotti, sono sottoposti alla revisione e poi sono presentati in seduta plenaria, per essere osservati e discussi. È un lavoro lungo e delicato ma alla fine dà i suoi frutti. I gruppi iniziano a produrre dei percorsi coerenti con quanto osservato. I risultati sono diversi e non privi di problematiche, ma molto stimolanti perché offrono lo spunto per ulteriori chiarimenti e riflessioni. Si vanno così costruendo gradualmente delle risposte significative agli interrogativi cruciali. Durante lo svolgimento del progetto, ci siamo avvalsi della preziosa collaborazione di due esperte per affrontare due nodi focali nella didattica: quello sulla valutazione e quello sulle competenze. Il primo è stato affidato a Sonsoles Fernández e il secondo a Graziella Pozzo. Entrambi i seminari si sono rivelati di grande interesse e utilità, e hanno contribuito ad allargare il campo di osservazione, nonché a rafforzare e radicare nei colleghi la validità di questo approccio metodologico. Vediamo adesso, attraverso diversi esempi, come i singoli principi metodologici sono stati applicati ai percorsi didattici nelle diverse discipline. Per ovvi motivi di spazio non riportiamo i percorsi nella loro interezza, ma per ciascuno estrapoliamo solo quelle parti che ci consentono di osservare i principi di cui via via ci occuperemo; ciò comporta necessariamente che si perda la visione d’insieme di ciascun percorso, e di conseguenza anche di come vengono raggiunti gli obiettivi didattici che a esso soggiacciono. Si tenga presente che si tratta in tutti i casi di percorsi in cui si costruiscono competenze attraverso il principio del fare o, se si preferisce, del problem solving.


1. La motivazione

Esempio 1: la matematica Per affrontare la questione della motivazione, partiamo con un primo esempio che ricaviamo da un percorso di matematica sulla simmetria assiale1. Come creare la motivazione iniziale? Appare subito logica l’associazione con il gioco del biliardo, dove è facile osservare l’applicazione concreta delle proprietà della simmetria assiale. Partiamo dunque da un problema in cui si presenta la schematizzazione di un biliardo con i lati ABCD e con due biglie: in quale punto la biglia Rossa deve colpire la sponda AB per rimbalzare verso la biglia Blu? Le docenti si rendono subito conto che questa proposta non è in grado di far scaturire una vera motivazione in quanto non suscita nell’alunno nessuno stimolo autentico: si tratta di un problema di matematica come tanti altri (chi non ricorda il problema sulla vasca da bagno che si riempie e si svuota, con presunti riferimenti alla vita di tutti i giorni?). Optano allora per partire dall’osservazione del fenomeno nel momento in cui avviene, in una situazione autentica. Viene quindi proposta la visione di un frammento del film di Francesco Nuti, Io, Chiara e lo Scuro, nel memorabile scontro finale al biliardo tra Francesco e, appunto, lo Scuro. Si introduce la visione del filmato suggerendo di osservare le dinamiche dei tiri, soprattutto di quelli che mirano a colpire la biglia indirettamente, dopo aver colpito la sponda del tavolo una o più volte. Dopo la prima visione del filmato si formulano delle domande più precise, come per esempio “Perché la situazione delle biglie sul tavolo rende quasi impossibile il tiro a Francesco?”, e poi: “Con quale tipo di tiro Francesco esce da questa situazione disperata?”, e così via. In questo caso gli alunni iniziano a interessarsi in maniera autentica perché: 1. la visione del filmato coinvolge in maniera diretta, sia perché ricrea una situazione reale, sia perché immediatamente lo spettatore (l’alunno nel nostro caso) parteggia per il protagonista e condivide gli 1. U. Caccialupi, A.M. Pacini, «Biliardo: un gioco, ma non solo», in Progetto Sperimentale di revisione didattico-metodologica cit.

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IMPARARE PER COMPETENZE

esiti della sua azione di gioco: essa implica quindi il coinvolgimento emotivo dello spettatore; 2. le domande, opportunamente anticipate, inducono a mettere in atto un’osservazione mirata; 3. le proprietà geometriche della simmetria assiale vengono osservate nel momento in cui sono applicate ad una situazione concreta e autentica, e non in un problema che, per quanto richiami le regole del gioco del biliardo, è del tutto astratto. Infatti non è la stessa cosa dire “questo funziona come nel biliardo, questo rettangolo ABCD è il tavolo da gioco” e dire “guarda cosa accade, cosa fanno queste persone, cosa provano, come risolvono questo problema, come giungono a realizzare un tiro e quindi a vincere la partita…” Il problema si umanizza, il gioco si colloca in un’atmosfera del tutto particolare, il protagonista non è più un rettangolo/tavolo, ma sono delle persone con le loro emozioni, con le loro azioni che hanno esiti inaspettati e sorprendenti, insomma… è un’altra cosa. Una volta entrato nel meccanismo del gioco, l’alunno è pronto per cimentarsi anche in un problema astratto (come quello del tavolo stilizzato) perché è motivato. La motivazione, che in questo caso non è intrinseca dell’alunno ma è stata indotta, è sufficiente per far sì che l’alunno intraprenda il percorso di apprendimento non solo con un atteggiamento di apertura e buona predisposizione, ma soprattutto con cognizione di causa, fornita dall’osservazione e dai suoi risultati, che egli ha fatto propria e che quindi funge da motore per l’intero processo di apprendimento. Un altro aspetto che ha un effetto motivazionale assai significativo per l’alunno è la consapevolezza che, alla fine del suo percorso, dovrà realizzare un prodotto finale concreto che richiederà l’attivazione delle nuove competenze. Nel nostro caso l’alunno sa sin dall’inizio che, a conclusione del percorso di apprendimento sulla simmetria assiale, dovrà effettuare, con i suoi compagni e con l’insegnante, una visita alla sala da biliardo per osservare dal vero il gioco e le sue regole, sapendolo rapportare ai principi geometrici su cui si regge. Durante la visita ciascun alunno dispone di una scheda che lo facilita nell’osservazione del gioco, mentre il professore si serve di altre schede per osservare e verificare il conseguimento delle competenze da parte della classe.

Esempio 2: la musica Passiamo a un secondo esempio, sempre relativo a come suscitare la motivazione allo studio di alcuni aspetti inerenti a una specifica materia. 134


1. La motivazione

Questa volta si tratta di un percorso di musica2 rivolto ad alunni del biennio che hanno già avuto un approccio con la materia: l’obiettivo didattico è quello di giungere a una definizione consapevole di che cosa è la musica, che tenga conto di tutti gli aspetti trattati e osservati fino a quel momento. In altre parole, dopo un primo approccio che prevede percorsi mirati a osservare diversi aspetti dell’argomento, l’insegnante vuole portare gli alunni a elaborare il concetto di musica, vuole che siano gli alunni stessi a costruire questo significato facendo tesoro di quanto appreso, e vuol giungere a una definizione che, pur partendo da aspetti soggettivi, si avvalga di dati oggettivi. Il percorso si apre con una domanda: che cos’è la musica? È una domanda a orientamento circolare: solo alla fine del percorso l’alunno sarà in grado di dare una risposta completa e circostanziata. Subito dopo aver posto la domanda, si annuncia un viaggio in Venezuela, con tanto di carta geografica. È una strategia che punta sulla curiosità e sempre sulla curiosità si insiste nel proporre un filmato dove si esibisce un’orchestra un po’… speciale: è l’Orchestra Sinfonica Simón Bolívar di Caracas diretta dal maestro Gustavo Dudamel. L’alunno si predispone alla visione del filmato spinto dalla curiosità: perché questa orchestra è definita speciale? Dopo il filmato, si riprende il dialogo con l’alunno: gli si chiedono le sue impressioni sul filmato e si focalizza l’osservazione sull’aggettivo speciale attraverso una serie di domande, come per esempio: “Perché il pubblico saluta l’orchestra con degli applausi così fragorosi e prolungati prima dell’esecuzione del brano?”, “Cosa appare evidente nei musicisti, nel loro atteggiamento prima e durante l’esecuzione?”, “Quali caratteristiche accomunano i componenti dell’orchestra?”… (hanno un atteggiamento molto partecipativo, sono assai coinvolti, sono tutti molto giovani, compreso il direttore; la maggior parte di essi presenta caratteri somatici tipici dei popoli latinoamericani). Ciascun alunno elabora le proprie ipotesi che potrà confermare attraverso la visione di un secondo filmato, in cui alcuni giovanissimi musicisti venezuelani parlano del progetto musicale El sistema, nato in Venezuela negli anni Ottanta, promosso dal professor Juan Antonio Abreu, al fine di allontanare i bambini dalla strada e offrire loro, nella musica, una speranza di riscatto dalla miseria e dal degrado e una vita più dignitosa. È emozionante ascoltare da questi giovani che per loro la musica rappresenta la salvezza ed è un motivo di vita. Puntare su queste emozioni rappresenta un impatto motivazionale forte.

2.

M.P. Sevieri «I love musica», in Progetto Sperimentale di revisione didattico-metodologica cit.

