Quaderno della Ricerca #36

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I Quaderni della Ricerca

Logos e techne. Tecnologia e filosofia Romanae Disputationes 2016-17 a cura di Gian Paolo Terravecchia e Marco Ferrari

Didattica per l’Eccellenza



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I Quaderni della Ricerca

Logos e techne. Tecnologia e filosofia Romanae Disputationes 2016-17 a cura di Gian Paolo Terravecchia e Marco Ferrari


© Loescher Editore - Torino 2017 http://www.loescher.it

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Indice Introduzione

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di Gian Paolo Terravecchia, Marco Ferrari

Saluto del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli

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Parte prima. Lezioni Logos e techne. Tecnologia e filosofia

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di Carlo Sini

Frontiere dell’umano. Tecnica e verità

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di Roberto Mordacci

1. L’isola

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2. Il territorio esplorato

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3. La tentazione

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4. La saggezza

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5. L’avventura

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La domanda della tecnica

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di Costantino Esposito 1. La tecnica è un fenomeno ambiguo

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2. La tecnica ci pone una domanda, la tecnica chiede di noi

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3. Chi siamo noi?

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LOGOS E TECHNE. TECNOLOGIA E FILOSOFIA

Parte seconda. Riflessioni

Tecnologia e filosofia: la sfida della techne al logos

di Marco Ferrari

Sulla necessità dell’argomentare in filosofia

di Gian Paolo Terravecchia

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1. Introduzione

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2. Filosofia e argomentare

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3. Sul dire in filosofia che non è argomentare

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4. Una prospettiva conciliarista

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5. Limiti e prospettive della via tracciata da Curi

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Parte terza. Sul Concorso

Vincitori dei Concorsi 2016-2017

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Meditazioni su logos e techne

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di Sofia Altini, Giulia Ascari, Sonia Gatti, Alberto Minghetti, Matteo Ronga, Elisa Sindaco 1. Prima meditazione: Streben, logos, Sorge 2. Seconda meditazione: la techne come sventura e delusione

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3. Terza meditazione: la vulnerabilità della tecnica e lo scarto tra ragione e realtà

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Il fare tecnico e la responsabilità del pensare: logos e techne nel cammino dell’uomo

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di Filippo Calavaro, Chiara De Leo, Lorenzo Di Mattia, Eleonora Ferraresi, Giulia Filippazzo, Michele Giuliano, Melissa Grande, Martina Iannilli, Valentina Marchionni, Elena Passaretti, Chiara Pulvano, Daniele Stoia

4

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1. Scenari attuali e immagini del futuro

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2. Dalla tecnica alla tecnologia

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3. Tecnicamente abita l’uomo

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Indice

4. La tecnica rivela l’umano

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5. La meraviglia di fronte a ciò che l’uomo produce Tecnica e creatività

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6. La tecnica e il desiderio umano

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7. L’intelligenza che suscita meraviglia

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8. La responsabilità del pensare: la filosofia come “presa di coscienza della vita”

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9. Conclusione

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Divagazioni istantanee post-global

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di Massimo Ferrari, Laura Gnetti, Martina Mazzali, Sara Romiti, Beatrice Tomè

La tecnologia: rimedio alla fatica dell’uomo o invito a pensare di più o altrimenti?

di Caterina Carradori, Antonella Di Piero, Edna Esposito, Alessandra Piscitelli

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1. Preambolo

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2. Pensare la tecnologia: Aristotele tra logos e techne

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3. La desertificazione del logos nella “civiltà tecnologica”

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4. Oltre Prometeo?

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5. Conclusione

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L’iO(S) tecnologico, un Prometeo comandato

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di Federico Borrini, Martina Buccardi, Arianna Cantarella, Silvia Carpena, Francesco Dilda, Isabella Ferrarini, Giovanni Galloni, Bianca Lecchini, Lorenzo Ollari, Clara Patrizi 1. Tra tecnica e solitudine, l’antropizzazione del tutto

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2. Dal mito greco della tecnica al moderno Prometeo

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3. Imperativo del bisogno

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4. Il riconoscimento pubblico della potenza… e noi

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5. Pensiero magico e tecnicismo

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LOGOS E TECHNE. TECNOLOGIA E FILOSOFIA

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De humani finis carmine, o discorso riguardo la superiorità della ragione poietica umana su quella calcolatrice dell’intelligenza artificiale

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di Andrea Attaccalite, Lorenzo Iacopini, Riccardo Malaspina, Matteo Pirro, Lorenzo Santori 1. Techne-loghia: araldo della tecnica 2. De homo: analisi storica della natura umana 3. De machina: futuro della ragione umana? 4. De divergentia

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5. Elogio del limite umano

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6. La salvezza nell’uomo poietico

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Introduzione di Gian Paolo Terravecchia, Marco Ferrari

Con quella del 2017, siamo alla quarta edizione del Concorso nazionale di filosofia per studenti liceali Romanae Disputationes (rd). Esso cerca di promuovere in Italia l’eccellenza nello studio della filosofia a livello di scuola secondaria superiore. Le rd in questi anni hanno offerto a migliaia di studenti del triennio superiore di tutta Italia un percorso di ricerca e di confronto, aperto a tutti gli orientamenti culturali, realizzato in collaborazione col mondo universitario, ponendo a tema le grandi domande che la filosofia offre. Il Concorso si radica nel lavoro quotidiano di numerosi docenti di filosofia della scuola secondaria superiore che condividono la propria esperienza di insegnamento per riscoprire, in quella comunità di lavoro che è la Bottega di Filosofia di Diesse, i contenuti e i testi della filosofia al di là del già saputo e sedimentato1. Nelle rd gli studenti, raccolti in team, vengono sfidati a lavorare sui più affascinanti temi di cui si occupa la filosofia, come la ragione umana, la libertà, la giustizia. Tali questioni costituiscono la trama quotidiana delle lezioni di filosofia a scuola e sono proposte nel Concorso, proprio perché possano rioccupare con maggiore centralità e ampiezza il ruolo che spetta loro nella formazione delle giovani generazioni e nella riflessione matura degli adulti. Il presente testo nasce dal Concorso 2017 sul tema “Logos e techne. Tecnologia e filosofia”. Il volume non vuole limitarsi a riproporre il già visto, così da documentarlo, ma cerca soprattutto di offrire del materiale che consenta, a diversi livelli di approfondimento e da molteplici angolature, di rimeditare il tema della techne. Anche quest’anno, il Concorso ha ricevuto l’attenzione del

