Il dovere della lungimiranza

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Di che cosa ogni generazione deve ritenersi responsabile? Del benessere di quella seguente, certo, perché la cura dei figli costituisce una dimensione umana insopprimibile. Ma di quelle ulteriori? Dobbiamo cercare di prevedere anche le esigenze dei nostri posteri, nipoti e pronipoti che vivranno in un mondo che oggi possiamo solo vagamente immaginare? È stato il filosofo tedesco Hans Jonas il primo a prendere in seria considerazione questo problema…

30_foto01Che cosa si può dire sull’estensione temporale della responsabilità politica? Naturalmente essa ha anzitutto a che vedere con ciò che è continuo, poiché la necessità del momento richiede un rimedio così come l’occasione momentanea esige di essere colta. Ma ne fa parte la stessa lungimiranza, resa del resto necessaria in una misura che non ha precedenti dalla specifica portata causale delle azioni moderne.

Questa dimensione della lungimiranza presenta due orizzonti diversi: quello più prossimo, all’interno del quale, grazie alle inferenze consentite dal sapere analitico disponibile, si possono prevedere in via più o meno ipotetica, al di là della situazione immediata, gli effetti della singola iniziativa (ad esempio l’aumento o la riduzione delle tasse); e l’orizzonte più ampio, nel quale la somma delle imprese attuali conduce alle grandezze cumulative dell’iterazione con tutti i fattori della condizione umana, intorno alla quale, date le molte incognite del calcolo, non si può più affermare nulla di veramente convincente, all’infuori di due elementi: lo sfuggire al controllo di certe possibilità casualmente a portata di mano (eventualmente) e l’estendersi all’intero destino umano dello smisurato ordine di grandezza di quelle possibilità. Per quanto concerne l’orizzonte prossimo, esso oltrepassa di gran lunga ciò che rientrava nel raggio dell’arte di governo precedente e in generale della pianificazione umana.

Tuttavia non si può passare sotto silenzio un paradosso. Rispetto ai nostri antenati premoderni, per un verso sappiamo di più, per l’altro di meno rispetto al nostro futuro. Di più, perché il nostro sapere analitico-causale applicato metodicamente al dato è molto maggiore; di meno, perché siamo alle prese con una condizione costitutivamente mutevole, mentre le generazioni precedenti avevano a che fare con una condizione complessivamente stabile (o che sembrava tale). Quelle potevano avere la certezza che i costumi, i sentimenti e le idee, i rapporti di potere, le forme economiche e le risorse naturali, le tecniche di guerra e di pace non sarebbero stati nella generazione successiva molto diversi che nella loro. Noi invece sappiamo, se non altro, che la maggior parte di queste cose sarà diversa.

È la differenza tra una situazione statica e una situazione dinamica. La dinamica è il marchio della modernità; essa non è un accidente ma una qualità immanente dell’epoca, e fino a prova contraria costituisce il nostro destino. Il che significa che dobbiamo attenderci sempre qualcosa di nuovo, senza però poterlo prevedere; e che il mutamento è sicuro, ma non lo è quel che subentrerà. Invenzioni e scoperte future non possono essere anticipate e preventivate. Quasi certo è soltanto che ve ne saranno a getto continuo e che alcune saranno di grande rilevanza, talvolta persino di portata rivoluzionaria. Ma su questo non si può fondare nessun calcolo. Tale incognita “x” del rinnovamento permanente è presente come uno spettro in tutte le equazioni. Sotto questo caveat stanno tutte le proiezioni che, con l’aiuto delle nostre analisi e del computer, abbiamo sviluppato in una tecnica delle previsioni. Esse ci dicono di più e con maggiore precisione e anticipo di quanto potessero fare le tradizionali valutazioni del futuro, sono costrette però a lasciare in sospeso un numero anche maggiore di aspetti. Il loro tenore è press’a poco il seguente: sulla base dei dati e trends attuali (viene inclusa nel calcolo la dinamica in quanto tale) risultano per il 1985 questa e quella situazione per l’approvvigionamento energetico, per l’anno 2000 all’incirca quell’altra; grazie a certi progressi di una tecnica in evoluzione, ad esempio quella atomica (e il calcolo precedente fornisce un motivo per lavorare alla sua accelerazione), il quadro potrà migliorare in questo o quel modo. 

Stando all’esperienza si può con i debiti sforzi far conto su tali progressi: la certezza non sarà totale, ma sufficiente a imporre quegli sforzi e (quando la causa in questione sia rilevante) a giustificare anche il rischio del fallimento di tentativi dispendiosi. In tal modo la previsione si traduce in politica pratica e questo nel senso che l’agire indotto dalla previsione finisce per favorirne oppure ostacolarne l’attuazione. Specialmente quest’ultima eventualità è di norma la causa prima, dato che la previsione negativa costituisce a ragione un motivo più forte per l’intervento politico e certamente un imperativo più cogente per la responsabilità, di quanto non sia la previsione positiva.

In questo modo si devono intendere le stime demografiche per i prossimi decenni e fino al millennio futuro. Ciò che per la dinamica intrinseca delle grandezze in crescita non può più essere modificato (a meno che non ci sia una distruzione di massa) impone misure preventive di copertura del fabbisogno alimentare futuro che d’altra parte scongiurino la rovina ecologica. Ciò che invece resta ancora aperto all’intervento esige una politica volta a correggere tempestivamente la curva che va in direzione della catastrofe. La profezia di sventura è fatta per scongiurare che si verifichi in realtà quanto è temuto; sarebbe il colmo dell’ingiustizia deridere in seguito gli allarmisti con l’argomento che in fondo non è andata poi così male; l’aver avuto torto sarà il loro merito.

Hans Jonas è stato un filosofo tedesco di origine ebraica, morto nel 1993, autore di molte opere sui temi della tecnica e dell’ecologia. Questo brano è tratto dal suo testo più celebre: Il principio di responsabilità. Un’etica per la società del futuro, Einaudi, Torino, 1979.

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