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IMPARARE PER COMPETENZE

L’alunno giunge così a una prima risposta soggettiva all’interrogativo iniziale Che cos’è la musica? Soprattutto, a questo punto è motivato a proseguire nel suo percorso di costruzione del significato, che consiste proprio nel passare dal soggettivo delle emozioni individuali all’oggettivo delle informazioni che ricaverà dai diversi stimoli e dalle diverse attività che l’insegnante gli proporrà nello sviluppo del percorso didattico, al fine di condurlo gradualmente alla formulazione oggettiva e circostanziata della definizione di musica.

Esempio 3: la matematica Come abbiamo visto, la motivazione si può attivare in modi diversi: l’insegnante che conosce la propria classe sa quali stimoli possono essere più adeguati per suscitare l’interesse nei suoi alunni e far assumere loro un atteggiamento attivo nell’affrontare un nuovo percorso e portarlo a termine ottenendo il migliore dei risultati. Per esempio, in un percorso di matematica3 i cui obiettivi disciplinari sono la risoluzione di equazioni numeriche intere e la risoluzione algebrica di un problema di primo grado, l’insegnante ha scelto di puntare sullo stimolo della gara: alla fine del percorso la classe si cimenterà in una gara a squadre dove si confronterà sulla risoluzione di problemi. Si formano i gruppi di lavoro, in questo caso delle vere squadre, che restano gli stessi dall’inizio alla fine dei lavori. Durante il percorso le squadre vengono impegnate in una serie di attività di apprendimento, ciascuna delle quali assegna un bonus al gruppo che risolve il quesito nel modo migliore e nel minor tempo; i bonus che ogni squadra ha accumulato vanno poi a sommarsi al punteggio raggiunto nella gara finale. Insomma, gli stimoli da proporre possono essere diversi e di varia natura, tenendo conto di diverse componenti oggettive.

3. M.P. Pescetti, «La matematica è un problema?», in Progetto Sperimentale di revisione didattico-metodologica cit.

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2. La situazione problematica Esempio 1: la matematica Soprattutto per i docenti di matematica, l’espressione situazione problematica può essere erroneamente intesa come la formulazione di un problema, perciò vale la pena soffermarsi sulle differenze tra i due concetti. Proponiamo un esempio ricavato da un percorso di matematica1. Proviamo a mettere a confronto un problema e una situazione problematica. Problema

Situazione problematica

Leggete il problema2 seguente.

Squadre di soccorso al campo base.

Due fratelli, Matteo e Simone, sono bloccati per alcuni giorni in una baita di montagna da una tempesta di neve. Entrambi devono seguire una specifica dieta per motivi di salute. Matteo deve mangiare ogni giorno 50 grammi di grassi, 100 grammi di proteine e 250 grammi di carboidrati. Simone, invece, deve mangiare almeno 60 grammi e non più di 100 grammi di proteine; inoltre deve mantenere l’apporto calorico compreso fra 2000 e 2400 calorie; infine dovrebbe ridurre al minimo l’apporto di grassi.

Facciamo parte di una spedizione di soccorso alpino e ci troviamo al campo base, in contatto radio con due alpinisti, i fratelli Matteo e Simone, che si trovano in una situazione di emergenza, aggravata dal fatto che ambedue hanno dei grossi problemi alimentari. Matteo e Simone sono infatti bloccati per alcuni giorni in una baita di montagna ad alta quota, da una tempesta di neve. Entrambi devono seguire una specifica dieta per motivi di salute. Matteo deve mangiare ogni giorno 50 grammi di grassi, 100 grammi di proteine e 250 grammi di carboidrati. Simone invece, deve mangiare almeno 60 grammi e non più di 100 grammi di proteine; inoltre deve mantenere l’apporto calorico compreso fra 2000 e 2400 calorie; infine dovrebbe ridurre al minimo l’apporto di grassi. Ah, è anche allergico alle banane! Le provviste disponibili nella baita sono soltanto carne in scatola, cracker e banane... e, guarda caso, c’è anche una bilancia per pesare gli alimenti. Noi, dalla nostra postazione al campo base, cercheremo di aiutarli a sopravvivere dal punto di vista alimentare dando loro delle indicazioni preziose.

Le provviste disponibili nella baita sono soltanto carne in scatola, cracker e banane e Simone è allergico alle banane! A parte la monotonia dell’alimentazione, potranno i fratelli seguire le loro diete? E quali quantità di cibi dovranno o potranno assumere ogni giorno?

Organizziamo gli aiuti. Lavoriamo in gruppi. Ciascun gruppo è una squadra di soccorso: vediamo quale squadra interviene più prontamente con le soluzioni migliori.

1.

U. Caccialupi, «Diete e… diete», in Progetto Sperimentale di revisione didattico-metodologica cit.

2.

Il problema è presente nel materiale del progetto m@t.abel, disponibile in rete.

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IMPARARE PER COMPETENZE

È evidente che il quesito da risolvere è simile in ambedue i casi ma, mentre il problema formula il quesito in questi termini: “Potranno i fratelli seguire le loro diete? E quali quantità di cibi dovranno o potranno assumere ogni giorno?”, la situazione problematica costruisce un contesto più ampio dove l’alunno viene coinvolto in prima persona: “Facciamo parte di una spedizione di soccorso alpino e ci troviamo al campo base, in contatto radio con due alpinisti…” e si conclude con il compito da risolvere: “Organizziamo gli aiuti. Lavoriamo in gruppi. Ciascun gruppo è una squadra di soccorso: vediamo quale squadra interviene più prontamente con le soluzioni migliori”. In altre parole: il primo, pur essendo contestualizzato, è un vero e proprio problema in cui l’alunno assume il tradizionale ruolo dello studente davanti a un problema da risolvere. Nel secondo caso la situazione dei due fratelli nella baita è la stessa ma con la differenza che l’alunno ne fa parte con il ruolo del soccorritore e, in quanto membro di una squadra di soccorso, dovrà lavorare in gruppo con altri compagni, il che rende il lavoro più partecipativo e coinvolgente grazie anche alla piccola sfida tra le squadre. Queste differenze, che a prima vista possono sembrare banali, nella prassi di classe assumono molta importanza. Infatti, il diretto coinvolgimento degli alunni contribuisce a conferire maggior autenticità al lavoro da svolgere; anche l’osservazione dei risultati diventa un momento attivo in cui i gruppi partecipano esponendo il loro percorso e valutando le risorse messe in campo da ciascun gruppo, o meglio ancora le competenze attivate per risolvere la situazione problematica. Intesa così, la condivisione dei risultati può anche diventare un momento di verifica, sempre che l’insegnante lo concordi precedentemente con la classe.

Esempio 2: lo spagnolo Passiamo adesso a osservare un altro esempio di problematizzazione della situazione didattica. L’esempio ci viene offerto da un progetto di spagnolo3 per il biennio superiore, di cui riportiamo alcuni passaggi dall’originale, tradotti in italiano. Anche in questo caso è stata volutamente omessa tutta la parte relativa allo sviluppo degli aspetti funzionali, grammaticali e lessicali, perché il nostro obiettivo è quello di mettere in risalto come viene realizzato l’aspetto della problematizzazione; si tratta comunque di un percorso che, prendendo spunto da un problema concreto, sviluppa il processo di apprendimento della lingua attivando tutti i principi dell’imparare facendo. 3. C. Licco, «¡Pongamos nuestro granito de arena!», in Progetto Sperimentale di revisione didatticometodologica cit.

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2. la situazione problematica

Tralasciamo quindi di specificare gli obiettivi e le fasi che l’insegnante dedica al loro sviluppo specifico, e fissiamo l’attenzione su come si problematizza la situazione didattica. L’insegnante parte da una questione di attualità che, per sua natura, presenta già un’implicazione motivazionale: L’ambiente e i problemi che lo minacciano, come tentare di risolverli? Il percorso inizia con un video di animazione in cui la Terra si lamenta dei problemi che la affliggono, e prosegue coinvolgendo direttamente l’alunno con alcune domande come: “Pensi che ci sia speranza di curare la Terra?”, “Come cercare di rimediare ai danni?”, “Che fare per cercare di affrontare/risolvere il problema?”. Sono domande che offrono stimoli per il confronto tra i componenti del gruppo, che in questo modo vanno acquisendo coscienza del problema e lo fanno proprio. Poi si definisce quello che sarà il prodotto finale: La nostra missione consiste nell’elaborare un documento dove si stabilisce un piano di azione per salvare il nostro pianeta. La conoscenza, fin dalla fase iniziale, di ciò che si dovrà realizzare alla fine del percorso, rappresenta per l’alunno un aspetto motivazionale forte: in altre parole equivale allo scopo ultimo per cui affrontare e sviluppare tutto il percorso. L’insegnante avrebbe infatti potuto proporre il prodotto finale solo al momento di doverlo realizzare, ma con risultati ben diversi dal punto di vista della motivazione. Da qui inizia il percorso di apprendimento vero e proprio, strutturato nelle diverse tappe, ricco di documenti di riflessione, che rappresentano nuovi input, e fornito di schede grammaticali opportunamente proposte in posizioni strategiche. La situazione problematica iniziale è assai efficace perché da sola permette di sviluppare, in maniera articolata, tutte le fasi del processo di apprendimento, guidando l’alunno dall’inizio alla fine. Pur trattandosi di un percorso assai complesso, la motivazione, che prende sempre spunto dalla situazione problematica iniziale, è mantenuta alta dalla varietà delle attività di volta in volta proposte, di cui proponiamo alcuni esempi: Una ONG spagnola ha elaborato un sondaggio per verificare le conoscenze degli studenti a proposito del consumo energetico. Vuoi provare a dare le tue risposte? Bene, poi commentale con il tuo compagno.

