Il gender mainstreaming

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L’Italia è notoriamente fra i Paesi 
europei meno impegnati nelle
 politiche di riconoscimento della
 parità di genere. Per questo è
 interessante scoprire cosa 
all’estero si fa su questi temi.

Nel confrontare l’attuale dibattito italiano sulla questione di genere nella scuola con quanto si discute e si fa negli altri Paesi, come questo Dossier si propone di fare, si ha la netta impressione che la polemica sociale su questi temi sia destinata nei prossimi anni a diventare ben più esplosiva.
Da una parte, infatti, vi è la prudenza del ministero, che con la circolare del 15 settembre, in risposta agli attacchi delle associazioni anti-gender, ha sottolineato come gli obiettivi dell’articolo 16 della legge Buona scuola si ispirino solo ai princìpi di pari opportunità «promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni». Niente “teorie di genere”, quindi, come meglio si capirà leggendo le future Linee di indirizzo che il MIUR è incaricato di redigere per rendere più concrete queste generiche formulazioni, ovviamente tenendo conto delle indicazioni elaborate negli ultimi due decenni dalle organizzazioni internazionali che in vario modo si sono occupate di questi temi (una nota della circolare ne fornisce un lungo elenco).
Il problema è che se veramente l’Italia prenderà spunto dalla Buona scuola per recuperare il ritardo che ci separa dall’estero su questi temi, le linee guida che il MIUR dovrà elaborare per rendere operativa la «lotta contro tutte le discriminazioni» dovranno andare ben oltre i temi del bullismo e della violenza omofobica.

Il concetto di gender mainstreaming
Gli articoli del Dossier spiegano come alcuni Paesi hanno interpretato queste indicazioni, che a loro volta registrano le profonde ma recenti mutazioni avvenute su questi nella cultura occidentale. Qui sottolineiamo il principio generale che le guida, sintetizzato, a partire dalla IV Conferenza Mondiale sulle donne organizzata a Pechino del 1995, nel concetto di gender mainstreaming.
Il documento finale lo definisce in questo modo: «Nel considerare le ineguaglianze tra uomini e donne nella condivisione del potere e della presa di decisione, a tutti i livelli, i governi e gli altri attori dovrebbero promuovere una politica attiva e visibile di assunzione dell’ottica di genere in tutte le politiche, così che, prima che le decisioni siano prese, sia fatta una analisi degli effetti sulle donne e sugli uomini, rispettivamente».
Il gender mainstreaming è una strategia che richiede tempi lunghi e che mira a trasformare la cultura e le politiche per introdurre cambiamenti sostanziali, a largo raggio e duraturi nella società.In altri termini, il principio invita ad assumere una strategia di prevenzione delle discriminazioni inquadrando le decisioni assunte in ogni luogo istituzionale e sociale in una “ottica di genere”, come potremmo liberamente tradurre gender mainstreaming, perché la desinenza –ing suggerisce di applicare considerazioni di genere alla realtà in movimento, nel farsi della società attraverso le leggi, i costumi, le norme istituzionali e così via. Il probabile impatto che qualsivoglia decisione può produrre sulle donne e sugli uomini nella politica, nell’economia, nelle organizzazioni, nelle istituzioni e nelle scuole deve essere individuato prima che la decisione sia presa.
Mentre le forme tradizionali di interventi mirati a casi specifici, come le azioni positive a sostegno delle minoranze svantaggiate o la repressione di fenomeni patologici quali il bullismo e l’omofobia, producono effetti più immediati ma a posteriori e limitati a quelle aree, il gender mainstreaming è una strategia che richiede tempi lunghi e che mira a trasformare la cultura e le politiche per introdurre cambiamenti sostanziali, a largo raggio e duraturi nella società.

Le scuole nell’ottica 
di genere
Applicato alla realtà delle scuole, il principio del gender mainstreming produce i numerosi effetti che gli articoli del Dossier riescono solo in parte a documentare. È un processo in atto, ovviamente molto variegato secondo le tradizioni nazionali, attraverso cui le istituzioni scolastiche dei Paesi occidentali si stanno adeguando allo spirito dei tempi. Tre direzioni mi sembrano però emergere.
La prima consiste in un ripensamento autocritico dei sistemi istituzionali. La scuola è stata ed è tuttora un potente strumento di creazione degli stereotipi che oggi intende combattere. Le norme disciplinari sono uguali per tutti ma spesso diversamente applicate: ricerche effettuate sul campo, attraverso la registrazione audiovisiva del lavoro in classe e l’analisi dei comportamenti effettivi di insegnanti e alunni, dimostrano che ai maschi si concedono e si pretendono cose in parte diverse da quelle pretese o concesse alle femmine: variano il tempo dedicato, l’attenzione, le aspettative, i criteri di valutazione.
Sessimo, omofobia e tutti gli stereotipi che oggi si cerca di combattere sono parte integrante della nostra tradizione culturale, che la scuola continua a tramandare.La seconda riguarda una revisione dei programmi e dei contenuti dell’insegnamento. Sessimo, omofobia e tutti gli stereotipi che oggi si cerca di combattere sono parte integrante della nostra tradizione culturale, che la scuola continua a tramandare. Assumendo però uno spirito critico: nulla va ovviamente censurato, ma l’aspetto formativo dell’educazione deve anche comprendere una presa di distanze, una consapevolezza che molte forme di relazioni sociali del passato sono diventate oggi inaccettabili. Più che cambiamenti normativi sono necessari un’adeguata formazione degli insegnanti e un ripensamento dei libri di testo, con una particolare attenzione, sottolineano numerose ricerche, alle immagini illustrative che, se pure solitamente considerate meramente accessorie, sono spesso veicolo di stereotipi.
Il terzo orientamento riguarda i ritardi nell’apprendimento dovuti a un’inadeguata elaborazione della propria femminilità e maschilità, che nelle classi superiori porta le femmine da una parte a primeggiare sui maschi nelle materie letterarie ed espressive, dall’altra a rimanere inferiori in matematica e scienze, con un simmetrico divario per quanto riguarda i ragazzi, il cui calo nelle competenze linguistiche preoccupa le autorità scolastiche di molti Paesi.
Accettate sino a pochi decenni fa come espressione di una naturale diversità di genere, queste discordanze, oggi oggetto di numerosi studi, si intrecciano con le differenze connesse al ceto sociale, massime nelle scuole delle aree svantaggiate e minime in quelle ricche, in cui sia i maschi sia le femmine si avvalgono di maggiori stimoli culturali. Soprattutto sono in stretta connessione con un’insufficiente elaborazione della consapevolezza di genere da parte delle ragazze e dei ragazzi. Per questi ultimi la propensione a non leggere romanzi, sfidare i professori e contestare le norme scolastiche, dipende dalla prioritaria assunzione di un modello di maschilità. La decisione cruciale di ogni adolescente riguarda che tipo di uomo e di donna assumere come modello per la propria crescita.

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Ubaldo Nicola

Direttore del cartaceo de La ricerca e coautore dei manuali Loescher Filosofia: “Dialogo e cittadinanza”, “Il nuovo pensiero plurale”, “Passeggiate filosofiche”, “Pensare la Costituzione”.

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