Taylor Townsend, i problemi di una numero uno

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Taylor Townsend ha sedici anni e nel ranking mondiale del tennis juniores è la numero uno. Ma la USTA, ovvero la federazione dei tennisti americani, la vorrebbe in panchina fino al raggiungimento di una “migliore forma fisica” (“getting into better shape” e”slim down”, ovvero: dimagrire). Ne parla Arianna Cavallo in un articolo apparso su Il Post, che riportiamo di seguito.

taylor

Tutto è iniziato la scorsa settimana, quando il Wall Street Journal ha raccontato che la Federazione dei tennisti americani (USTA) aveva deciso di non pagare a Townsend le spese di viaggio e di iscrizione agli US Open (che si sono giocati a New York dal 27 agosto al 9 settembre scorso) e di tenerla in panchina fino a quando non avesse recuperato la forma fisica. La federazione la riteneva infatti in sovrappeso e non abbastanza in forma per giocare. La decisione era arrivata dopo che quest’estate Townsend aveva perso un torneo di qualificazione a Vancouver, in Canada: il suo allenatore le aveva chiesto di non partecipare ai Campionati nazionali di San Diego e di ritornare ad allenarsi all’accademia di Boca Raton, in Florida, gestita dalla Federazione. Se Townsend avesse vinto i campionati a San Diego, avrebbe ottenuto automaticamente una wild card per partecipare agli US Open.

In un’intervista a Good Morning America, Townsend ha raccontato di non aver ottenuto «nessuna risposta sul perché non volevano che giocassi, mi hanno solo detto che dovevo concentrarmi sulla mia forma fisica. Quasi tutte le altre federazioni, se avessero un numero uno al mondo nella categoria juniores, gli spaccherebbero la schiena per farlo andare avanti. Non voglio certo dire che sono la persona più rapida o agile al mondo. Perché non lo sono». Townsend ha raccontato che una volta tornata in Accademia gli allenatori le hanno imposto soprattutto esercizi per dimagrire, facendola giocare a tennis il minimo indispensabile per non farle perdere la mano. Alla fine la madre Sheila ha pagato di tasca sua le spese per farla partecipare agli US Open, dov’è arrivata fino ai quarti di finale.

Il racconto del Wall Street Journal ha provocato molte polemiche tra il pubblico, i commentatori sportivi e anche gli atleti, tra cui la tennista americana Serena Williams – vincitrice degli ultimi US Open e a sua volta famosa per il fisico piuttosto massiccio – che è intervenuta a favore di Townsend criticando la decisione della Federazione: «Se è andata così è davvero una tragedia, perché chiunque merita di giocare. Per una donna, in particolare negli Stati Uniti, in particolare per un’afroamericana, non ha senso avere a che fare con cose simili. Le atlete hanno forme, taglie e colori della pelle diversi».

Molti altri opinionisti hanno sottolineato che la stessa forma fisica per cui è stata penalizzata dall’USTA non aveva impedito a Townsend di vincere a gennaio gli Australian Open, sia in singolo che in doppio, e a luglio il doppio a Wimbledon. Hanno quindi criticato la federazione per aver ritirato il suo sostegno non perché Townsend non fosse brava o non si impegnasse abbastanza, ma perché ritenuta in sovrappeso.

Alexander Abad-Santos ha scritto sull’Atlantic che Townsend è la tennista americana più interessante dai tempi delle sorelle Williams e di Lindsay Davenport, soprattutto per il suo bel gioco di serve-and-volley. Ha anche spiegato che nel tennis non ci sono limiti di peso e che anche se negli ultimi anni molti tennisti hanno sviluppato una particolare attenzione alla forma fisica – come Novak Djokovic, Andy Murray o Victoria Azarenza – non basta certo essere magri per vincere. Molti tennisti hanno ottenuto ottimi risultati pur non essendo in perfetta forma fisica, come la francese Marion Bartoli, lo svizzero Stanislas Wawrinka o l’americana Lindsay Davenport, che divenne numero uno al mondo pesando 80 chili per un’altezza di 1,89 metri. Abad-Santos ha scritto che il problema del peso degli atleti non si pone per i professionisti in grado di vincere un torneo ma solo per i giocatori delle giovanili, la cui carriera dipende spesso dalle decisioni di federazioni come l’USTA, che decidono a chi pagare le spese per partecipare a tornei internazionali e a eventi importanti come gli US Open.

Il presidente dell’USTA Patrick McEnroe (fratello di John McEnroe) è intervenuto sulla questione spiegando al Wall Street Journal che c’è stato un malinteso, che la federazione non era contraria alla partecipazione di Townsend agli US Open e che le avrebbe rimborsato le spese. Ha anche detto che «la nostra preoccupazione è per prima cosa la sua salute e il suo sviluppo come giocatrice a lungo termine. Abbiamo in testa un solo obiettivo: farla giocare nell’Arthur Ashe Stadium [lo stadio più grande di Flushing Meadows, dove si giocano le partite di cartello degli US Open, ndt] nel tabellone principale e per i titoli più importanti quando sarà il momento». In un’intervista alla ABC McEnroe ha detto che «nessuno torneo è più importante della carriera di un giocatore, soprattutto quando il giocatore ha 16 anni. Taylor continua a essere una delle nostre migliori promesse e il nostro obiettivo è il suo sviluppo a lungo termine».

McEnroe ha ribadito più volte che la questione «non ha niente a che vedere con il peso, non ha niente a che vedere con il suo aspetto. Ha a che fare con il suo benessere, indipendentemente dalla sua bravura nel gioco». Decidendo di tenere Townsend in panchina l’USTA ha fatto capire che per il successo a lungo termine di un tennista è più importante sviluppare caratteristiche fondamentali – come un’adeguata forma fisica –  che vincere sul campo. Secondo la federazione non si tratta dunque di un problema di discriminazione fisica o un’incapacità di valorizzare il talento di un giocatore ma una decisione legata all’importanza del benessere fisico per un atleta e al modo migliore per svilupparne la bravura.

Townsend fa parte di un programma inaugurato dall’USTA nel 2008 per contrastare il declino del tennis americano degli ultimi anni. La federazione ha aperto la sua prima accademia di tennis a tempo pieno a Boca Raton: ospita 25 tennisti delle giovanili, tra cui Townsend. L’USTA allena altri 41 tennisti della categoria juniores a Carson, in California, e organizza corsi al National Tennis Center a Flushing, dove si giocano gli US Open. Townsend ha ringraziato la federazione per le opportunità che le ha offerto ma ha precisato che «voglio stare in un posto dove posso avere la mente libera, dove posso stare tranquilla e posso semplicemente andare in campo e divertirmi, lavorare duro e raggiungere tutti gli obiettivi che posso ogni singolo giorno».

http://www.ilpost.it/2012/09/14/la-storia-di-taylor-townsend/

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