1. Cfr. Prefazione, in M. Ferrari e G.P. Terravecchia (a cura di), Soggetto e realtà nella filosofia contemporanea. Cinque lezioni, Itaca, Castel Bolognese (ra) 2014, p. 3. Cfr.: http://www.diesse.org/diesse-forma-einnova/filosofia. Le lezioni della Bottega sono pubblicate anche sul portale http://webtv.loescher.it. La Bottega di Filosofia è coordinata da Marco Ferrari e fa parte del progetto “Le Botteghe dell’insegnare” a cura dell’associazione Diesse.

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LOGOS E TECHNE. TECNOLOGIA E FILOSOFIA

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ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, che ha inviato ai partecipanti un saluto di cui, grati, riportiamo il testo integrale. Il messaggio è stato letto ai 900 partecipanti alla due giorni finale. Il 17 e 18 marzo, a Roma presso l’Angelicum, si sono infatti tenuti alcuni interventi di grande spessore e gli Age contra, oltre naturalmente alle premiazioni finali. La prima parte del presente volumetto raccoglie alcuni degli interventi dei relatori della due giorni, cioè quelli di Roberto Mordacci e Costantino Esposito, secondo l’ordine in cui sono stati tenuti. Per le altre lezioni e seminari (cioè quelli di Francesco Profumo, Antonio Petagine e Pietro Toffoletto) rimandiamo al sito web e al canale YouTube di rd. Ai materiali detti si aggiunge un altro contributo, quello del filosofo Carlo Sini e anzi esso è messo per primo, perché ha aperto con autorevolezza l’anno di lavori del Concorso. Nella seconda parte del volume si trovano i testi di Marco Ferrari e di Gian Paolo Terravecchia. Il primo spiega la scelta del tema posto nel Concorso rd2017 e racconta le diverse fasi di svolgimento dello stesso, le modalità di valutazione e la due giorni finale. Il secondo è un tentativo di riflettere sull’argomentare in filosofia. Si tratta di un tema che ci sta a cuore: le Romanae Disputationes costituiscono un’opportunità per imparare ad argomentare, cioè a dire e dare le ragioni, a chiarire il perché. D’altra parte, non tutto in filosofia è stretta argomentazione e si capisce con ciò il valore e l’importanza delle sezioni video del Concorso. La terza parte del testo, infine, oltre a offrire le informazioni sui vincitori delle varie categorie, raccoglie i testi vincitori del Concorso. Quanto alla scelta sulle modalità di pubblicazione delle tesine, è opportuno chiarire le ragioni che, anche quest’anno, ci hanno guidato. Quello che in un autore esperto, magari affermato, è motivo di pudore, in un giovane alle prime armi è traccia di un percorso di crescita e perciò può essere a pieno titolo motivo di orgoglio e vanto. La logica di questa parte è di presentare i testi giudicati come migliori, secondo la valutazione delle giurie didattica e scientifica. Ci siamo limitati a correggere i refusi e le mancanze formali a livello tipografico, emendando in qualche raro caso il testo per riportarlo alle intenzioni espressive originarie, con l’autorizzazione di chi lo firma. Abbiamo inoltre sollecitato gli studenti a inserire i riferimenti bibliografici che non di rado mancavano in qualche misura nel testo consegnato al Concorso. Abbiamo però conservato tutto il resto, comprese le carenze a livello espressivo, concettuale e culturale. Gli studenti che li hanno scritti vi troveranno il loro lavoro proprio così come l’hanno presentato (e non una sua versione finta e abbellita per l’occasione). Gli insegnanti potranno constatare tra le righe il molto lavoro che è stato svolto dai colleghi e il tantissimo che si sarebbe potuto fare, traendo spunto dall’uno e dall’altro. Gli studenti delle prossime edizioni del Concorso, si faranno un’idea di quello che in passato è stato uno standard vincente e potranno cercare di alzare l’asticella. Ci piace pensare che