Qui, sotto forma di sondaggio, vengono proposte alcune domande sull’importanza del risparmio di energia. Segue un confronto nel gruppo classe. 139


IMPARARE PER COMPETENZE

Una casa ecologica: osserva com’è organizzata e segnala gli aspetti che vengono rispettati anche nella tua casa.

Si presenta agli alunni l’immagine di una sezione di una casa a più piani, dove sono ben visibili tutti i vani e ciò che contengono a seconda della loro destinazione d’uso. L’immagine è affiancata da un testo che contiene alcuni suggerimenti utili su come ridurre i danni al pianeta Terra (per esempio installare un generatore ecologico per sfruttare l’energia eolica, adottare un sistema di differenziazione dei rifiuti e così via). Si passa poi alla proposta dell’ascolto di un programma radiofonico dove si danno consigli per proteggere l’ambiente. L’alunno è invitato a prendere nota, per poter procedere poi al confronto con i risultati dell’attività precedente. Il percorso continua con varie proposte didattiche che, mantenendosi nell’ambito della salvaguardia dell’ambiente, sviluppano gli obiettivi linguistici. Per esempio, al fine di proporre un’attività di comprensione scritta, fornisce dei documenti da cui l’alunno può trarre ulteriori informazioni. L’alunno giunge così al momento in cui, avendo sviluppato le competenze necessarie, può intraprendere la realizzazione del prodotto finale. La situazione problematica iniziale, L’ambiente e i problemi che lo minacciano, come tentare di risolverli?, ha rappresentato il motivo conduttore di tutto il percorso e, attraverso un processo articolato, ha permesso di sviluppare gli obiettivi linguistici necessari per realizzare il prodotto finale. Questi due esempi sulla situazione problematica (il primo relativo al percorso di matematica, e il secondo di didattica della lingua straniera/spagnolo) ci offrono alcuni spunti di riflessione: • la situazione problematica può essere presentata in momenti diversi del percorso didattico e ogni volta assume un significato diverso. Nel primo esempio, viene proposta in un momento specifico all’interno del percorso, quando è necessario creare un aggancio alla realtà, utile per coinvolgere l’alunno in maniera autentica, nello svolgimento di un’attività didattica, su un nodo di particolare interesse. Nel secondo esempio invece essa regge l’intero percorso, visto che rappresenta il motore iniziale dal quale prende l’avvio tutta l’azione didattica, motiva lo sviluppo delle diverse fasi e si conclude con la realizzazione del prodotto finale; • la situazione problematica assume una valenza motivazionale: quanto più essa è ben costruita, reale e autentica, tanto più forte è la motivazione che è capace di generare; 140


2. la situazione problematica

• spesso si tende a identificare la situazione problematica con la motivazione, ma si tratta di due aspetti diversi, seppur strettamente collegati. La situazione problematica è la ricostruzione di una situazione autentica nella quale l’alunno viene a trovarsi come attore e dovrà attivarsi, ricorrendo a tutte le sue risorse e strategie per trovare soluzioni al problema. La motivazione è la condizione psicologica generata dalla situazione problematica e che quindi è conseguente a essa.

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3. L’autenticità Come abbiamo visto, le situazioni didattiche/problematiche che danno l’avvio al processo di apprendimento tendono tutte all’autenticità. Ma vediamo di esporre in maniera più precisa cosa intendiamo per autenticità. Come abbiamo osservato nei capitoli precedenti, è autentico ciò che facciamo spinti da una necessità reale: è chiaro che nella realtà di classe sono ben poche le attività didattiche che possano rispondere a questo criterio in maniera rigorosamente pragmatica, ma possiamo fare molto per costruire delle situazioni il più possibile vicine a questo concetto di autenticità.

Esempio: la fisica Prendiamo per esempio un percorso di fisica1 per il biennio superiore, che riguarda il moto. L’obiettivo è saper analizzare il movimento dei corpi. Il percorso, assai articolato, ha una struttura che si divide in tre parti: • Prima parte: Quanto è rapido il movimento? La velocità (in una dimensione); • Seconda parte: E se la velocità varia? Il moto accelerato (in una dimensione); • Terza parte: I corpi possono muoversi anche su un piano? Moto parabolico e moto circolare. Dopo aver sviluppato la prima parte, si presenta il problema di proporre una situazione la cui autenticità possa generare nell’alunno una motivazione tanto alta da facilitare la prosecuzione del percorso, proprio nel momento di affrontare la seconda parte. La situazione che appare più efficace dal punto di vista dell’autenticità che la contraddistingue, seppure assai articolata, è la seguente: Hai la stoffa per lavorare come redattore per una rivista dedicata alle automobili? La rivista Quattro ruote cerca giovani apprendisti interessati a diventare giornalisti nel settore. Per la selezione si richiede di redigere un articolo che guidi il lettore all’uso corretto e consapevole dei dati tecnici di un’auto. Decidete di iniziare il vostro articolo partendo dai dati relativi alla velocità. La redazione selezionerà l’articolo che risulterà più efficace, attendibile, chiaro e... piacevole da leggere. Per facilitare il vostro lavoro vi forniamo le copie di alcune pagine della rivista dove potete trovare tutti i dati necessari. 1. M. Sammuri, M. T. Seu, «Un mondo... in movimento», in Progetto Sperimentale di revisione didatticometodologica cit.

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IMPARARE PER COMPETENZE

Quali aspetti sono fondamentali per confrontare le prestazioni di diversi tipi di automobili? Suggerimenti operativi Formate i gruppi di lavoro: avete un’ora di tempo per preparare l’elenco di tutti gli aspetti che verranno sviluppati nell’articolo. Organizzate il lavoro partendo dalla Scheda Tecnica, che costruirete attraverso i seguenti passaggi: • individuate due (o più) tipi di auto con prestazioni diverse riguardo alla velocità e alle sue variazioni; • raccogliete tutti i dati utili; • osservate le caratteristiche delle auto: quando si dice per esempio che la loro velocità varia da 0 a 100 Km/h in un certo numero di secondi: – s ignifica che le due auto variano la loro velocità della stessa quantità? – s ignifica che c’è qualche differenza nel modo in cui le due auto variano la loro velocità? – s i può dire se quando sono arrivate alla velocità di 100 Km/h le due auto hanno percorso lo stesso spazio? Cercate di portare il lettore a interrogarsi sulla motivazione della risposta; • per risultare più convincenti potete utilizzare dei grafici come per esempio quello che rappresenta la velocità delle due auto in funzione del tempo, supponendo che la velocità aumenti in modo regolare (uniformate le unità di misura, usando quelle del S.I.); • porterete poi il lettore a osservare di quanto aumenta la velocità delle due auto dopo un secondo di tempo, poi dopo due secondi, mettendo a confronto i dati ottenuti e portando il lettore a trarre le sue conclusioni; • concludete interrogandovi su come si può descrivere in modo chiaro e sintetico, magari con una relazione matematica, il diverso comportamento delle due automobili; • dopo che tutti i gruppi avranno elaborato la scheda tecnica, potranno passare a scrivere l’articolo rendendolo il più accessibile e accattivante possibile per il lettore che dovrà trarne informazioni chiare ed esaustive, ma anche piacevoli da leggere. I componenti del gruppo che avrà scritto l’articolo migliore (rispondente a tutti i requisiti richiesti), sapranno di poter avere buone opportunità di lavorare nel settore.

Questa situazione è autentica perché: • il quesito iniziale è proposto sotto forma di sfida: Hai la stoffa per lavorare come redattore per una rivista dedicata alle automobili? Si tratta di una sfida plausibile poiché è plausibile chiedersi se si ha la stoffa per svolgere un qualunque incarico reale: l’alunno non ha la sensazione di trovarsi davanti a un quesito didattico, ma si trova proiettato verso una possibile opportunità di lavoro futuro; • così coinvolto, l’alunno avverte la necessità reale di mettere in campo tutte le sue risorse, sia per compilare la scheda tecnica, sia per giungere al risultato finale della redazione dell’articolo; • il punto di riferimento è un documento autentico, la nota rivista Quattro ruote, da cui ricavare i dati necessari per sviluppare la scheda tecnica. 144


3. l'autenticità

Inoltre non si tratta di una simulazione in quanto l’alunno non fa finta di… ma desidera realmente testare le sue capacità; non si tratta di un problema matematico perché l’alunno è coinvolto come protagonista interno alla situazione e in questa posizione deve prendere decisioni, assumersi responsabilità, rispondere delle proprie scelte; tutto questo sia in termini di autonomia, sia in termini di collaborazione con il gruppo. Ancora una volta ci troviamo davanti al fenomeno del diretto collegamento tra i diversi principi – motivazione, situazione problematica, autenticità – che finiscono per fondersi attivamente gli uni negli altri, rafforzando reciprocamente la propria validità.

