L’Omero “scolastico” di Quintiliano

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Note a margine della Seconda Prova di Latino dell’Esame di Stato.

Note a margine della Seconda Prova di Latino dell’Esame di Stato.

plutNon entrerò nel merito sintattico e grammaticale delle Seconda Prova dell’Esame di Stato del Liceo Classico – cioè la versione di Latino Quintiliano, Istitutio oratoria, X, 1, 46 Omero maestro di eloquenza – perché già in molti l’hanno fatto. Potrebbe essere non inutile però, ad uso dei ragazzi che si apprestano a sostenere l’orale (quando verrà sottoposto loro il più o meno brillante esito della traduzione…), qualche elemento di contestualizzazione.
Va anzitutto ricordato come l’Istitutio oratoria sia un robusto manuale per docenti e studenti, finalizzato alla creazione di un opportuno percorso didattico per un futuro “perfetto oratore”. In particolare il X libro contiene un ampio excursus storico-letterario, dove l’autore, volendo fornire dei suggerimenti sulle letture scolastiche da fare e sugli autori da imitare, esamina le opere dei maggiori scrittori greci e latini esprimendo interessanti giudizi critici. D’altronde la versione in esame dice: Sed nunc genera ipsa lectionum, quae praecipue convenire intendentibus ut oratores fiant existimem, persequor. Il fine di Quintiliano è quello di dimostrare che la cultura latina è in grado di reggere il confronto con quella greca, valorizzando soprattutto quegli autori “nostrani” le cui forme espressive sono armoniose ed equilibrate, come Cicerone o Virgilio.
Eppure il passo d’Esame parla di Omero, autore greco comunque ben noto agli studenti romani; e non solo perché quelli che accedevano ai gradi di istruzione superiore (la schola rhetoris) sapevano il greco, ma anche perché Omero era il modello cui Livio Andronico, Ennio e Virgilio – evergreen della scuola romana – palesemente si ispiravano. E poi Quintiliano, esperto pedagogo e professore “militante”, sapeva benissimo cosa significasse Omero – ancora ai tempi suoi – per la scuola e la civiltà greca, che era ormai parte integrante dell’impero. E lo sappiamo anche noi, poiché da una serie di documenti papiracei si capisce bene il ruolo preminente di Omero nell’educazione alla lettura nel mondo greco. Ciò è vero nonostante l’indubbia difficoltà linguistica col testo omerico dei giovani greci, i quali si servivano di veri e propri proto-vocabolari per “tradurre” le parole più oscure dell’epica in quelle di una lingua più contemporanea.

 

omero_louvreOmero era, in un certo senso, venerato nelle scuole greche: troviamo infatti – scritta da un alunno in una lezione scolastica – una frase come Omero non è un uomo, è un dio (Journal of Hellenic Studies, 1893, p. 296). E sappiamo pure che gli studenti greci memorizzavano a scuola i nomi degli eroi epici, privilegiando i brillanti versi  dell’Iliade su quelli dell’Odissea, ritenuta invece opera più filosofica. Altra testimonianza interessante in tal senso è quella di un papiro di  Ossirinco dove un precettore informa, con orgoglio,  la madre di un ragazzo che costui ora studia il VI libro dell’Iliade (P. Oxy, 930, 15).
L’Omero proposto da Quintiliano ai futuri oratori di Roma ha perso però la dimensione “identitaria” propria del mondo ellenofono. Inoltre i suoi poemi sono ormai lontani da quella funzione di “enciclopedia tribale” di cui ha scritto il grande Eric A. Havelock, per diventare una sorta di “enciclopedia” di topica retorica, che Quintiliano sintetizza con scrupolosa attenzione. Omero eccelle infatti in magnis rebus ma anche in parvis, ed è in grado di dare esempio di ogni livello di stile o di coinvolgimento emotivo. Il futuro avvocato o uomo pubblico potrà inoltre imparare da lui laudes, exhortationes, consolationes, ma soprattutto lo emulerà nel descrivere liti o contese come quelle che leggiamo libri I e IX dell’Iliade: d’altronde non sono queste – le liti e le contese – il “pane quotidiano” del foro o del senato?  E i proemi omerici? Perfetti, una sorta di modello codificabile per “preparare” l’uditore all’ascolto: anche il futuro oratore, infatti, al pari del grande poeta dovrà rendere subito il suo uditore benivolum… intentum… e docilem. E come il lettore omerico accetterà di buon grado il pathos della morte di Patroclo (Iliade, XVI, v. 783 ss) o la ripetitività bellica dello scontro tra Cureti ed Etoli (Iliade, IX, v. 5, 29 ss), così l’oratore latino dovrà farsi ascoltare e accettare senza se e senza ma dal suo pubblico, qualunque cosa dirà.
Ma lo sentite il nostro Quintiliano? Capite il limite del suo ingenuo (o comunque un po’ troppo cieco, altro che il cieco Omero…) entusiasmo verso le letture scolastiche? Prima ci trasforma il grande Omero in un manuale per futuri avvocati, poi pensa che il buon allievo si “omerizzi” in fretta, mettendo a frutto nella sua futura ars oratoria le competenze maturate nel leggere l’epica… Insomma, diciamola tutta: Quintiliano ha molti dei difetti della categoria alla quale chi scrive appartiene, cioè quella dei professori, e in primis quello di illudersi che la scuola possa essere davvero la prima e più valida (o forse la sola) “palestra di vita”.
Un avviso – però – agli studenti che si apprestano agli orali: usate pure, se necessario, tutte le informazioni che vi ho dato, ma evitate di insistere troppo su quest’ultima, perché a “noi prof” – già provati dal caldo e dalla correzione degli scritti – dispiace se “sbugiardate” i difetti dei nostri colleghi di duemila anni fa. Anzi, se le cose si mettono male nel colloquio, date retta a Quintiliano e “omerizzatevi” un po’ anche voi,  invocando la risposta giusta con un bel Cantami o Musa… Chissà se anche il commissario di turno diverrà benivolum… docilem… e un po’ meno intentum?

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