Buoni propositi dopo la giornata europea delle lingue

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La Giornata europea delle lingue si è appena conclusa e, dopo la festa, è il momento di riflettere sulla situazione delle lingue in Europa e, soprattutto, su quanto accade normalmente nelle scuole italiane.

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1. L’inglese “lingua mondiale”
Tra i fenomeni più rilevanti degli ultimi decenni si segnala il progressivo riconoscimento della lingua inglese come “lingua mondiale”. L’inglese, infatti, è la sola lingua a essere utilizzata:
– come prima lingua da 400 milioni di persone (i paesi in cui l’inglese è prima lingua sono: Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, parte dei paesi caraibici, ecc.);
– come seconda lingua da 400 milioni di persone (l’inglese è la seconda lingua ufficiale in settanta paesi. Si tratta di regioni ad alto tasso di crescita demografica. Si calcola che presto questo numero si triplicherà nei prossimi anni);
– come lingua straniera da almeno 600 milioni di persone (nei paesi che privilegiano l’inglese come lingua di insegnamento nelle scuole).
Un quarto della popolazione mondiale, nel 2000, parla dunque inglese e, soprattutto, individua nell’inglese una lingua mondiale, capace di superare i confini nazionali. La maggior parte di questa popolazione è concentrata nei paesi sviluppati e nelle aree metropolitane, in cui si concentrano i nodi delle grandi reti di comunicazione: aeroporti, terminali di ferrovie ad alta velocità, ecc.
Quanto la scuola riesce a incidere concretamente sui livelli di competenza in lingua inglese dei nuovi italiani? Siamo certi che coloro che vivono nelle aree rurali o in gruppi sociali che non percepiscono l’importanza dell’inglese come lingua mondiale abbiano la possibilità di accedere all’apprendimento della lingua inglese?

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2. La lingua della politica, degli scambi economici, dei flussi di informazioni e dell’industria dei contenuti
Sono molti i motivi che hanno portato l’inglese a divenire una lingua diffusa a livello mondiale. Intanto, il predominio della lingua inglese è il riflesso di una lunga egemonia politica, tecnologica e economica prima dell’Inghilterra e del Regno Unito e poi degli Stati Uniti d’America.
L’inglese, inoltre, è la “lingua franca” parlata in seno agli organismi internazionali (l’85% delle 12.500 organizzazioni internazionali esistenti utilizza l’inglese). È anche la lingua usata dai manifestanti che, in qualunque parte del mondo, desiderano attirare l’attenzione sulle loro proteste da parte dell’opinione pubblica internazionale. È inoltre la lingua della finanza mondiale, usata per gestire le transazioni economiche e i flussi di capitali e di beni.
La stessa rete internet è nata come mezzo di comunicazione in lingua inglese, allo scopo di collegare tra di loro le principali istituzioni governative e accademiche americane. Il linguaggio usato da internet (netspeak) è in inglese, anche se è da rilevare che l’utilizzo di internet da parte di coloro che parlano lingue diverse dall’inglese è in continuo aumento.
L’inglese, inoltre, è la principale lingua dell’intrattenimento, grazie al predominio esercitato nei rispettivi settori dai film, dalle canzoni e dalle trasmissioni televisive: è la lingua usata per la produzione delle opere dell’ingegno (contenuti) dell’industria cinematografica (circa l’80% dei film distribuiti nella sale cinematografiche del mondo è in lingua inglese), dell’industria discografica e dell’industria radiotelevisiva.
È possibile, ci domandiamo, che ancora oggi si debba far credere ai bambini di tutta Italia che Johnny Depp parli un perfetto italiano come neanche un consumato attore del teatro di prosa italiano?