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4. La gradualità della scoperta Esempio 1: l’inglese Il processo di apprendimento si sviluppa attraverso varie fasi che portano l’alunno alla scoperta, o meglio, alla costruzione graduale del significato degli argomenti trattati. Prendiamo per esempio un percorso di lingua inglese1, per la prima classe superiore, che introduce le funzioni del narrare al passato; l’obiettivo grammaticale è quello di introdurre le forme del passato remoto e alcuni marcatori temporali a esso inerenti. Un aspetto interessante di questo percorso è l’uso che si è fatto del libro di testo in adozione; questo presentava un’impostazione metodologica diversa da quella del progetto, ma le insegnanti hanno deciso di avvalersi comunque di alcune sue parti come testi, esercizi, tabelle ecc... Ovviamente hanno fatto in modo che il tema individuato per il percorso potesse conciliarsi con quei materiali. Questo esperimento rappresenta una risposta a un interrogativo che è stato posto diverse volte durante lo sviluppo del progetto: non accantonare il libro adottato, ma costruire un percorso parallelo che lo integri o lo modifichi in maniera opportuna. Il percorso inizia con la definizione del prodotto finale: Scrivere la biografia di un personaggio del passato, che ciascun gruppo sceglierà in base alle proprie preferenze. Attività 1 (a coppie) La prima attività presenta una semplice scelta (V/F) sulle date di alcuni fatti noti, dove i vari item contengono i verbi al passato, per esempio: 1. Brad Pitt acted as Joe Black in 1996. 2. Bush was elected in 2004. 3. …

Per l’alunno si tratta di un primo impatto con le forme del passato e con un marcatore temporale (le date).

1. P. Pettinelli, E. Signorini, «Talking about the past», in Progetto Sperimentale di revisione didatticometodologica cit.

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IMPARARE PER COMPETENZE

Attività 2 (in gruppo) La seconda attività propone la lettura di un breve brano tratto dal libro di testo, Kate’s story, con la conseguente ricostruzione dello stesso. Per facilitare l’alunno in tale ricostruzione, le docenti propongono la seguente scheda facilitatrice.

• In 1999… • A factory… • Kate wanted to preserve the playground and… • (…) Il compito dell’alunno consiste solo nel ricavare dal testo le forme verbali corrette per completare gli item, dal momento che egli non possiede ancora gli strumenti adeguati per costruire la lingua in maniera autonoma (ovviamente in riferimento a queste competenze). Attività 3

• (alunno da solo): Read the text again and find the important years in Kate ’s life. • (in gruppo): Discuss about why those years were important. – What do you think of Kate’s story? – D o you like her story? Why / why not?

Dopo una prima familiarizzazione con le forme verbali del passato, passiamo all’osservazione dei modelli di lingua: l’alunno inizia a formulare le prime ipotesi, che verranno verificate durante una messa in comune, come d’altra parte avviene sempre alla fine di ogni attività didattica. Attività 4 (a coppie) Think about three important dates in your life. Write them down in your copybook. Then ask your partner what his/her important dates are and, asking him questions, try to find out what happened in those years. Then change roles.

L’alunno continua con la formulazione di ipotesi su aspetti della propria vita. È quindi giunto il momento di fornirgli i primi strumenti concreti, cioè alcune forme verbali che gli sono utili per svolgere questa attività. Segue un’altra scheda di supporto per facilitare la comunicazione. All’alunno viene infine richiesto: Now write your partner’s answers in a paragraph. 1. The first important date is………. because………………………… 2. The second important date………………………………………

Segue un report orale alla classe. 148


4. la gradualità della scoperta

Attività 5 Questo è il momento della riflessione grammaticale (sistematizzazione) alla quale l’alunno può giungere in maniera autonoma, passando attraverso varie fasi di osservazione guidata. Grammar: Let’s now see how the past simple works The following grid will help you to find it out. List of the verbs from Kate’s story Past simple Positive form

Past simple Negative form

Past simple Question form

Present

Infinitive

Others

• Regular verbs end with… • Irregular verbs have… (go back to the grid at page…) Write down all the negative forms you have found in the story. Write down all the question forms you have found in the story What do you need to make a negative sentence in the past? What do you need to make an interrogative sentence? What do they have in common? Can you infer the grammar rule? • Positive form: Regular verbs… / Irregular verbs… • Negative form... • Question form...

Tutto questo conduce gradualmente alla concettualizzazione degli aspetti grammaticali. Attività 6 Questa attività guida l’osservazione sugli usi del passato e, analogamente a quanto è stato svolto prima per le forme verbali, sui marcatori temporali. Attività 7 (a coppie) Adesso che l’alunno possiede gli strumenti necessari, può cimentarsi nella produzione orale della lingua, usando il passato in maniera consapevole. Si tratta di un’attività ancora abbastanza guidata ma già indirizzata verso l’autonomia. 149


IMPARARE PER COMPETENZE

What are the most frequent activities you did last week? Work with a partner. Ask, answer and take note about last week’s activities; you can use the following verbs: watch tv help my mum play computer games listen to music cook

phone grandmother eat* out. study go* to school go to the gym

Let’s put the results together and see what your most frequent activities were last week.

L’asterisco segnala che si tratta di un verbo irregolare. Attività 7 Le insegnanti decidono di sfruttare un’altra attività proposta dal libro di testo circa i personaggi più amati dagli adolescenti che ben si colloca in questo momento del processo: è un lavoro di reimpiego delle forme verbali incontrate e di alcuni marcatori temporali. Attività 8 (in gruppo) Realizzazione del prodotto finale - FINAL PROJECT: Our “idol” of the past

L’attività è guidata soprattutto nel suggerire i passaggi per organizzare il lavoro: In groups: think about someone of the past who impressed you a lot. Stage 1) Choose a famous person. Stage 2) Look for more information about him/her (Internet, books, magazines…). Stage 3) Make a poster on him / her, using any support you prefer, to make it agreeable (like PowerPoint…).

…ma fornisce anche una tabella, utile sia per dare un ordine interno al lavoro, sia per uniformare le performances dei gruppi. Birth ……………………………………………………………………………… Family ……………………………………………………………………………. Education ………………………………………………………………………… Youth …………………………………………………………………………… Marriage ………………………………………………………………………… Job ……………………………………………………………………………… Old age …………………………………………………………………………… Death …………………………………………………………………………… Why can he / she be considered an idol for young people? 150


4. la gradualità della scoperta

Per mantenere viva l’attenzione durante le presentazioni, le insegnanti decidono di impegnare il resto della classe in un’attività di osservazione: prendere nota di quanto dicono i compagni di ogni gruppo, per poi poter sviluppare un dibattito finale sugli esiti delle presentazioni; per questo forniscono a ciascun alunno la stessa scheda usata per presentare il personaggio, ma con una nota/domanda finale diversa a seconda del gruppo che effettua la presentazione. Il percorso termina quindi con le presentazioni dei prodotti finali e con il dibattito sulle presentazioni dei vari gruppi.

Esempio 2: la matematica Ancora sulla gradualità della scoperta riportiamo di seguito parte di un percorso di matematica2 sull’elevamento a potenza, i cui obiettivi disciplinari sono l’acquisizione di concetto di potenza e delle competenze necessarie per svolgere l’operazione di elevamento a potenza e le riflessioni sulle proprietà delle potenze. Forse sai già come si calcola l’elevamento a potenza ma proviamo a capire perché si esegue una determinata operazione e cerchiamo di dare una definizione precisa. Per facilitarti il compito ti proponiamo di partire da un problema semplice che ti permetterà di giungere a capire la logica che sta dietro al calcolo delle potenze. Problema 1 Durante il primo quadrimestre Matteo, un tuo compagno di classe, ha incontrato delle difficoltà in matematica e non raggiunge la sufficienza; l’insegnante vuole dargli la possibilità di recuperare e gli propone una verifica finale su 4 domande: se risponde esattamente a tutti i quesiti Matteo ottiene la sufficienza. Matteo però non ha intenzione di mettersi a ripassare la matematica e ti chiede: “Secondo te, quante probabilità ho di farcela se rispondo a caso?” Proviamo insieme a dare una risposta a Matteo. Ti ricordi il procedimento per calcolare la probabilità? Scrivilo qui: ………………………………………………………………………… numero casi favorevoli ] [determinare quante sono le possibili risposte di Matteo numero casi possibili Poiché i casi favorevoli sono soltanto ___ 1 ___ cioè che ____ [risponda bene a tutte le domande] ___, ci concentreremo sulla determinazione dei casi possibili.

2. G. Rondanina, «Elevamento a potenza: un calcolo ragionato», in Progetto Sperimentale di revisione didattico-metodologica cit.