Introduzione

un giorno, qualcuno prenderà in mano anche questo quarto testo delle rd e, leggendo le tesine degli studenti, sorriderà di quanto è stato scritto dai team in questa edizione. Ebbene, anche in questo caso, tutti gli autori, con noi, potranno essere orgogliosi di aver compiuto un passo verso quel miglioramento. In un percorso di ricerca è normale che alcune cose non riescano al meglio, soprattutto all’inizio: se si vuole imparare a camminare, non si deve temere di cadere e anzi bisogna essere orgogliosi di quanto intrapreso, pur di non restare fermi. Il lettore dovrà comunque riconoscere che, con tutti i loro limiti, le tesine che raccogliamo presentano, ciascuna, degli elementi di merito e di interesse che noi curatori siamo lieti di pubblicare, anche a motivo della capacità che hanno avuto gli studenti di entrare con tutto se stessi dentro alle questioni, mostrandone molteplici sfaccettature e, soprattutto, il riverbero sincero che la domanda sulla tecnologia ha suscitato in loro2. A fronte del tanto lavoro svolto per l’organizzazione delle rd, ci pare doveroso ringraziare, insieme agli studenti partecipanti, anche tutti i docenti e i presidi che hanno sostenuto e favorito il lavoro dei propri team, in virtù del grande impegno che le rd richiedono in termini di tempo, di studio e di organizzazione. Allo stesso modo vanno ringraziati gli illustri relatori, gli organizzatori e i collaboratori dell’associazione ToKalOn e di tutti gli enti, le associazioni e le Università – in primis l’Università Cattolica di Milano, la Fondazione rui, la Fondazione De Gasperi e l’Istituto Toniolo – che, compartecipando alla realizzazione del Concorso, hanno reso possibile la costruzione di un nuovo luminoso tassello del grande mosaico della buona scuola italiana. Desideriamo poi ringraziare alcune persone il cui contributo per la realizzazione del volume è stato prezioso: Victor Pantaleoni ed Emma Lavinia Bon hanno contribuito al lavoro di editing e Elvira Baturi ha curato la trascrizione del testo di Costantino Esposito. Infine, ma certo non per ultimo, ci teniamo a ringraziare l’editore Loescher che continua in molti modi e con generosità a sostenere il Concorso e la pubblicazione dei testi che esso produce.

2. Tutte le informazioni sul Concorso Romanae Disputationes sono reperibili sul sito www.romanaedisputationes.com; tutte le informazioni sulle attività dell’associazione Tokalon sono reperibili sul sito www.tokalonformazione.it.

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Saluto del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Carissime e carissimi, mi dispiace molto di non poter essere con voi oggi per condividere le riflessioni che avete elaborato a proposito del tema del Concorso al quale avete partecipato, “Logos e techne. Tecnologia e filosofia”, e premiare le vincitrici e i vincitori che sono stati selezionati per l’originalità e l’appropriatezza dei lavori presentati. Le Romanae Disputationes sono una bella pagina di buona scuola oltre la scuola. Sapere che 900 tra studentesse, studenti e docenti provenienti da 80 scuole di tutto il Paese si ritrovano in questi giorni a Roma per ragionare sui fenomeni che interessano la società contemporanea e che lo fanno attraverso lo strumento della filosofia, una disciplina che siamo abituati a considerare soltanto nel suo aspetto storico, è una notizia che riempie di soddisfazione e gioia chi, come me, è impegnato giorno dopo giorno a servizio del nostro sistema d’istruzione. Da voi, care ragazze e cari ragazzi, dipende il futuro del nostro Paese, e mi conforta riconoscere tra le vostre attitudini la volontà di comprendere a fondo, la curiosità, la voglia di mettersi in gioco e andare oltre l’abitudine e l’ordinario. È un patrimonio niente affatto scontato: alimentatelo per farne ricchezza per il vostro domani. La partecipazione a questo Concorso vi sta dando la possibilità di sviluppare competenze di creatività, argomentative, di ragionamento e di esposizione che vi torneranno utili. Vi sta dando l’opportunità di entrare in contatto con una tradizione culturale e con un metodo di conoscenza del mondo e di rinnovarla per farne occasione di crescita condivisa. Andate avanti su questa strada, mantenendo questo spirito e questo entusiasmo. E grazie a tutte le docenti e a tutti i docenti che vi sostengono in questo percorso di conoscenza. All’ideatore del Concorso, il professore Marco Ferrari, tra i finalisti del Premio Nazionale Insegnanti di quest’anno per la sua capacità di innovare la didattica. E a tutti coloro – università, associazioni, edi-

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LOGOS E TECHNE. TECNOLOGIA E FILOSOFIA

tori – che con il loro contributo hanno preso parte a questa manifestazione e ne hanno permesso la realizzazione. Buon lavoro a tutte e a tutti, Valeria Fedeli

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Parte prima Lezioni



Logos e techne. Tecnologia e filosofia1 di Carlo Sini

Anzitutto ringrazio per questo invito che mi onora e che nello stesso tempo mi preoccupa. Perché di fronte a tanti giovani che desiderano entrare nella filosofia e con un tema così attuale come quello della tecnica, quello che dirò dovrà cercare di essere un contributo utile, fra i tanti ovviamente possibili. Il mio contributo non andrà invero nella direzione che solitamente si segue quando si parla oggi di tecnica e quando la si mette poi in relazione al sapere, alla filosofia e alla scienza. Non penso infatti che la tecnica sia un fatto recente. Ha certamente degli aspetti caratteristici, per esempio dal Seicento in avanti, quando Bacone rivendicava il sapere moderno rispetto a quello degli antichi, ma a mio avviso il punto davvero importante è che non bisogna mai distinguere l’uomo dalla tecnica. Questo è un grandissimo errore nel quale ci troviamo frequentemente coinvolti, per esempio in base a discorsi puramente retorici: l’uomo fa questo e fa quello, dovrebbe fare questo e non fare quello; la tecnica poi è un aiuto, oppure è un nemico e così via. Ma io domando: dov’è mai l’uomo senza la tecnica? Non esiste un’umanità che ne sia priva, che sia analoga a un puro ente naturale: se c’è uomo c’è tecnica e se c’è tecnica c’è uomo. Analogamente potrei dire che se c’è uomo c’è lavoro e che se c’è lavoro c’è uomo; lavoro non in un senso esclusivamente economicistico, ma in un senso più profondo, cioè come soglia dell’intera condizione culturale degli umani. Allora per cercare di farmi intendere, poiché è un’impresa riuscire in un’oretta a rendere accessibile un pensiero poco familiare, in controtendenza rispetto a molti comuni discorsi sulla tecnica, proverò a servirmi di un esempio, ovvero di una storia, che ponga l’eterna questione: qual è l’origine dell’uomo, dove possiamo dire qui c’è un uomo, qui sono stati gli uomini, gli esseri umani? Questione che si porta dietro la domanda kantiana: “che è uomo?”, domanda alla quale l’essere umano non può non rivolgersi, non può non suscitarla dentro di sé. Ma, vi dico subito: potrebbe susci-

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Lezione svoltasi all’Università Cattolica di Milano il 4 novembre 2016.