3. La contaminazione delle lingue
L’inglese è divenuto una lingua a diffusione mondiale, parlata da circa 400 milioni di persone come prima lingua, da 400 milioni come seconda lingua, da 600 milioni come lingua straniera. Il numero dei parlanti nativi è in diminuzione, mentre è in aumento quello di coloro che usano l’inglese come seconda lingua e lingua straniera.
Già adesso è in atto un processo di cambiamento molto interessante per il futuro della lingua inglese, la quale sta perdendo il legame con la cultura d’origine (quella del popolo inglese e della sua letteratura), per dare vita a nuove varietà, caratteristiche di popoli che non sono madrelingua inglese (come, ad esempio, il popolo indiano).
Quando una lingua si diffonde, cambia. Incontrando nuove culture, inventa nuove parole e modifica le regole della sua grammatica. Una lingua si mescola con un’altra, la seconda lingua si lascia contaminare dalla prima lingua, dando origine a nuovi ibridi:
taglish (taglog-inglese),
franglais (francese-inglese),
tex-mex (spagnolo messicano usato in Texas),
japlish (giapponese-inglese),
spanglish (spagnolo-inglese),
chinglish (cinese-inglese).
Tra gli scenari futuri, quindi, i linguisti descrivono la possibilità che i parlanti di madrelingua inglese divengano tridialettali (o triglossici):
– dialetto familiare (l’inglese parlato in famiglia);
– varietà nazionale di inglese (l’inglese della nazione di appartenenza: britannico, americano, australiano…);
– inglese internazionale (la lingua “globale” parlata in contesto sovranazionale).

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L’Italia è nota per la sua politica linguistica fondamentalmente nazionalista, basata sull’affermazione del fiorentino scritto come modello da imitare a scapito delle altre lingue della penisola. In realtà, sappiamo dalla storia della letteratura contemporanea che la migliore poesia italiana è oggi scritta dai cosiddetti poeti neodialettali. Esperti di contaminazione e del plurilinguismo, noi italiani continuiamo a insegnare storia della letteratura italiana fin dalle scuole secondarie di secondo grado e a fondare buona parte dell’insegnamento della lingua italiana sull’apprendimento della grammatica del fiorentino. Speriamo che il nuovo inglese riesca a farci cambiare idea.

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4. Le altre lingue: un mosaico di visioni
La lingua inglese come lingua globale esercita una grande influenza sulle altre lingue. In particolare, contribuisce a modificare il lessico delle lingue che vi entrano in contatto, le quali acquisiscono così nuove parole.
Inoltre, la progressiva diffusione della lingua inglese contribuisce alla diminuzione della diversità linguistica. Si calcola che in questo secolo delle 6000 lingue attualmente parlate nel mondo almeno il 50% sono destinante a scomparire.
L’inglese non è tuttavia la sola lingua in espansione: il cinese, lo spagnolo, l’arabo, il russo e il portoghese stanno aumentando il numero dei parlanti a scapito di altre lingue.
All’origine della scomparsa delle lingue si colloca il fenomeno dell’assimilazione culturale: una popolazione sceglie gradualmente di abbandonare la propria lingua perché i suoi membri adottano nuove abitudini, nuove tradizioni e nuovi stili di vita che comportano l’utilizzo di un’altra lingua, considerata più prestigiosa. L’assimilazione culturale è favorita dai processi di urbanizzazione e di omologazione tipici della società dei consumi.
I successi del mercato dei contenuti (cinema, tv, canzone popolare, ecc.) e la progressiva espansione di alcune lingue dotate di grande riconoscimento sociale, stanno provocando la rapida scomparsa di molte lingue cosiddette minoritarie.
La scomparsa delle lingue riduce la diversità culturale del pianeta, poiché ad ogni lingua corrisponde una specifica e unica visione del mondo.
Difensori della biodiversità del pianeta, siamo pronti ad accettare che ogni lingua e, quindi, ogni persona appartenente a qualsiasi comunità, rappresenta un patrimonio da tutelare?

5. Internet: una casa per tutte le lingue
Secondo alcuni linguisti, la rete internet, nata inizialmente per la condivisione di informazioni e contenuti in lingua inglese, diviene progressivamente sempre più ospitale nei confronti delle altre lingue.
Circa un quarto delle seimila lingue esistenti sono rappresentate su internet, che sta assumendo un profilo sempre più plurilingue.
Internet, quindi, grazie alle sue straordinarie potenzialità comunicative e alle possibilità di pubblicare contenuti generati dagli utenti, rappresenta un’importante risorsa per la salvaguardia di quelle lingue minoritarie che abbiano una tradizione scritta. Molto più a rischio, invece, rimangono le lingue a tradizione esclusivamente orale.
C’è bisogno di questo ulteriore argomento per convincere i politici e i tecnici del MIUR ad aprire a tutte le scuole dell’ormai ex Regno d’Italia l’accesso a internet gratuito e veloce?