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IMPARARE PER COMPETENZE

Passo 1 La risposta alla prima domanda può essere esatta (E) oppure sbagliata (S) E Prima domanda S

Passo 2 Anche la risposta alla seconda domanda può essere esatta o sbagliata, e nell’analisi di tutte le possibilità dobbiamo tener conto, come sempre, di ciò che è accaduto prima (le situazioni non sono indipendenti), pertanto: E E Prima domanda

Seconda domanda

S E

S S

Parlane con un compagno e insieme completate lo schema per tutte e 4 le domande. Le possibili risposte sono ___ [16] ____________________ E se le domande fossero 5? Occorrerebbe creare un nuovo schema le cui possibili risposte sarebbero ____ [32] ___ Se le domande fossero state 30 o ancora di più, saresti in grado di rifare lo schema precedente e determinare la soluzione con precisione senza perdere tanto tempo? Oppure sarebbe più semplice cercare di capire la logica che sta dietro alla risoluzione del problema? Crediamo che la risposta sia ovvia: cerchiamo di capire il perché si ottengono questi risultati! Vediamoli insieme. Inizialmente le domande sono 4 e le alternative per ogni domanda sono 2, pertanto il risultato che abbiamo ottenuto è __ [16] __ = ___ 2 · 2 _ · _ 2.2 _______ = 2..4... Successivamente le domande sono 5 e il risultato ottenuto è 32 = 25 Come vedi siamo arrivati a calcolare la potenza di un numero naturale diverso da zero an = a · a · a · ... · a n volte Per convenzione se n = 0 a0 = 1 Tornando a Matteo, che cosa gli risponderesti? Senti, Matteo, per ottenere la sufficienza in matematica ti conviene ……………………… perché, se intendi rispondere a caso, le tue probabilità di successo sono ……………………

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4. la gradualità della scoperta

Il percorso prosegue sviluppando tutti gli obiettivi iniziali, ma sempre accompagnando gradualmente l’alunno verso la definizione del significato. In ambedue gli esempi osservati abbiamo visto che la scoperta è molto guidata: niente viene lasciato al caso, e ciò può apparire in contrasto con il principio dell’autonomia dell’alunno. Dobbiamo tener presente però che l’alunno è autonomo quando ha acquisito gli strumenti necessari per poter gestire il proprio processo di apprendimento: ciò significa che deve saper riconoscere il problema, saper individuare le possibili soluzioni attivando tutte le strategie utili e ricorrendo a tutte le risorse in suo possesso; deve saper procedere attraverso la formulazione e la verifica delle ipotesi, anche confrontandosi con i compagni e valutare la soluzione migliore; infine, per poter estendere il nuovo sapere ad altri contesti, deve sistematizzare e concettualizzare la procedura. È chiaro che l’alunno va gradualmente accompagnato affinché questo processo diventi per lui naturale e possa attivarsi autonomamente ogni volta che l’alunno si trova a dover affrontare una situazione problematica. Perciò, soprattutto ai livelli iniziali, non si può ancora parlare di autonomia vera e propria: si tratta piuttosto di avviare l’alunno mostrandogli la strada verso la gestione autonoma del suo apprendimento. È l’altra faccia della competenza chiave imparare a imparare.

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5. L’organizzazione dei materiali all’interno del percorso didattico

Esempio: la storia Quello che andiamo a osservare adesso è un percorso di storia, «La polis nell’antica Grecia»1, che presenta caratteristiche interessanti dal punto di vista dell’organizzazione dei materiali; l’insegnante ha raccolto diversi materiali che ritiene utili per mettere a fuoco il concetto di polis nell’antica Grecia e adesso deve procedere a organizzarli per renderli fruibili da parte dell’alunno e funzionali dal punto di vista didattico. Deve insomma individuare un criterio metodologico efficace per presentare il materiale didattico. Tra i molti materiali che l’insegnante ha individuato c’è il libro di Margaret Doody, Aristotele detective2 , che rappresenta il punto di riferimento costante dall’inizio alla fine del percorso. Possiamo ipotizzare che, al fine di creare una situazione motivazionale di partenza, l’insegnante presenti il libro soffermandosi sulla copertina e sull’incipit e apra una discussione sull’impressione che questi elementi suscitano nei ragazzi. Quindi l’insegnante procede guidando i ragazzi alla scoperta della trama del libro attraverso la lettura di vari brani e le conseguenti domande che gli alunni possono porsi (“Quali strane e terribili avventure saranno capitate a Stefanos?”, “Perché tutto accade nel primo anno della 112 Olimpiade?”, “Perché Stefanos deve difendere suo cugino Filemone?” ecc.). Poco a poco l’insegnante ricostruisce la trama e colma con i ragazzi il divario informativo originato dall’incipit. Tutto questo apre la strada all’approfondimento degli aspetti storici (Agorà, Acropoli, Ecclesia, Areopago ecc.) e socio-culturali (i rapporti sociali tra cittadini, meteci, donne e schiavi ecc.) necessari a definire il concetto di polis dell’antica Grecia. In pratica, dopo aver presentato l’immagine della copertina del libro 1. L. Paoletti, «La polis nell’antica Grecia», in Progetto Sperimentale di revisione didattico-metodologica cit. 2. M. Doody, Aristotele detective, Sellerio, Palermo 1999.

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e l’incipit3: Io Stefanos, figlio di Nichiarco, cittadino di Atene, intendo esporre qui le strane e terribili avventure chi mi capitarono nel primo anno della 112 olimpiade.4 …vengono fornite alcune informazioni sulla trama del romanzo: Il giovane Stefanos sta attraversando un periodo difficile della propria vita. Il padre Nichiarco è morto da poco, lasciandolo responsabile della famiglia, che versa in condizioni economiche non certo floride. …e alcuni frammenti dal testo: Onorevoli giurati di Atene! Io Stefanos mi presento a voi per difendere il mio infelice cugino Filemone […].5 Seguono le informazioni sul prodotto finale e sugli obiettivi (il significato di polis, la sua collocazione nel tempo e nello spazio, l’organizzazione politica e sociale e così via). Dopo la fase iniziale il percorso si sviluppa secondo la seguente scansione. Prima parte Si inizia da queste domande: • Dov’è ambientato il romanzo? • Cosa sono l’agorà, l’acropoli, la polis (origine e caratteristiche)?

3. Nel percorso originale i testi sono molto più estesi: ne proponiamo alcune righe. 4. Doody, Aristotele detective cit. 5. Ibidem.

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5. L’organizzazione dei materiali all’interno del percorso didattico

A tali domande si forniscono le risposte in maniera graduale fornendo all’alunno diversi stimoli testuali, precedentemente individuati, di carattere sia visivo (piantine antiche e moderne dell’acropoli, riprese aeree e satellitari che mostrano i diversi aspetti dell’acropoli, immagini in cui si propone una ricostruzione dell’agorà ecc.) sia scritto (frammento da un documento di Aristotele sul concetto di zoon politikon, frammento dal manuale Cronos sull’origine della polis ecc.). Qui la gradualità del percorso è marcata da una forte scansione che parte dall’osservazione per giungere a comporre un mosaico fatto di tanti piccoli tasselli: così l’alunno va costruendo il significato. La prima parte si conclude proponendo un confronto tra le caratteristiche della città orientale (precedentemente studiata) e quelle della polis. Il confronto viene facilitato proponendo all’alunno di riempire una tabella, utile per concettualizzare in maniera sintetica quanto è stato osservato durante il percorso. Seconda parte La seconda parte si apre con le domande: • Quando si svolge il romanzo? • Cosa sono l’ecclesia, l’areopago, gli arconti…? Qui l’insegnante decide di partire stabilendo il periodo in cui sorse la polis, e vuole che sia l’alunno stesso a collocare il periodo dell’ellenismo sulla linea del tempo, quindi propone un testo da cui l’alunno può estrapolare le informazioni necessarie. Il collegamento tra il periodo individuato e quello in cui si svolge il romanzo scaturisce dalla lettura di un altro passo del romanzo. Si passa poi a definire il significato di ecclesia, areopago, arconti, attraverso documentazioni di vario tipo, tra cui un grafico sull’ordinamento politico aristocratico ad Atene del VII secolo a.C., da cui l’alunno estrapola parte delle informazioni utili; attraverso gli ulteriori testi forniti e la consultazione del libro di testo, l’alunno è in grado di farsi un’idea chiara su alcuni aspetti sociali, come per esempio diritti e doveri dei cittadini, degli aristoi ecc. A corroborare le conclusioni alle quali l’alunno è giunto, viene citato un passo del libro di M. Doody sul tema dei diritti/doveri delle diverse classi sociali. A questo punto le informazioni raccolte dall’alunno sono numerose e provenienti da diverse fonti. Terza parte La terza parte è orientata a mettere a fuoco le modalità con cui si svolgevano i processi nell’antica Grecia. Essendo quasi alla fine del percorso, l’inse157


IMPARARE PER COMPETENZE

gnante ritiene necessario rafforzare la motivazione e rendere più leggero l’inizio di quest’ultima lezione, quindi propone la visione di un filmato estratto dal film di animazione Alice nel paese delle meraviglie, che riproduce il processo ordinato dalla regina a carico di un suo suddito. Induce quindi alla riflessione sia sugli aspetti canonici del processo, sia su altri aspetti più arbitrari che non rispondono alle procedure ordinarie. L’alunno entra così nel tema che riguarda l’ultima parte: il processo. A questo punto viene proposto un altro brano estratto dal romanzo di M. Doody, dove l’autrice descrive lo svolgimento di un processo nell’antica Grecia. L’alunno è motivato alla lettura del frammento attraverso questo spunto di riflessione: Quali aspetti consideri democratici e quali no nel processo qui descritto? Trascrivi sotto le tue considerazioni: Ad Atene l’atto di accusa e il successivo processo per i casi di omicidio si svolgevano nel più sacro e autorevole dei tribunali ateniesi, l’Areopago. Uno dei parenti della vittima pronunciava l’accusa diffidando il colpevole di accedere alle aree sacre della città. La difesa poteva essere assunta dall’accusato o, in caso di assenza dello stesso (o qualora lo stesso fosse una donna) da un parente, come in questo caso. Al processo ci si avvicinava attraverso tre udienze preliminari […].6 Il brano, qui proposto in versione molto ridotta, nel percorso è assai esteso e circostanziato e fornisce all’alunno molte informazioni circa le procedure in questione. Segue una messa in comune dei risultati, corroborata da considerazioni e da approfondimenti da parte dell’insegnante. Il percorso di apprendimento propone infine un’opportuna ricapitolazione di quanto appreso attraverso una scheda che l’alunno è invitato a compilare con i risultati ai quali è giunto; essa rappresenta una forma di sistematizzazione e concettualizzazione di quanto appreso, che permette di accedere alla realizzazione del prodotto finale, che conclude i lavori. Come abbiamo visto l’insegnante disponeva di diversi documenti di vario tipo e, al momento di costruire il suo percorso, aveva individuato la struttura giusta che le permettesse di avvalersene in maniera efficace secondo criteri di logica e di coerenza con il tema e con gli obiettivi.