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tarla senza la tecnica? Dobbiamo evidentemente intenderci anzitutto sulla parola techne. Raccontiamoci allora questa storia, sapendo che è una storia con la quale renderci plausibile e comprensibile la nascita degli umani, una storia che a sua volta non potremmo immaginare senza il preventivo possesso di una tecnica, come vedremo. Per milioni di anni (non migliaia) gli ominidi che ci hanno preceduto nel corso dell’evoluzione naturale hanno cominciato a costruire degli strumenti, cioè a non limitarsi ai mezzi di cui l’evoluzione della natura li aveva dotati per sopravvivere nel loro ambiente. Essi impararono a dotarsi di strumenti che non derivavano direttamente dalla natura. Ma voi sapete che cos’è uno strumento? Avete mai riflettuto su questa nozione? Ora io sostengo: non c’è dapprima l’uomo e poi accade lo strumento. Di solito si dice: l’uomo è così intelligente che si inventa lo strumento; in realtà queste sono spiegazioni che non spiegano nulla. Mettere la parola “uomo” dove c’è un problema, è come fare della domanda la risposta, cioè usare una parola e farla passare per soluzione. Ma, ripeto, che è uomo? È proprio questo il problema: che intendi per uomo? Come puoi mostrare che nasca questa creatura straordinaria in cui l’evoluzione naturale è senz’altro una premessa, ma non l’essenziale? L’essere umano vive da tempo in tutti gli ambienti, si è avventurato in tutti i continenti; non vive in quanto si sia adattato a un solo ambiente specifico, ma ha trasformato e moltiplicato il suo ambiente e per farlo ha dovuto proseguire a suo modo un’attività che da milioni di anni i suoi predecessori avevano già esercitato ciecamente, per esempio lavorando la pietra, costruendo strumenti litici, come si dice, e strumenti di legno. Benissimo, ma quando uno strumento diventa propriamente umano, quando dallo strumento viene fuori l’umano? Proviamo a fare un esempio, molto semplificato per i nostri scopi. Tutti sanno che gli scimpanzé sono animali di particolare intelligenza. Può capitare che qualcuno di loro, l’Einstein del gruppo, si serva occasionalmente di un ramo per tirare giù un frutto troppo in alto per essere direttamente raggiunto. Guardiamo bene che cosa fa. La cosa più semplice da dire è che prolunga il suo braccio con uno strumento e in questo modo ottiene il suo scopo. L’uomo può fare altrettanto. Immaginiamo un braccio umano che si fa largo nella foresta; lo fa istintivamente, come agiscono gli animali. Poi si serve di un bastone: che cos’è questo bastone? È certamente un prolungamento del braccio ma non è il braccio; c’è all’origine una parte vivente della natura, come il ramo, ma non è più natura. È in questo luogo intermedio che si origina la tecnica, che nasce l’oggetto, che viene al mondo quella cosa che il mondo non produce da sé; una cosa di cui mi devo impadronire per poterla assimilare alla funzione del braccio, in certo modo estendendolo. Gli antropologi parlano di uno strumento esosomatico, che agisce fuori e al di là del corpo. Ora io dico che proprio lo strumento agisce anche e in certo modo da


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specchio. Proprio lo strumento mi fa vedere e mostra la mia azione, mi rende intelligibile quello che sto facendo, sicché non soltanto sono così intelligente da usarlo, ma, usandolo, divento consapevole di che cosa faccio. So che cosa faccio e non soltanto che lo faccio, perché comincio a leggere in questo medio la mia azione, intendendola come un fine distinto dalla mia semplice intenzione. In certo modo qui c’è già tutta l’azione della tecnica. Così ragiona la filosofia: non abbiamo bisogno di farci incantare dai marchingegni tecnologici per comprendere che cosa è la tecnica, ci basta saper ritornare alle origini del problema e comprenderne l’essenza: così possiamo leggere nel bastone delle origini la condizione essenziale per il sincrociclotrone di Ginevra. Questa è la potenza della filosofia e del suo sguardo. Sappiamo bene quanta storia c’è di mezzo, quanti passi sono stati necessari per arrivare sino a noi, alle tecnologie straordinarie del nostro presente. Esse però sono cieche, se non si nutrono di questa potenza filosofica dello sguardo genealogico e sintetico, che è in grado di comprendere come è nata la capacità analitica dello strumento tecnico. Però c’è ancora qualcosa di decisivo che deve essere detto per comprendere la differenza abissale che separa, nell’esempio, il ramo dello scimpanzé dal bastone degli umani. Per fare un altro caso: certe specie di scimmie tirano sassi al ghepardo che le minaccia, e così lo fanno fuggire, ma non provvedono a creare una scorta di sassi pronti per l’uso, nel caso arrivi in seguito un altro feroce predatore. Nessuna scimmia lo fa e allora come accade che l’uomo invece sì? L’uomo non prende semplicemente un ramo come prolungamento del braccio, ma fa di questo ramo propriamente un bastone – lo libera dalle fronde e insomma lo adatta alla sua funzione –, lo rende cioè quella cosa ibrida, intermedia, che non è più una parte vivente del suo corpo, ma non è nemmeno più natura; è un oggetto separato, abbiamo detto, che distingue il fine dall’intenzione, per cui si comincia a creare un soggetto agente ben diverso dal soggetto naturale. Ma come arriviamo per esempio alla decisione di conservare il bastone, di metterlo da parte per azioni future dello stesso tipo, cosa che uno scimpanzé non sarebbe in grado di fare mai? Eccoci allora di fronte a un’altra affermazione che so bene essere difficile da condividere o da comprendere. Ci stiamo in sostanza chiedendo quale sia l’essenza della tecnica e la mia risposta è che lo strumento tecnico per antonomasia è il linguaggio. Proprio quello che avete messo nel titolo di questi incontri: il logos. Il logos è lo strumento che rende l’uomo uomo, che lo rende umano e che gli rende possibile l’intero mondo della tecnica, vale a dire il mondo della conoscenza, il mondo del lavoro e del lavoro della conoscenza, il mondo della trasformazione dell’ambiente e della produzione di comunità umane. Bisogna guardarlo bene questo strumento: che cosa succede con l’avvento della parola? Come nasce la parola o, diceva bene Merleau Ponty, la vox

