Involuzione

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L’idea ha origini nobili. “Un computer per ogni banco” è una prospettiva che nel nostro Paese ha avuto diffusione, ha suscitato discussione e ha ottenuto esiti pari a zero tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del decennio successivo.

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Fra i primi sostenitori di questa tesi Lydia Tornatore, alla cui lucidità la mia generazione deve davvero molto. Il senso era chiaro: i dispositivi digitali – perfino prima di Internet, perfino prima della multimedialità, perfino prima degli eBook, perfino prima delle LIM e dei learning object, perfino prima delle flipped classroom – erano considerati molto promettenti e si proponeva quindi di non confinarli nei laboratori di informatica, destinati all’apprendimento della programmazione, ma di utilizzarli secondo una prospettiva più ampia. Per usare ad esempio i word processor, di cui – anche se dotati di interfacce spartane, prive di icone e a volte anche di menu – qualcuno aveva intuito e pronosticato le straordinarie potenzialità di modificare l’approccio al processo di scrittura. Cambiamento cognitivo, intellettuale e professionale che si è verificato dappertutto tranne che a scuola, dove la prova scritta di Italiano continua a essere vergata con biro o stilografica ad inchiostro nero-bluastro, su fogli protocollo a righe, accuratamente timbrati dalle segreterie e firmati dai presidenti di commissione.

Convertito in “One Laptop Per Child”,  un analogo punto di vista ha animato e anima a livello internazionale gli sforzi di Nicholas Negroponte per ridurre il digital divide fornendo PC portatili a basso costo a ogni bambino di quelle zone della Terra che la falsa coscienza di noi occidentali si ostina a pensare “in via di sviluppo”. Questi computer si chiamano XO e sono in grado di funzionare con l’energia solare, di resistere a urti e infiltrazioni di acqua e di sabbia, di ritrasmettere l’uno all’altro in un raggio di 300 metri l’eventuale connessione a Internet, se presente sul territorio in un unico punto. Sono dotati di sistema operativo open source e di una batteria di programmi pensati a scopo educativo e didattico. È possibile acquistarli anche in un Paese “ricco” (definizione a sua volta dura a morire nonostante la devastante crisi economica che stiamo subendo) con la formula “Give 1 Get 1”; per ogni XO comperato, infatti, l’acquirente ne dona uno a destinatari scelti dalla fondazione di Negroponte.

Tornando in Italia, ritroviamo in qualche modo la stessa visione di fondo nell’iniziativa ministeriale dei bandi di concorso Cl@sse 2.0, che prevede per ogni allievo delle classi vincitrici un netbook o di un tablet, che spesso può anche essere portato a casa per svolgere i compiti. Fiore all’occhiello di varie scuole, desiderio frustrato di molti colleghi, tema di innumerevoli convegni auto-celebrativi e di trionfalistiche pubblicazioni, l’esperienza è appena stata nettamente stroncata dall’OCSE, che, nel suo recente studio sul Piano Nazionale Italiano per la Scuola Digitale, consiglia di interromperla, perché non è stata in grado di sviluppare autentiche competenze tra gli insegnanti.
È di qualche giorno fa, infine, la notizia che la bella metafora con cui abbiamo cominciato questo percorso ha trovato una triste applicazione concreta. L’ultimo ritrovato del marketing concettuale in cui si è trasformata da un po’ di tempo la riflessione sulle tecnologie digitali riguarda infatti in senso stretto gli arredi scolastici, il cui acquisto, per altro, mi risulta a carico degli Enti locali. Artefici e media si sono affrettati a parlare di “banchi intelligenti”: nel tradizionale tavolino sono infatti incastonati  uno schermo a tecnologia multitouch e un mini-computer a basso costo, con architettura software di nuovo open source. Quali siano i vantaggi ergonomici e cognitivi di questa soluzione – al di là del fatto di rendere materialmente difficoltoso l’uso di altri strumenti sul banco medesimo – non è dato sapere, così come sono ignoti i contenuti formativi della relativa sperimentazione.

Insomma, la raccomandazione del citato studio dell’OCSE che invita l’Italia a definire obiettivi operativi e criteri di valutazione precisi quando progetta l’impiego di strumenti digitali andrebbe quanto mai presa sul serio.

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Marco Guastavigna

Insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it.

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