Spiegare il terrorismo ai ragazzi

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Abbiamo chiesto a Cecilia Tosi in quale modo sia possibile affrontare con i ragazzi argomenti complessi che riguardano l’attualità, come il terrorismo.

Abbiamo chiesto a Cecilia Tosi in quale modo sia possibile affrontare con i ragazzi argomenti complessi che riguardano l’attualità, come il terrorismo.

Misure di protezione straordinarie a Parigi dopo l’attentato a Charlie Hebdo – – Credits: Dan Kitwood/Getty Images

Gli argomenti di attualità sono i più difficili da spiegare agli studenti, perché non sono ancora storicizzati e l’opinione pubblica vi si approccia con partigianeria, cercando di trovare un colpevole e una vittima, un responsabile e un irresponsabile, un amico e un nemico. 

L’unico modo per permettere ai ragazzi di capire quello che succede senza indurli a fare il “tifo” per una parte è quello di analizzare gli eventi individuando la concatenazione di cause ed effetti, spiegando con pazienza la complessità, scomponendo i pezzi del puzzle e descrivendo come si sono incastrati, senza cedere alla tentazione della semplificazione. 

Questo è tanto più vero quando l’argomento trattato ha a che fare con la guerra o con altre forme di violenza che colpiscono vittime innocenti, bambini e ragazzi come quelli a cui si rivolgono gli insegnanti. Trovare un cattivo, per i giovani, diventa quasi un’esigenza o addirittura un’urgenza, perché individuare qualcuno da sconfiggere aiuta ad allontanare il timore. Purtroppo la realtà internazionale è sempre legata a una molteplicità di fattori e a una pluralità di interessi che non si districano facilmente. Non basta arrestare un assassino per fermare i crimini di guerra o i crimini contro l’umanità, bisogna lavorare per trovare quegli accordi e quei compromessi che permettono agli attori internazionali (Stati, grandi società, movimenti politici e militari) di fermare il fuoco. Ma il compromesso non è facile da spiegare ai giovani, che tendono piuttosto al manicheismo e preferiscono soluzioni nette, radicali. Che cercano qualcuno da mitizzare, un eroe, un leader carismatico, qualcuno su cui dividersi, tra chi sostiene e chi attacca un capo di Stato o un Paese – gli americani, i russi, il presidente siriano Assad, o chissà chi altro.

Non possiamo certo impedire che i ragazzi prendano una posizione, anzi, la partigianeria è sempre migliore dell’indifferenza. Ma possiamo fornire loro le informazioni corrette su quello che sta succedendo, per impedire che la loro opinione discenda semplicemente da una scelta di campo ideologica, magari legata ai “sentito dire” oppure  a ciò che si legge sui social network.

L’obbiettivo è affrontare la complessità del reale
Col mio libro, Il terrorismo spiegato ai ragazzi, ho cercato di fare chiarezza su alcuni dei temi internazionali che più toccano la vita di tutti noi: il radicalismo islamico, le guerre in Medio Oriente, la nascita e l’evoluzione di gruppi come al Qaida e Isis. Tutte le grandi questioni internazionali hanno delle conseguenze sulle nostre vite, ma quella del terrorismo fondamentalista ha un impatto più evidente degli altri, perché negli ultimi anni alcuni attentatori hanno attaccato direttamente Paesi europei vicini all’Italia.
In particolare, ci sono stati due eventi che hanno impressionato tantissimo i più giovani: l’attacco di novembre 2015 a Parigi e quello della primavera 2016 a Nizza. Stragi avvenute in luoghi familiari per molti ragazzi italiani, apparentemente avulsi da qualsiasi legame con la guerra o la politica internazionale, che hanno cominciato a chiedersi e a chiederci perché. Cosa spinge i jihadisti a combattere, uccidere e uccidersi. E a questi perché bisogna saper rispondere, altrimenti la domanda resterà inevasa e il vuoto potrà essere riempito da qualsiasi bufala o teoria estremista. Sapere che gli insegnanti hanno il polso della situazione, tra l’altro, aiuta a rassicurare gli studenti, anche se il terrorismo è uno di quei fenomeni che per definizione non può essere prevenuto. La spiegazione dei professori, dunque, non mette al sicuro, ma aiuta a razionalizzare e a comprendere che anche di fronte a pericoli tanto gravi si può sperare in un’evoluzione positiva degli eventi, che lentamente ridurrà il margine d’azione e la capacità di terrore delle organizzazioni fondamentaliste. 