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significativa? Il fatto è che non si nasce sapendo parlare, si impara a parlare, perché la parola esplode là fuori come un evento esosomatico. L’infante spontaneamente grida e sente il grido che gli ritorna indietro. Spesso il grido genera risposte, che gli corrispondono, sicché, come dicevamo del bastone, anche il grido è uno specchio, ma che specchio! Il grido fa da tramite per cui la risposta dell’altro si associa con il ritorno del suono. Esso assume il significato della risposta, “vuole dire” quella risposta. Per esempio vuole dire “bastone” e così, grazie a questa vox significativa, ora la cosa si raccoglie là davanti per tutti –­ per tutti coloro che sono entrati nel linguaggio – diventa una “cosa” comune a tutti e all’uso di tutti: una cosa che si può tenere in serbo, conservare, migliorare, riprodurre ecc. Legein, insegnava Heidegger, significa infatti, prima che “parlare”, “raccogliere là davanti”, per esempio i covoni di grano. E così infatti la parola si raccoglie là come unità delle risposte collettive. Se dico «al fuoco» tutti faranno una certa cosa, se dico «torniamo alla caverna» anche. Allora non soltanto so tornare alla caverna, ma so che cosa dico agli altri e contemporaneamente a me stesso, quando dico: «forse è meglio tornare alla caverna, si sta facendo tardi». Questa è dunque la tecnica fondamentale grazie alla quale si costituisce la comunità degli umani: essi hanno in comune i logoi, i discorsi, le parole, e le parole sono i primi segni, il primo dizionario, i primi oggetti della comunità. Attraverso questa via si costruisce l’infinita possibilità di tutti gli altri strumenti in senso proprio, nel gorgo della parola corrente. La prima sapienza è infatti una sapienza verbale, è la sapienza del mito, della favola. Una sapienza che presiede alla prima collezione di oggetti tecnologici dell’umanità. Il deposito aureo della nostra lingua, parlata e scritta, costituisce infatti il patrimonio e la ricchezza fondamentale di ogni essere umano. Per questo la formazione della piena e anzi della ricca capacità e competenza linguistica è sempre stato e così resta il compito primo e sovrano della formazione. Di qui prende avvio l’avventura antropologica, l’avventura umana nel corso dei millenni. L’homo sapiens non ha meno di 200.000 anni. Ignorare questa storia, le sue evoluzioni, e parlare come se i nostri discorsi contemporanei fossero immediatamente lo specchio della verità è qualcosa di insensato, qualcosa che dobbiamo opporre ai pregiudizi ispirati dalle tecnologie attuali – penso in particolare a molte affermazioni sin troppo “popolari” delle attuali neuroscienze: è necessario rendere tutti consapevoli della storicità del nostro discorso. Veniamo infatti da centinaia di migliaia di anni di operazioni che hanno modificato il nostro corpo, il nostro linguaggio e la nostra mente, veniamo da innumerevoli generazioni di lavoro umano, perché, come si sa, i gigli del campo non tessono e non filano e gli uccelli del cielo non lavorano. L’uomo sì, perché l’uomo produce resti, che costituiscono le basi per l’organizzazione della comunità. Da questo immenso lavoro derivano poi le deci-