 

6. Il valore della diversità linguistica: il plurilingusimo
L’attuale situazione linguistica mondiale vede una lingua egemone, il cosiddetto inglese internazionale, che attraverso la contaminazione con altre lingue sta dando origine a molte varietà di inglese e, allo stesso tempo, con la sua forza di assimilazione, sta contribuendo alla scomparsa di molte lingue in diverse parti del mondo. All’inglese si affiancano inoltre altre lingue in espansione, come lo spagnolo, il cinese, l’arabo, ecc.
A livello locale, nelle diverse parti del mondo le nazioni e gli organismi internazionali cercano di governare la situazione attraverso politiche linguistiche specifiche, che, a seconda dei casi, cercano di tutelare i parlanti le lingue minoritarie e di favorire l’apprendimento dell’inglese come lingua globale o delle altre lingue egemoni.
Da parte dell’Unione Europea, ad esempio, è chiaro l’intento di valorizzare il multilinguismo e il plurilinguismo intesi come altrettante risorse per la crescita di una società pacifica.
Cominciamo dal plurilinguismo, inteso come la capacità della stessa persona di comunicare utilizzando più lingue. Il plurilinguismo non è una cosa rara o eccezionale: esso è semmai la condizione permanente della specie umana. Ciascun essere umano, infatti, è potenzialmente o realmente plurilingue, poiché utilizza una pluralità di lingue o di varietà linguistiche. Tuttavia, è tipico della culture occidentali educare i propri cittadini a riconoscere la validità di una sola lingua nazionale (l’italiano, il francese, l’inglese, ecc.), come se le persone nascessero monolingui. Il monolinguismo, dunque, è una condizione acquisita, mentre il plurilinguismo è la condizione naturale di ciascun essere umano.
Può capitare che una persona si ritenga “monolingue” (ad es. italiana). In realtà, essa ha un repertorio linguistico più ricco e vario, che spazia dalla varietà linguistica parlata in famiglia, alla lingua parlata nella comunità (il dialetto del paese o della città), alla lingua dei mezzi di comunicazione (la lingua nazionale, diversamente usata a seconda del tipo di trasmissione), alla lingua della scuola.
Prendere consapevolezza del proprio plurilinguismo è un primo passo verso il riconoscimento della complessità e della ricchezza dell’ambiente in cui si vive e, quindi, verso la promozione di ambienti favorevoli alle lingue: ambienti sociali aperti al cambiamento e al dialogo, disponibili all’ascolto e alla mediazione.

7. Promuovere il multilinguismo: uniti nella diversità
L’Unione Europea è un organismo internazionale che si è posto fin dal principio il problema della tutela delle lingue e del loro migliore utilizzo al fine di facilitare la comprensione reciproca tra i cittadini dei differenti stati nazionali.
Il motto dell’Unione Europea è “Unita nella diversità”. Esso sta ad indicare che, attraverso l’Unione europea, gli europei operano unitamente per la pace e la prosperità e che le molte e diverse culture, tradizioni e lingue presenti in Europa costituiscono la ricchezza del continente.
L’UE, quindi, nel mondo globalizzato in cui domina la tendenza all’omologazione linguistica, non può accettare l’idea di una sola lingua franca (l’inglese) e cerca di favorire la salvaguardia delle cosiddette lingue minoritarie (ad esempio, in Italia esistono dodici lingue minoritarie riconosciute: albanese, greca, franco-provenzale, sarda, tedesca, ecc.) e l’apprendimento delle lingue nazionali dei paesi confinanti, in modo da favorire la reciproca conoscenza tra popoli che storicamente hanno avuto rapporti conflittuali. Gli italiani, quindi, dovrebbero imparare il francese, il tedesco, lo sloveno, e probabilmente, per altri motivi, anche il somalo e l’amarico, ma sarebbe una storia troppo lunga. Per adesso accontentiamoci di accettare la nostra “creolitudine” : sarebbe un passo avanti verso quell’Europa pacificamente e gioiosamente confusa che noi letterati amiamo immaginare in contrasto con l’Europa triste e ringhiosa della finanza e della politica.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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