Penso dunque sono un matematico

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Ognuno di noi ha la propria visione del mondo. Tra le posizioni più estreme c’è quella di chi diffida di tutto e tutti, e avendo sempre da ridire non accetta nulla per buono. Una posizione che potremmo chiamare “scettica”. All’estremo opposto c’è invece chi ottimisticamente accetta tutto senza pensarci più di tanto. Una posizione quest’ultima che potrebbe forse essere chiamata “dogmatica”.

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Dunque, per lo scettico non potremmo conoscere nulla, mentre per il dogmatico potremmo invece conoscere tutto. Ovviamente, nella vita quotidiana nessuno alla fine dei conti assume posizioni tanto radicali, e il comune buon senso ci fa ricercare una sorta di equilibrio tra questi due estremi opposti. Anche lo scienziato deve in qualche modo ricercare un tale equilibrio, giacché sia lo scetticismo che il dogmatismo estremi risultano incompatibili con il metodo scientifico.

In effetti, uno dei compiti essenziali dell’impresa scientifica è quello di porre le basi per una conoscenza sicura e affidabile. Ma è possibile trovare fondamenta abbastanza solide per poter sostenere una conoscenza accurata del mondo? Oppure, perlomeno al livello teoretico, dobbiamo soccombere al dubbio scettico?

Con questioni simili doveva trovarsi a riflettere il filosofo, matematico e scienziato francese Cartesio quando proponeva il suo dubbio metodico come base per una conoscenza sicura. Ok, anche se volessi vestire i panni dell’avvocato del diavolo e cominciare a dubitare di tutto, dubita che ti dubito che dubita che ti dubito, dovrei anche dubitare di dubitare. Ma questo è pur sempre un pensare. Posso dubitare di pensare? Forse no, perché il dubitare è pur sempre un pensare. Allora potrei almeno essere certo del fatto di stare pensando. Devo quindi esistere almeno come un soggetto pensante. Troviamo così la famosa massima cartesiana: cogito ergo sum.

Allora c’è almeno una certezza su cui costruire. E potrebbero essercene allora tante altre su cui edificare una scienza affidabile. Da questo punto prende le mosse il programma cartesiano sulle deduzioni da intuizioni chiare e distinte.

Qualcosa di simile si ritrova già in Aristotele. Esistono delle verità? Sì, ce ne deve essere almeno una. Consideriamo infatti l’affermazione: Non esistono verità. Tale affermazione è vera oppure falsa. Giusto? Se è vera allora dovrebbe essere allo stesso tempo falsa non potendo esserci verità. Deve allora trattarsi di una falsità e pertanto deve essere vera la sua negazione. Dunque, deve esistere almeno una verità. Di più, data una verità allora ne esistono infinite altre.

Supponiamo, ad esempio, che ci sia soltanto un elenco finito di verità, e consideriamo l’affermazione: tutte le verità sono contenute in quell’elenco. Se si tratta di un’affermazione vera, allora abbiamo un’ulteriore verità. Se invece è falsa, allora deve esistere almeno una verità che non compare nell’elenco. Insomma: nessun elenco finito può contenere tutte le verità, che pertanto devono essere in numero infinito.

Un bel progresso, non c’è che dire. Ma occorre rimarcare che questo passo avanti ha dovuto fare qualche concessione al dogmatismo. Già: nei ragionamenti proposti si è fatto uso implicitamente di alcuni principi logici da prendere per buoni come il principio di non contraddizione (vero e falso non possono coesistere sulla stessa affermazione) e il principio del terzo escluso (vero e falso sono gli unici valori di verità).

Dunque, siamo in qualche modo costretti a prendere qualcosa per buono sulla cui base iniziare a costruire, proprio come fanno i matematici. I teoremi si dimostrano a partire da qualcosa che è dato per buono: enti primitivi e assiomi. I ragionamenti qui proposti si inquadrano, ad esempio, nelle cosiddette dimostrazioni per assurdo, mentre l’esistenza di infinite verità si riconduce in modo naturale a uno schema di induzione completa (si veda [5,6,7,8]) per un’introduzione a questi temi). Infatti, il primo passo (1) è l’esistenza di una verità. Poi, ammettiamo che ci sia un numero n di verità. Supponiamo per assurdo che non ce ne siano n+1 di verità. Allora l’affermazione: Esistono n verità ma non n+1 sarebbe vera, e quindi essa stessa un’ulteriore verità rispetto alle precedenti n. Contraddizione. Resta allora stabilito il passo induttivo (2): Se ci sono n verità allora ce ne sono n+1. Da (1) e (2) si conclude per induzione che ad ogni numero intero corrisponde una verità. Conseguentemente, l’insieme delle verità è un insieme infinito.