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sioni circa le nostre norme di vita, quello che è lecito e quello che no e così via. Noi non dobbiamo mai dimenticare che siamo l’ultimo prodotto di questo processo, anche perché oggi assistiamo al diffondersi di una mancanza di coscienza storica preoccupante. Persino talune filosofie attuali parlano come se non ci fosse stato Aristotele, come se non ci fosse mai stata in passato un’evoluzione culturale della tecnologia, del linguaggio, delle forme della scrittura ecc. Se perdiamo questa coscienza storica, riduciamo la tecnologia dei nostri giorni al valore e al criterio della pura efficienza pratica. Nessuno dubita che l’odierna tecnologia funzioni meravigliosamente, ma il suo senso profondo ha origini e finalità ben più complesse. L’essere umano, abbiamo detto, è costituito dal suo lavoro, è una creatura che lavora, cioè che produce resti attraverso strumenti: questo da sempre e, per quel che vediamo oggi, per sempre anche in futuro. Nel suo lavoro la tecnologia fondamentale è il logos: ciò che, in base alle risposte, agli abiti di risposta, diceva Peirce, «crea la comunità dei saperi tecnici e sociali, economici e morali, estetici e politici». Ma il logos ha due caratteristiche; per ora abbiamo insistito solo sulla prima, quella che crea comunità, quella per cui senza la parola nessuno può divenire un soggetto umano, perché l’umano è là dove dentro di ognuno parla la parola di tutti gli altri, così come in tutti gli altri la sua. La lingua ha anzitutto questa virtù della convocazione, convocazione della voce grazie alla quale io divento io per te e tu diventi tu per me: siamo l’uno per l’altro, interlocutori che sono soggetti a una comune intersoggettività; una cosa che i nostri più lontani antenati ominidi con i loro bastoni e le loro pietre scheggiate non potevano raggiungere o concepire. Ma c’è poi l’altro aspetto del logos, cui abbiamo solo accennato e questo altro aspetto è la parola, cioè la parola presa in se stessa. A suo modo la parola è un bastone. La parola dice bicchiere, penna, aula…, cioè spezza, analizza, scompone e assume se stessa come unità di misura; oggi si potrebbe dire che la parola svolge una funzione algoritmica. Essa procede passettino dopo passettino, una parola dietro l’altra. Cartesio ha descritto perfettamente questa procedura parlando del metodo della conoscenza. Si tratta di dividere l’intero o l’insieme dell’esperienza in modo che, un passo alla volta, si arrivi a una conoscenza chiara e distinta del tutto. Direi che tutta la scienza moderna non si sia mai mossa di lì. Sostanzialmente la visione della conoscenza come divisione algoritmica, perfettamente incarnata dal linguaggio matematico, è ancora il fulcro del lavoro e della mentalità degli scienziati. In questo senso la lingua comune non bastava più, perché la lingua comune costruisce con le parole una sorta di mappa a suo modo precisa: «se dico orso non dico ornitorinco», osservava Umberto Eco. Certamente sono cose differenti e dicendole ci orientiamo in modi diversi. Ma quando siamo arrivati alla scienza moderna, non si fa la scienza con le sole parole, come secondo Bacone operava l’antica filosofia. La

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lingua infatti è troppo vaga: che tipo di orso, dove, quanto grosso, a quale distanza ecc. Ecco allora la necessità della costruzione di linguaggi puramente astratti ma in compenso sempre più precisi. Se per esempio scrivo il numero 3 ho delimitato un campo in generale non equivocabile. In particolare il linguaggio dell’aritmetica ha la sua prima radice nel ritmo, rythmos, dove il prefisso ari (ari-tmetica) svolge il ruolo di un rafforzativo – sta per Ares, il dio della forza –, ma essenziale e primaria è appunto la nozione di ritmo, in quanto il ritmo segnala il ritorno. La possibilità di dire, con le parole di Whitehead, «eccolo di nuovo!». Abbiamo qui la radice dell’esperienza rimemorativa intelligente e poi della sua traduzione verbale: «ecco di nuovo il sole, hai visto, è tornato». Non si può dire la prima volta, ma si può solo constatarne il ritorno attraverso uno strumento, un medio che è la lingua, che è la parola. Rah, dicevano gli egiziani antichi. Ecco il segno dei raggi del sole che ritornano sulla terra. Questo constatare, tradotto in un dire, è una procedura tecnologica primaria. Solo l’animale che può dire Rah, può conoscere il sole, cioè tradurlo in un segno, e non semplicemente vivere esposto alla sua luce e al suo calore. Dicendo Rah non limitiamo la nostra esperienza alla presenza del semplice ambiente animale. Questo dire indica potenzialmente tutti i luoghi della terra, tutti i mondi possibili oltre che reali e manifesta quello che la filosofia dirà con verità sovrana, ovvero ciò che si impara dalle prime lezioni dedicate a Platone: che conoscere, appunto, è ricordare. Questo momento iniziale di ogni processo di conoscenza, affidato alla tecnologia fondamentale del linguaggio, manifesta al tempo stesso la potenza irrinunciabile e decisiva della parola, ma anche il suo pericolo estremo. L’emozione del momento del riconoscimento si fa parola: posso dire a me stesso e agli altri «è tornato il sole», oppure, per un bambino ancora piccolissimo, «ecco di nuovo la mamma». Così si costituisce la comunità di coloro che riconoscono, che conoscono e che rispondono – le mamme solitamente arrivano. Grande virtù della tecnica primordiale del linguaggio, ma anche suo problema, un problema che coincide in sostanza con il problema stesso dell’uomo. Accade infatti che, un po’ alla volta, noi siamo indotti a scambiare la parola per la cosa. In altri termini: siamo indotti a pensare che la parola contenga in sé l’essenza della cosa. Nella pratica del linguaggio nasce un’attenzione esclusiva al significato che la parola veicola, distogliendolo dal divenire continuo delle esperienze. E poiché la comunicazione verbale ha successo (e quale successo!), ecco prendere piede il tratto di una superstizione fondamentale che assedia gli umani sin dalle loro origini. Comincia, si potrebbe anche dire, il regno della logica e la convinzione che entro la semantica della parola abiti, tutta intera, la verità. Agostino diceva altrimenti, come si sa, ma un sempre più diffuso sapere di parole ha generato una ricorrente superstizione, che arriva a toccare anche l’attuale mentalità scientifica e l’in-