6. Doody, Aristotele detective cit.

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6. La componente umanistico-affettiva Esempio 1: l’italiano Questo percorso indica in maniera chiara come si realizza l’approccio umanistico-affettivo e come questo s’intreccia con gli altri principi della didattica azionale, soprattutto con quello della motivazione. È un percorso di italiano per il biennio superiore che s’intitola «Arricchiamo il lessico»1. L’obiettivo principale è quello di promuovere lo studio della lingua in quanto veicolo significativo dei valori e dei codici di comportamento della cultura italiana; altri obiettivi sono l’autopromozione e la socializzazione. Vediamo come, sin dall’inizio, tali obiettivi vengono perseguiti: Vi è mai capitato di avvertire, in alcune circostanze (o perché avevate davanti un interlocutore particolarmente autorevole o perché volevate esprimere un concetto complesso e inusuale) che il vostro vocabolario era inadeguato? Che non riuscivate a tradurre in parole ciò che sentivate? È una circostanza molto sgradevole, è come non poter essere se stessi, vero? Oppure, al contrario, vi è capitato di essere soddisfatti di aver trovato le parole più adatte per comunicare quello che avevate in mente? È una bella sensazione, che potete provare tanto più spesso quanto più ampia è la vostra competenza linguistica. Parlatene in gruppo.

Con un tono molto empatico l’insegnante propone la condivisione di alcune esperienze di vita e delle sensazioni che queste possono comportare; l’alunno è chiamato in prima persona a prendere parte al percorso, con il suo vissuto e il suo bagaglio emozionale, il tutto consolidato dal confronto con il gruppo dei compagni. Facciamo ora la conoscenza di un personaggio che di competenza linguistica ne ha davvero poca e cerchiamo di capire la sua situazione... È un personaggio del racconto Non sanno parlare di Alberto Moravia, uno scrittore del Novecento […]. In questo racconto si narra di un borgataro romano che affitta una baracca a una famiglia di emarginati di condizioni ancora più modeste della propria. Leggiamo insieme il testo e cerchiamo di capire qual è il problema che affligge Michele, l’affittuario.

1.

A. Citi, «Arricchiamo il lessico», in Progetto Sperimentale di revisione didattico-metodologica cit.

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Segue la lettura del brano, dove il borgataro romano descrive le condizioni di precarietà in cui vive la famiglia alla quale ha affittato la baracca, attraverso un confronto tra i suoi affittuari e la propria famiglia, sottolineando non solo lo stato di miseria materiale in cui vivono, ma anche la loro estrema povertà di linguaggio, che compromette ogni forma di comunicazione. Seguono alcuni spunti di riflessione sul testo e le relative conclusioni. Il percorso continua con un esperimento teso a dimostrare l’importanza del linguaggio nel processo comunicativo. Vediamo come l’insegnante formula la proposta didattica: Prendendo spunto dalle considerazioni che scaturiscono dal brano letto, vogliamo misurare la nostra capacità espressiva e, se necessario, potenziarla? Bene, allora facciamo un esperimento.

Segue l’esperimento, che consiste in un’attività a coppie dove un alunno A deve descrivere al compagno B un disegno geometrico e l’altro deve cercare di riprodurlo in base alla descrizione. Com’è andata? Confrontiamo i disegni di A e di B: sono uguali? Molto bene! Non lo sono? Che cosa non ha funzionato nel processo comunicativo? Forse il linguaggio usato da A era approssimativo, ambiguo, troppo sintetico, oppure era corretto ma B non lo ha capito? In ogni caso siamo d’accordo che bisogna intervenire, vero? Su che cosa? • sul modo in cui erano organizzate le indicazioni: siete certi di aver rispettato tutti i passaggi logici? E di avere usato correttamente i connettivi? • sul fatto che chi vede un disegno dà per scontato ciò che invece non lo è per chi non lo vede? • sulla scelta delle parole: per descrivere in modo chiaro, veloce e inequivocabile un disegno geometrico è necessario, prima di tutto, conoscere i nomi delle forme… Conoscete il nome delle figure geometriche che compongono il disegno di A? “… ma questa è matematica!” No, questa è lingua italiana, che comprende anche i nomi tecnici degli oggetti e dei concetti di arti, mestieri, sport, discipline… e se non vogliamo precluderci la possibilità di parlare di ogni argomento è utile conoscerne anche i relativi sottocodici, altrimenti possono fare di noi quello che il protagonista di Non sanno parlare fa di Michele: emarginarci, umiliarci, ledere i nostri diritti… Allora cominciamo a controllare la qualità dei nostri strumenti espressivi, a partire dall’aspetto più vistoso del linguaggio: il lessico.

Come vediamo, qui l’insegnante mette per iscritto anche quelle parti discorsive che potrebbero far parte del suo normale approccio orale teso a giustificare alla classe certe scelte didattiche: ciò significa che per l’insegnante che ha fatto propria la componente umanistico-affettiva queste parti non sono affatto marginali, non possono essere lasciate al caso o alla maggiore o 160


6. La componente umanistico-affettiva

minore disponibilità del momento, ma fanno parte integrante del percorso, lo chiosano in maniera sistematica e lo caratterizzano. Il percorso prosegue sviluppando il nodo specifico del lessico: l’insegnante mantiene un tono discorsivo e colloquiale, molto collaborativo ed empatico, e tutto questo riesce a trasmettere all’alunno la sensazione di condividere un percorso con la docente, piuttosto che subire un insegnamento dall’alto. Ciò nonostante l’insegnante non perde la sua autorevolezza: stare a fianco dell’alunno non significa abdicare al proprio ruolo nella gestione della didattica. Come possiamo osservare in questo percorso, arrivati a un certo punto del processo di apprendimento, generalmente nella fase di sistematizzazione e concettualizzazione del nuovo, l’insegnante fornisce le informazioni opportune, approfondisce, amplia… e invita la classe a prendere nota: L’insegnante aggiusta il tiro: • Prendete nota. A casa riflettete sulle osservazioni della prof e fissate per scritto le vostre conclusioni: tutto servirà per elaborare il prodotto finale.

Il percorso procede fino alla conclusione che consiste, come sempre, nella realizzazione del prodotto finale, al quale partecipa tutta la classe suddivisa in gruppi. Come abbiamo visto, oltre a presentare una scansione molto graduale e organizzata nel guidare l’alunno verso la costruzione del suo sapere, l’insegnante stabilisce e mantiene un tono colloquiale ed empatico che favorisce la collaborazione con l’alunno. Ciò è evidente in ogni momento e in ogni passaggio, sia quando l’insegnante giustifica cosa deve essere fatto, sia quando dà le istruzioni e propone le diverse attività. Gli imperativi sono ammorbiditi, l’uso della prima persona plurale accomuna insegnante e alunno in un cammino condiviso verso una meta comune, il tono è discorsivo e l’insegnante indugia a lungo anche nel giustificare le scelte didattiche, non c’è pressione né alcun tipo di sollecitazione, tutto è presentato e proposto con il giusto ritmo e nel rispetto della sensibilità individuale degli alunni. Per percepire maggiormente il senso di questo tipo di approccio, si provi a immaginare questo stesso percorso proposto e formulato secondo i criteri standard. Più o meno inizierebbe così: – Leggete il seguente brano di Alberto Moravia e rispondete alle domande: (lista delle domande) Adesso uno di voi (Andrea) viene alla cattedra e descrive un disegno; gli altri, senza vedere il disegno che ha in mano Andrea, lo tracciano su un foglio. (…) 161


IMPARARE PER COMPETENZE

Andrea, adesso mostra alla classe il disegno che hai descritto: il disegno che avete tracciato non è uguale a quello originale? Questo significa che Andrea non ha saputo descriverlo quindi è necessario che impari ad esprimersi dal punto di vista lessicale, e come lui, sicuramente anche la maggior parte di voi. A questo punto è facile immaginare che il percorso si svilupperebbe in maniera molto diversa non solo dal punto di vista didattico-metodologico, ma anche nella trattazione dei contenuti e, pur raggiungendo gli stessi obiettivi, il rapporto di collaborazione tra insegnante e alunno verrebbe a mancare, a scapito dell’affermazione dell’alunno, della sua autostima, della sua disposizione ad apprendere, quindi a scapito dell’apprendimento stesso.