Se vogliamo, quello di Cartesio è in qualche modo il tentativo di estendere alla filosofia in generale il metodo assiomatico della matematica. Seguendo quanto accade, ad esempio, nella geometria Euclidea: da alcune verità evidenti (gli assiomi) derivarne tutte le altre. In particolare, la possibilità di utilizzare la matematica nella filosofia della natura comincerà a raggiungere dei risultati spettacolari proprio a partire dal secolo di Cartesio, soprattutto grazie all’introduzione del calcolo infinitesimale ad opera di Newton e Leibniz. Una pietra miliare di questo approccio fisico-matematico è l’opera di Newton: Principi Matematici della Filosofia Naturale.

Ma lo scenario aperto dal cogito ergo sum presenta anche alcune difficoltà. Innanzitutto, il problema dell’individuazione di cosa possa essere considerato chiaro ed evidente. In effetti, l’assiomatica moderna si è spostata dall’evidenza degli assiomi alla loro consistenza e alla deducibilità, stante la necessità di sfuggire ai paradossi e tener conto della completezza (o non-completezza) delle teorie matematiche ([6,12]).

Un’altra difficoltà importante è stabilire il legame tra quanto esiste nella nostra testa (il pensiero) e quanto al di fuori di essa (la realtà), e, in particolare, alla millenaria questione di quale sia la natura degli oggetti matematici (la matematica è invenzione o scoperta?) e il loro legame con la realtà ([4]). Il linguaggio della natura è veramente scritto in caratteri matematici, come riteneva il buon Galileo?

Del resto, il fatto che in qualche modo la natura debba soggiacere a un pensiero matematico ha una lunghissima tradizione, e senza dubbio esercita un grande fascino la possibilità di prescrivere il comportamento della natura solo scrivendo le nostre equazioni e i nostri teoremi sulla carta. Sembra quasi una magia.
E, in effetti, così è stato in numerosi casi anche clamorosi, come ad esempio per la Teoria della Relatività di Einstein, o la scoperta dell’antimateria – solo per citarne alcuni tra i più noti. Casi in cui la teoria matematica ha permesso di indagare aspetti nuovi della natura, a volte utilizzando teorie sviluppate in contesti diversi, anche prettamente speculativi, e per tutt’altri scopi ([9]).

Nel celebre articolo Sull’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze della natura il premio Nobel per la fisica E. P. Wigner parla del rapporto matematica-realtà come di un mistero, una sorta di dono che non abbiamo meritato. Certo, l’efficacia della matematica è notevole, ma non è poi così pervasiva come si potrebbe pensare (o auspicare). Di fatti, non appena ci si allontana dalle scienze più fisiche l’efficacia della matematica decade rapidamente. Nonostante il notevole sforzo, il ruolo della matematica nelle altre scienze (biologia, economia, sociologia ecc.) resta comunque lontano da quanto è accaduto e accade per le scienze fisiche ([10,11]).

Ci sarebbero poi aspetti che potrebbero rendere questa efficacia meno sorprendente, come il considerare che dopotutto anche il nostro pensiero è, alla fin fine, in qualche modo un prodotto della natura stessa, nonché la crescente constatazione unità del pensiero matematico per cui anche teorie molto lontane tra loro presentano notevoli aspetti comuni ai livelli più fondamentali.

Non ci dovrebbe allora meravigliare più di tanto scoprirci un po’ matematici mentre riflettiamo seriamente su di noi e sulla realtà che ci circonda.

Luca Granieri è Dottore di ricerca in Matematica. Ha svolto attività di ricerca scientifica in diverse Università e centri di ricerca. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche, nonché di scritti divulgativi e didattici.


Riferimenti Bibliografici

  1. A. D. Aczel, Il taccuino segreto di Cartesio, Mondadori, Milano 2006.
  2. M. F. Atiyah, Siamo tutti matematici, Di Renzo Editore, Roma 2007.
  3. E. Boncinelli, U. Bottazzini, La serva padrona, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.
  4. E. Giusti, Ipotesi sulla natura degli oggetti matematici, Bollati Boringhieri, Torino 1999.
  5. L. Granieri, Elementi di Matematica, La Dotta Editore, Bologna 2013.
  6. L. Granieri, Paradossi, «Ulisse», Bibiloteca dei 500, SISSA, Trieste, marzo 2004.
  7. L. Granieri, Per definizione, «AIRInforma», marzo 2016.
  8. L. Granieri, Essere o non essere, questo è il problema! «Scienze e Ricerche» n. 24, marzo 2016.
  9. L. Granieri, Pi-Greco & Company, «Periodico di matematiche» 3/2016, Mathesis.
  10. G. Israel, Scienza pura e applicata nell’ultimo trentennio: una trasformazione radicale, LLULL, «Revista de la Sociedad Espanola de Historia de las Ciencias y de las Tecnicas», vol. 26, 2003, pp. 859-888.
  11. G. Israel, La visione matematica della realtà, Laterza, Bari 1996.
  12. J. D. Stein, La matematica non è un’opinione, Newton Compton, Roma 2010.
  13. E. P. Wigner, L’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali, Adelphi, Milano 2017.
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Luca Granieri

È Dottore di ricerca in Matematica. Ha svolto attività di ricerca scientifica in diverse Università e centri di ricerca. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche, nonché di scritti divulgativi e didattici.

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