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tera enciclopedia dei saperi. In sostanza, i successi straordinari delle scienze moderne tendono a farci dimenticare il fatto per cui l’efficienza predittiva e pratica dei nostri linguaggi – naturali, matematici, algebrici, sperimentali ecc. – non esauriscono affatto il senso di verità delle nostre esperienze. Sono mirabili mappe per orientare il lavoro della conoscenza, ma appunto sono mappe, da non confondersi con il territorio. È questa confusione la ricorrente superstizione che ci affligge. Essa ci induce a dimenticare quella complessità dell’esperienza che Aristotele indicava con la parola olon, cioè l’intero. Ognuno di noi vive qui, in questo momento, un’esperienza dell’intero. Certo, adesso può anche prendere appunti, può domani raccontarne alcuni passaggi a un altro, può scrivere un testo riassuntivo ecc.: tutte cose legittime e importanti. È infatti importante spezzare analiticamente, algoritmicamente, quello che qui si dice, si ascolta, si prova aderendo o non aderendo, registrando comprensioni e incomprensioni, accordi e disaccordi con le loro motivazioni, e così via. Ma questa analisi non potrà mai neppure lontanamente esaurire l’intero della esperienza che qui ognuno di noi sta vivendo, secondo una complessità che nessuna macchina, né verbale né in qualsiasi altro modo strumentale (pensate alle riprese di molti video), potrà restituire. Ogni istante della nostra esperienza si tira dietro, come una coda di cometa, l’infinita vita del cosmo e la lunghissima storia della nostra umana vicenda sulla terra. Già esprimerci in questo modo non è altro che una traduzione in una mappa di parole e di immagini. In ciò non vi è nulla di male, se però siamo consapevoli e ricordiamo che i nostri segni significativi non sono ovviamente quella vita eterna che è in ognuno di noi. Vita eterna, diciamo, perché non potremmo mai assegnarle un tempo, una tempografia, che sarebbe di nuovo una traduzione in mappe, sia pure raffinatissime ed efficienti per i nostri calcoli. In questo senso espressioni come «un millesimo di secondo dopo il Big Bang» sono certamente il prodotto di un lavoro di osservazione e di calcolo ammirevoli, ma nel contempo, se vengono prese e interpretate alla lettera, cioè secondo una profonda inconsapevolezza filosofica e ingenuità «naturalistica» – come diceva Husserl – sono semplicemente insensate e sintomo di una perfetta bestialità. Sono espressioni che hanno la loro ragion d’essere nel meraviglioso e altissimo lavoro specialistico che è proprio della sperimentazione cosmologica, che però dovrebbe aver chiaro che certamente non è esistito mai nessun istante dopo il Big Bang e che questa stessa espressione, presa alla lettera, cade nella mera superstizione irrazionalistica. Lo stesso è da dire delle frequentissime elucubrazioni relative alle macchine cosiddette intelligenti o macchine che pensano, che sono fantasie e trovate degne dei film di fantascienza, non della serietà del lavoro scientifico. La tecnologia fondamentale che rende umano l’uomo è la parola. Ha detto Heidegger: «è la parola che parla e che mi parla, prima che io possa divenire

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quel soggetto che parla grazie alla parola». Il linguaggio originariamente parla in tutti noi, che certo non inventiamo il linguaggio, ma lo troviamo sempre già vivente e operante prima di ognuno di noi. Parlando non faccio che riattivare un processo infinito che mi ha reso quell’umano che sono. L’infinita storia cosmica, antropologica, sociale e spirituale che è in me come in tutti noi è un bagaglio del quale non possiamo mai fare a meno. In particolare bisogna qui ribadire che neanche le più alte e potenti scienze possono farne a meno. Che cosa credete che accada a Ginevra quando gli scienziati decidono di organizzare un altro scontro di particelle nel sincrociclotrone? Pensate che possano limitarsi a scrivere delle equazioni sulla lavagna? Certamente no. Invece e certamente si siedono intorno a un tavolo e cominciano a parlare, a ragionare, a valutare, a discutere e così via. Di tutti questi discorsi non resterà traccia nel rapporto finale che registra la sperimentazione – sebbene anche questo rapporto non si possa scrivere con formule matematiche soltanto. Ora, che conto facciamo di tutti questi discorsi? Sono forse estranei alla pratica scientifica, non concorrono al lavoro scientifico e, soprattutto, non sono un elemento essenziale e irrinunciabile della verità e del senso dell’esperimento? Le scienze, diceva Aristotele, «ritagliano e studiano specialisticamente un pezzetto dell’intero dell’esperienza; la filosofia guarda l’intero». Questo modo di pensare resta vero ancora oggi, anche se l’intero della nostra esperienza è certamente assai diverso e lontano da quello del tempo dei greci antichi. Il problema è che lo scienziato, come del resto il senso comune di tutti, tende a dimenticare questo intero, a non tenerne conto. Per esempio non si guarda mentre compie le operazioni che compie e dice le cose che dice. Lo scienziato non si osserva, preso interamente come è dal desiderio di tradurre l’esperienza comune in formule, procedure, strumentazioni, esperimenti ecc. Devo aggiungere che anche non pochi filosofi fanno altrettanto. Proclamano le loro ontologie, per esempio sociali o naturali, e non si guardano mentre parlano, come se le loro parole non avessero uno spessore storico, delle eredità implicite, una complessità irriducibile, e fossero invece vetri tersi, soglie neutrali attraverso le quali osservare la pretesa realtà “così com’è” o anche “là fuori”, come amano dire – senza mai chiarire a se stessi e agli altri quale sia il dentro di questo preteso fuori. In tal modo potremmo dire che manca l’istanza socratica, manca la grande domanda che chiedendo che cosa sai o credi di sapere, chiede ancora più in profondità, come per esempio accade all’inizio del Gorgia platonico: chiede «chi sei». Non tutte le culture hanno condiviso o condividono l’istanza socratica. Dobbiamo coltivare una vista larga e comprensiva: ci sono anche altri modi di impostare la questione, anche se la questione è sempre – detto beninteso con le nostre parole, cariche di storia – l’intero di un’esperienza vivente che chiede di essere riconosciuta, spiegata, tradotta, senza però la superstizione