Per risvegliare l’interesse dei ragazzi e spingerli ad affrontare la complessità, può essere utile avvicinarli alla realtà di cui si parla con l’aiuto dello strumento narrativo. Le vite dei protagonisti di un evento storico sono sempre più attraenti dell’evento in sé. D’altronde, anche tra gli adulti le biografie stanno andando sempre più di moda, sia nella letteratura che nel cinema, dove sono diventate un genere a se stante (biopic) in continua ascesa.

Nel caso di eventi più legati all’attualità non è facile individuare i protagonisti che meglio permettono di entrare dentro le vicende attraverso i dettagli delle loro vite. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone viventi, che potrebbero avere da ridire sull’utilizzo delle loro vicissitudini per spiegare questioni politiche o sociologiche. Alcuni di loro sono molto attenti alla privacy o addirittura vivono in incognito. Anche di coloro che conducono una vita trasparente non possiamo avere una conoscenza indipendente da pregiudizi, perché – tornando al problema di cui abbiamo parlato all’inizio – le loro vicende non hanno ancora subito un processo di storicizzazione.

Raccontare storie, ma vere e ben documentate
Nel mio caso, per spiegare come funzionano al Qaida e Isis, avrei voluto raccontare la storia di due jihadisti di medio rango, combattenti con incarichi importanti ma non leader supremi come al Baghdadi o al Zawahiri, che proprio in quanto leader sono diversi da tutte le loro reclute e dunque dalla maggior parte degli altri membri dei gruppi armati. Ho iniziato dunque un lavoro di ricerca per individuare due militanti su cui fossero stati scritti articoli dettagliati e di cui si conoscessero la maggior parte dei dati biografici.
Per al Qaida ho cominciato ad approfondire la storia di Mokhtar BelMokhtar, algerino cinquantenne che ha fatto la storia del terrorismo in Africa e che guida un’organizzazione affiliata a quella fondata da Bin Laden. Anche lui, però, è un leader, circondato da un alone mitico e sul quale circolano tante storie e pochi riferimenti fattuali.
Per quanto riguarda lo Stato Islamico sono saltata da un combattente all’altro, trovando particolari interessanti su un turco, poi un saudita, poi un giordano. Ma nessuna di queste persone era abbastanza conosciuta da permettermi di raccogliere quei dettagli necessari per raccontare la loro vita, passare in rassegna il funzionamento delle loro organizzazioni, descrivere lo stile di vita dei jihadisti. Ho capito dunque che la strategia migliore era quella di prendere spunto da persone reali per inventare personaggi fittizi. In tal modo potevo essere libera di farli muovere in quel mondo secondo le mie esigenze, di scandire i loro impegni e programmare le loro preoccupazioni nell’ordine in cui avevo intenzione di affrontare i vari argomenti. Nello stesso tempo, prendere ispirazione da persone reali mi consentiva di rendere i personaggi il più possibile verosimili e di far calare il lettore dentro la stessa quotidianità di tanti jihadisti. 

Ritengo che l’artificio della fiction sia stato dunque un elemento essenziale per la buona riuscita del mio libro e che potrebbe essere replicato in molti altri casi. Ritengo altrettanto importante che la finzione non debba distaccarsi dalla realtà, ma rappresentarla, evitando di introdurre elementi che non sono propri del contesto reale in cui si muovono i protagonisti delle vicende. È dunque indispensabile affidarsi a fonti autorevoli e certificate, che nel mio caso erano i reportage di giornalisti sulla cui affidabilità non avevo dubbi e le testimonianze da loro raccolte, ma anche alla consulenza di colleghi arabisti che vivono in Medio Oriente e seguono quotidianamente le vicende dei territori dove operano i terroristi. 

A mio parere gli strumenti narrativi possono avere la funzione di risvegliare l’interesse dei ragazzi e convincerli ad arrivare in fondo al libro con interesse e non con spirito di sacrificio. Lo scopo di un libro che racconta l’attualità affrontando i temi più scomodi, infatti, è quello di dare gli strumenti ai giovani per interpretare il mondo che li circonda. E, in prospettiva, di creare un’opinione pubblica consapevole che sappia indirizzare i suoi governanti verso scelte capaci di limitare l’uso della violenza e favorire la risoluzione pacifica delle controversie.

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