Esempio 2: il latino Anche nel seguente percorso possiamo osservare come viene realizzato il principio della componente umanistico-affettiva: esso rappresenta inoltre un interessante esempio di come si va costruendo il significato. È un percorso di latino2 destinato a una quarta liceo, il cui obiettivo principale è, tra gli altri, quello di saper cogliere la continuità dei sentimenti umani nel tempo attraverso gli aspetti di modernità della poesia di Catullo, oltre alla conoscenza degli aspetti linguistici. Ecco il titolo e l’inizio del percorso. “Caio Valerio Catullo e l’amore – un poeta moderno nell’antica Roma” Il titolo e il sottotitolo presentano Catullo come un poeta dell’antica Roma che canta l’amore in chiave moderna. Che cosa significa per te cantare l’amore in chiave moderna? Quali possono essere le caratteristiche di una poesia d’amore moderna scritta da un poeta dell’epoca romana? È possibile che i sentimenti umani restino immutati nel tempo? Cosa ti aspetti quindi dalla poesia di Catullo? Parlane con il tuo compagno.

Come vediamo il titolo del percorso offre un primo spunto di approccio motivazionale: l’alunno viene subito coinvolto nel percorso come soggetto attivo, attraverso le domande che, opportunamente introdotte e motivate, rappresentano uno stimolo alla suacuriosità. Osserviamo il tipo di approccio che l’insegnante ha con l’alunno.

2. C. Paladini, M. Roffi, «Caio Valerio Catullo e l’amore – un poeta moderno nell’antica Roma», in Progetto Sperimentale di revisione didattico-metodologica cit.

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6. La componente umanistico-affettiva

Le richieste “Che cosa significa per te cantare l’amore in chiave moderna?”, “Quali possono essere le caratteristiche di una poesia d’amore moderna scritta da un poeta dell’epoca romana?”, “È possibile che i sentimenti restino immutati nel tempo?’, “Cosa ti aspetti quindi dalla poesia di Catullo?” conferiscono all’alunno un ruolo di primo piano, la sua opinione ha un peso fin da subito; è una persona pensante e, pur trovandosi solo all’inizio di un percorso, è capace di esprimere opinioni e punti di vista degni di attenzione. In altre parole, non è detto che l’alunno debba parlare solo per riferire ciò che ha imparato, quindi di solito alla fine del percorso: la sua intelligenza e la percezione del ruolo che gli viene riconosciuto nel proprio processo di apprendimento gli consentono una partecipazione diretta sin dall’inizio. In questo modo si realizza il principio della centralità dell’alunno e, se ci soffermiamo a osservare il tono con cui ci si rivolge alla classe, possiamo farci un’idea di come questo principio si intrecci con quello dell’approccio umanistico-affettivo. In una prassi didattica di tipo tradizionale le consegne avrebbero potuto essere più o meno queste (anche se normalmente in una didattica di tipo espositivo non è previsto il coinvolgimento diretto dell’alunno, tanto meno all’inizio di un percorso, in cui si presume che non abbia ancora niente da dire): rifletti sul titolo e rispondi alle seguenti domande. In questo modo l’alunno avrebbe ugualmente svolto il compito richiesto ma, avendo in questo caso un ruolo di secondo piano, non avrebbe avuto la consapevolezza di essere parte attiva nel proprio percorso di apprendimento, con risultati diversi sia sull’acquisizione sia sull’autonomia. Come ormai abbiamo più volte osservato, ogni principio è infatti strettamente collegato all’altro. Il percorso prosegue con lo stesso tono collaborativo, grazie all’uso del plurale (vediamo, cerchiamo, leggiamo) che ammorbidisce gli imperativi, e all’impiego dell’avverbio insieme: Vediamo adesso come alcuni poeti moderni di diversi paesi cantano l’amore, e cerchiamo di riconoscere quali sentimenti sono presenti in ciascuno di essi; questo può aiutarci a entrare meglio nel tema del nostro percorso. Leggiamoli insieme.

Vengono quindi presentati alcuni testi poetici di autori moderni (di F. Pessoa, J. Prévert, P. Neruda…) che motivano questa domanda: Riflettiamo insieme: quali sentimenti sono presenti in questi testi?

Consapevoli che nell’alunno può sorgere la curiosità di saperne di più sui brani letti e ascoltati, le insegnanti forniscono delle informazioni che non hanno altra finalità se non quella di dare attenzione all’alunno e soddisfare 163


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la sua eventuale curiosità; l’alunno può decidere se e quando avvalersene (il verbo potere lascia libertà di scegliere): Conoscevi gli autori dei brani che ti abbiamo proposto? Queste informazioni possono essere interessanti.

Segue la scheda informativa. Durante il percorso all’alunno vengono proposti diversi testi, tutti contestualizzati all’interno di varie attività di apprendimento che stimolano all’azione. Prima di chiedere all’alunno di fare qualcosa (leggere, scrivere, osservare…) è opportuno tener presente che, se pure inconsciamente, egli si chiederà perché devo fare questo? Fornirgli in maniera esplicita il motivo per cui gli si chiede di fare qualcosa è una maniera di mettere in pratica il principio umanistico-affettivo: “sono coinvolto attivamente solo se sono consapevole di ciò che devo fare e del perché devo farlo”, cioè equivale a riconoscergli un ruolo attivo nel suo percorso di apprendimento e a dargli dignità. Consapevoli di questo le insegnanti formulano così l’invito alla lettura dei testi: Passiamo ora a leggere i testi di Catullo e vediamo come questo poeta latino presenta il suo amore per Lesbia. Alla fine della nostra lettura confronteremo queste poesie con i testi e le canzoni che abbiamo letto; vedremo così se è possibile che i sentimenti restino immutati nel tempo.

Il percorso prosegue attraverso l’osservazione di diverse composizioni poetiche di Catullo: su ciascuna vengono proposte diverse attività, anche di traduzione. Vediamo in sintesi come viene affrontato questo aspetto: Guardiamo questo video in cui il cantautore Angelo Branduardi canta in latino la poesia di Catullo da cui parte il nostro viaggio nell’amore di Catullo per Lesbia. Adesso leggiamola in latino (Catullo, LI) e, per coglierne tutto il significato, traduciamola insieme:

La poesia è Ille mihi par esse deo videtur. Per facilitarvi l’analisi linguistica e retorica vi diamo i seguenti suggerimenti. Lavorate in gruppo.

Segue una serie di spunti di guida alla traduzione, di cui forniamo un esempio:

• videtur: provate a riflettere: la costruzione è personale o impersonale? Qual è il soggetto? • par esse deo… superare divos: quale figura retorica è usata qui? • ridentem è un ___________ concordato con il pronome _______ e retto da __________ • (…) 164


6. La componente umanistico-affettiva

Come vediamo, il nodo spesso dolente della traduzione qui viene proposto attraverso una modalità che tende a renderlo meno problematico. Prima di tutto viene esplicitato il motivo per cui si propone di tradurre la poesia: traduciamola per coglierne tutto il significato; poi si offre all’alunno un sostegno rassicurante: traduciamola insieme: per facilitarti il compito ti diamo dei suggerimenti… A conclusione dell’attività di traduzione compaiono alcune domande tese a stabilire il significato del messaggio poetico; osserviamo come sono formulate:

• Quale vi sembra il tema della poesia? • Come vi appare l’ultimo verso? • Come rappresenta Catullo l’amore? La prima e la seconda domanda sono di carattere soggettivo, infatti impiegano verbi di opinione che chiedono all’alunno in prima persona di fornire il proprio punto di vista, puntando sulla componente emotiva; la terza ha una valenza più oggettiva e mira alla sintesi del messaggio poetico. Il percorso continua, sempre secondo un approccio emotivo che tende a rafforzare la motivazione nell’alunno. Eccone alcuni esempi:

• Come nella maggioranza delle coppie di innamorati, arriva anche il momento... prova tu, con un compagno, a indovinare che cosa si prova a vivere un amore come quello tra Catullo e Lesbia.

• Leggiamo ora un carme, significativo proprio per comprendere la crisi tra Catullo e Lesbia, e traduciamolo insieme. – Miser Catulle, desinas ineptire (…)

• Per comprendere meglio l’intensità emozionale presente nei versi di Catullo e il turbinio di sentimenti che lo assale, provate a seguire questi suggerimenti.

Segue una scheda facilitatrice. Il rispetto dell’approccio umanistico-affettivo si può osservare anche nella parte conclusiva, dove all’alunno viene chiesta la propria interpretazione dei due versi poetici (traduzione proposta e guidata sempre in modo collaborativo, come vediamo sotto) e gli viene riconosciuta dignità, invitandolo a confrontare la propria versione con quelle degli autorevoli latinisti. Vediamo come questo si realizza: 165


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Il dissidio di Catullo continua: leggiamo insieme un famoso distico (insieme di due versi, un esametro e un pentametro). Provate, ciascuno per proprio conto, a dare la vostra versione che poi confronterete con quelle di famosi latinisti. Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior. Per comprendere meglio le emozioni provate da Catullo e anche la struttura del testo, provate a seguire questi suggerimenti.