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di credere alla traduzione come se fosse l’originale. L’originale è la vita che transita e non semplicemente la cosa che abbiamo stabilito come segno del suo transito. La vita transita e non è detto che si debba partire dalla domanda socratica del chi sei. Di lì siamo partiti noi o molti di noi. Quello che davvero è importante nel nostro tempo è che la tecnologia straordinariamente potente e invasiva di cui disponiamo solleciti anche una meditazione su chi e che cosa fa l’umanità odierna che fa. La tecnologia nel senso moderno della parola e l’impresa scientifica hanno certamente meriti straordinari, perché modificano profondamente la nostra vita e le nostre idee sul mondo in cui viviamo. Non si può sentirsi e pensare di essere come prima, quando si apprende, senza dubbio possibile, che la nostra madre terra è un minuscolo pianeta entro miliardi e miliardi di galassie. Per quello che sappiamo in Occidente, proprio la filosofia ha particolarmente riflettuto su questo cielo stellato sopra di noi e ancora vi riflette, cercando di evitare fantasmi e superstizioni, e cercando anzi di approfondire il senso del mistero globale che ci circonda ed entro il quale viviamo. Di qui prendono le mosse e le misure quei fondamenti che costituiscono il senso della nostra storicità e delle nostre decisioni attuali, relative a chi vogliamo essere, in quale comunità vogliamo stare e come vogliamo lavorare, secondo collaborazione e giustizia, nella comunità che è oggi sempre più globale. Queste domande la filosofia le affronta alla luce della sua tradizionale serenità, ma anche della sua carità e consapevolezza criticamente tollerante quanto avvertita. Per questo penso che la filosofia non debba morire e che se non lo farà, sarà grazie a voi.

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QUESTO VOLUME, SPROVVISTO DI TALLONCINO A FRONTE (O OPPORTUNAMENTE PUNZONATO O ALTRIMENTI CONTRASSEGNATO), È DA CONSIDERARSI COPIA DI SAGGIO - CAMPIONE GRATUITO, FUORI COMMERCIO (VENDITA E ALTRI ATTI DI DISPOSIZIONE VIETATI: ART. 21, L.D.A.). ESCLUSO DA I.V.A. (DPR 26-10-1972, N.633, ART. 2, 3° COMMA, LETT. D.). ESENTE DA DOCUMENTO DI TRASPORTO.

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Logos e techne. Tecnologia e filosofia Romanae Disputationes 2016-17

La tecnologia appare come ciò a cui tutti oggi poniamo attenzione e, nel bene o nel male, affidiamo in maniera esplicita o implicita le nostre speranze. Essa, infatti, in virtù della sua efficacia e del suo rendimento, realizza molti dei sogni e dei desideri dell’uomo di andare oltre i propri limiti naturali. Ma che rilevanza ha assunto e dovrebbe assumere la tecnologia nei nostri modi di vivere, di pensare, di riflettere su noi stessi? Che rapporto ha essa con la natura e la vita degli esseri viventi? Che rapporto si stabilisce tra sapere e saper fare, tra cultura e tecnica? Proprio per riflettere su questi temi, il Concorso “Romanae Disputationes 2017” si è posto a tema: “Logos e techne. Tecnologia e filosofia”. Il volume cerca di offrire del materiale che consenta, a diversi livelli di approfondimento e da molteplici angolature, di rimeditare il tema della tecnica e di documentare i lavori del Concorso. Per quanto riguarda i contenuti, il libro si compone di tre parti. La prima raccoglie gli interventi di importanti studiosi: Carlo Sini, Roberto Mordacci e Costantino Esposito. La seconda parte raccoglie due riflessioni: una sul Concorso e il tema dell’anno, l’altra sull’argomentare in filosofia. La terza parte, infine, raccoglie i materiali vincitori del Concorso alla due giorni romana, svoltasi il 17-18 marzo 2017, presso la Pontificia Università San Tommaso e riporta l’elenco dei premiati. Marco Ferrari insegna filosofia e storia nei licei. È co-curatore di TEDxYouth@Bologna e direttore della Bottega di Filosofia di Diesse. È ideatore e direttore del Concorso nazionale di filosofia per le superiori Romanae Disputationes e dei webinar di storia e arte contemporanea dell’associazione ToKalOn di cui è vice presidente. Ha pubblicato alcuni contributi sul pensiero di Maurice Merleau-Ponty (2015 e 2016) e ha curato Libertà va cercando. Percorsi di filosofia medievale (Milano-Udine 2017) e, con Gian Paolo Terravecchia, Soggetto e realtà nella filosofia contemporanea. Cinque lezioni (Castel Bolognese [RA] 2014) e i “Quaderni della ricerca” di Loescher 2014, 2015 e 2016 relativi ai percorsi formativi di Romanae Disputationes. Gian Paolo Terravecchia insegna filosofia e storia nei licei. Ha conseguito il PhD in Filosofia presso l’Internationale Akademie für Philosophie e il dottorato di ricerca in filosofia teoretica e pratica presso l’Università di Padova. Si occupa di filosofia sociale (Il legame sociale. Una teoria realista, Napoli 2012) ed è cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova. Con Luciano Floridi ha curato Le parole della filosofia contemporanea (Roma 2009). È coautore di manuali di filosofia e di Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica (Torino 2016). È presidente del comitato didattico del Concorso Romanae Disputationes.

€ 9,00

ISBN 978-88-201-3820-2

3820 LOGOS E TECHNE. TECNOLOGIA E FILOSOFIA

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