Seguono cinque punti di guida alla comprensione lingua/contenuto e lo sviluppo dell’intera attività fino alla fine. Attraverso le fasi finali dell’amore tra i due amanti, marcate dalla scansione dei testi del poeta, il percorso procede fino alla realizzazione del prodotto finale. Nonostante abbiamo esaminato solo una minima parte, e per di più assai frammentata, di questo percorso, abbiamo potuto osservare come viene interpretato l’approccio umanistico-affettivo e come viene realizzato nei diversi momenti didattici, ma anche come viene suscitata e mantenuta la motivazione. Ancora una volta vediamo che in ogni percorso didattico i diversi principi si applicano e si intrecciano in maniera equilibrata e flessibile, nel rispetto del tema trattato, della materia, degli obiettivi e delle competenze che vogliamo sviluppare.

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7. Conclusioni

Nel corso dei tre anni in cui si è sviluppato il progetto si sono presentati diversi altri quesiti, tra cui: • come gestire le dinamiche di gruppo durante lo svolgimento delle attività di classe? • poiché i tempi necessari per sviluppare un percorso didattico secondo questa metodologia si dilatano molto, come conciliare la qualità metodologica con le esigenze incalzanti dei programmi e con i tempi necessari per le verifiche? Concludiamo questo capitolo cercando di fornire alcune delle risposte alle quali il gruppo delle docenti è giunto durante i numerosi momenti di confronto. Il problema della gestione delle dinamiche di gruppo non riguardava tanto il quando e il come formare i gruppi di lavoro, ma piuttosto rispecchiava la preoccupazione di alcuni docenti su come controllare i gruppi durante lo svolgimento delle attività di classe. Affiorava soprattutto il timore che, se gli alunni si fossero messi a lavorare in gruppi, l’insegnante avrebbe perso il controllo della situazione: “Siamo certi che gli alunni non scambino questo tipo di attività per un momento di libertà fuori dal controllo dell’insegnante?”, “Come assicurarsi che all’interno di ogni gruppo tutti abbiano la possibilità di fornire il proprio contributo mantenendo il giusto equilibrio?”. E poi: “I risultati del lavoro dei gruppi devono essere verificati?”. Questi sono dubbi legittimi che possono trovare delle risposte solo sul campo, e così è stato. I diversi percorsi disciplinari che sono stati sperimentati in classe hanno reso possibile l’osservazione necessaria per fornire le risposte che non potevano scaturire dalla fase teorica. I dubbi sulle dinamiche di gruppo sopra espressi rappresentano i nodi cruciali dell’apprendimento collaborativo, il cui successo dipende molto da quanto tempo l’insegnante dedica alla fase iniziale di allenamento, quindi potevano essere affrontati solo dopo una corretta sperimentazione in classe. Infatti, durante questa fase di sperimentazione, le insegnanti hanno potuto constatare che per giungere a gestire bene i lavori di gruppo è neces167


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sario prendere l’abitudine di lavorare con questa prassi didattica, cercando di trovare insieme, insegnante e alunni, le soluzioni ai problemi che si presentano di volta in volta. È normale che, la prima volta che si propone alla classe di formare gruppi di lavoro, gli alunni scambino questo momento per una pausa ricrea­tiva; sarà l’insegnante a spiegare il senso di questa modalità prima di iniziare, sottolineandone gli aspetti positivi, utili non solo per l’apprendimento ma anche per la crescita e l’autoaffermazione di ciascuno all’interno del proprio gruppo, e sottolineando che scambiare i punti di vista, valutare le scelte, individuare la soluzione migliore, presentare un lavoro ben fatto come risultato collettivo determina il successo di ciascuno. È importante, soprattutto all’inizio, che l’insegnante rispetti rigorosamente i tempi previsti per la realizzazione del lavoro e per la verifica dei risultati. Una volta iniziato il lavoro dei gruppi, l’insegnante passa tra i tavoli, si sofferma a osservare come procede l’attività di ciascun gruppo, dà eventuali suggerimenti, fornisce un feedback costante. Alla fine ciascun gruppo presenta il proprio lavoro e, se l’insegnante lo ritiene utile, può procedere a una valutazione dei risultati, tenendo ben presente però che si tratta di una fase formativa in cui gli alunni stanno apprendendo. Come già esposto nel Capitolo 7 della Prima parte, se l’insegnante nota che all’interno di un gruppo un alunno tende ad assumere il ruolo di leader, interverrà assegnandogli un ruolo di monitoraggio, di moderatore; invece all’alunno che tende a lasciarsi trasportare dagli altri assegnerà un ruolo di maggiore responsabilità, come per esempio la ricerca di materiali e strumenti necessari per svolgere il compito, il controllo degli aspetti formali… Una volta acquisito il metodo di lavoro, tutto procederà con una regolarità sempre maggiore dando risultati sempre migliori, a volte anche sorprendenti, circa le potenzialità che questa prassi offre, con grande soddisfazione di tutti, insegnante e alunni. Per quanto riguarda i tempi necessari a sviluppare percorsi disciplinari secondo l’approccio metodologico orientato all’azione, è vero che essi sono dilatati e che ciò che con una prassi tradizionale si sviluppa in un tempo x, con questa metodologia può richiedere il doppio del tempo. Se non è possibile operare dei tagli alla programmazione disciplinare allora si potrà ricorrere al metodo integrato: i nodi disciplinari più importanti e significativi potranno essere sviluppati attraverso percorsi orientati all’azione, mentre parti della programmazione meno impegnative dal punto di vista dell’apprendimento potranno essere svolte secondo una prassi più tradizionale, senza però abdicare del tutto ai principi metodologici di fondo in cui abbiamo iniziato a credere: non si passerà da un approccio umanistico-affettivo a un atteggiamento militaresco, non si opterà per un apprendimento mnemonico ma si cercherà di favorire la riflessione, non si rinuncerà all’autenticità ma la si manterrà viva 168


7. conclusioni

nel rapporto insegnante-alunni, e così via: insomma, nessuno nega che una lezione frontale ben fatta possa essere una bella lezione. Inoltre bisogna tener presente che, se l’insegnante ritiene di procedere alla valutazione in itinere e alla valutazione della presentazione dei prodotti finali, sempre servendosi di apposite tabelle, potrà economizzare il tempo che invece la prassi didattica tradizionale richiede per le singole valutazioni orali: evitare le classiche interrogazioni alla cattedra significa infatti risparmiare molto tempo. Da questa esperienza triennale, che ha visto coinvolti insegnanti di diverse discipline, abbiamo avuto la conferma che l’approccio metodologico orientato all’azione può essere applicato non solo alla didattica delle lingue straniere, ma anche alle altre discipline, grazie alla sua flessibilità che offre significative possibilità di adattamento. Nel corso di questa esperienza è stato necessario aggiustare continuamente il tiro con risultati a volte faticosi da raggiungere, a volte esaltanti, ma non è mai venuta meno la disponibilità ad andare avanti. E per molti il cammino continua.

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Bibliografia

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Imparare per competenze Principi, strategie, esperienze

Non perché il docente lo dice l’alunno lo apprende Non è perché il docente l’ha detto che l’alunno lo impara: per molti di noi questa è un’ovvietà, ma in sala insegnanti o in qualche consiglio di classe, vi imbatterete facilmente in frasi come ‘Io l’ho detto, l’ho spiegato, ma non lo sapeva’ o ‘Non l’ha capito, ma io l’ho detto proprio la settimana scorsa’. Insomma, per alcuni è ancora in voga la convinzione che basti spiegare qualcosa perché magicamente l’alunno, solo per averlo sentito menzionare o anche spiegare dal professore, possa introiettare, assimilare, apprendere un determinato argomento. E allora crediamo che occorra ripensare ad alcune cose che didatticamente possono semplificare la nostra vita di docenti: lavorare, all’inizio, un po’ di più, per poi ottenere con poco sforzo il massimo risultato, che è l’autentico apprendimento dei nostri allievi. Giovanna Benetti ha maturato una vasta esperienza di insegnamento dello spagnolo, soprattutto al Liceo linguistico. È coautrice, con Mariarita Casellato, di Más que palabras (Difusión) per la didattica della Letteratura e del corso di lingua spagnola per la secondaria di 2° Tú mismo, novità Loescher 2014. Docente formatrice dal 1996, ha svolto tale ruolo nell’ambito di diversi progetti indetti dal MIUR; ha tenuto vari corsi abilitanti; ha svolto attività di Formazione in Italia (tra cui l’organizzazione e la conduzione del Progetto Sperimentale di Revisione Metodologica presso il Liceo F. Cecioni di Livorno) e all’estero (presso la Universidad Nacional Autónoma de México); è stata relatrice in convegni indetti da AISPI-Scuola e LEND; ha svolto attività di docente per il TFA presso l’Università La Sapienza di Roma. Mariarita Casellato, insegnante di spagnolo presso il liceo Scientifico N. Copernico di Bologna, ha maturato una vasta esperienza didattica, soprattutto al Liceo linguistico. È coautrice, con Giovanna Benetti, di Más que palabras (Difusión) per la didattica della Letteratura e del corso di lingua spagnola per la secondaria di 2° Tú mismo, novità Loescher 2014. Docente formatrice dal 1996, ha svolto tale ruolo nell’ambito di diversi progetti indetti dal MIUR e ha tenuto vari corsi abilitanti. Relatrice in convegni indetti da AISPI-Scuola, ANILS e LEND, ha al suo attivo collaborazioni e pubblicazioni nell’ambito della didattica dello spagnolo.

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