L’utile inutilità del latino

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Esistono nel sistema educativo italiano alcuni “grandi malati”. Malati cronici, che – evidentemente – hanno però una fibra tanto robusta da resistere (per ora) ai batteri che li attaccano da ogni parte… Si tratta, fuor di metafora, del liceo classico e dei suoi inseparabili amici greco e latino; e tra questi mi pare che il più bisognoso di farmaci (soprattutto antidepressivi) sia proprio il latino, che – insegnato in passato nei licei classici, scientifici e negli istituiti magistrali come disciplina formativa quant’altra mai – sopravvive oggi in forme di progressiva emarginazione.

È una sorta di nobile decaduto che ogni tanto rialza la testa, mostra i suoi titoli e le sue medaglie, ma che sempre meno riscuote consenso tra la pubblica opinione, fatta ormai per lo più di tanti Renzo Tramaglino con in bocca la celebre frase: Che vuol ch’io faccia del suo latinorum? 

L’attenzione verso il liceo classico in calo di iscrizioni, argomento sul quale ho già scritto, ha prodotto di recente numerosi seminari e convegni (io ho presenziato a molti di questi), e addirittura il dibattito sull’importanza formativa o meno di questo liceo occupa da settimane molte pagine del Domenicale del «Sole 24 ore», che ha ospitato interventi di diversa opinione e differente incisività: alcuni interessanti, altri cervellotici, altri eccessivamente generici, che danno comunque l’impressione che ormai il primario, preoccupato per la salute del paziente (o dei pazienti), abbia deciso di sentire il parere di tutti gli specialisti (o presunti tali) presenti in ospedale. Tra i più stimolanti senza dubbio gli articoli di Nicola Gardini, docente di Letteratura Italiana e Comparata all’Università di Oxford, nonché stimato poeta, narratore e traduttore; interventi che chi scrive magari non condivide in toto (questa non è però la sede per parlare di dettagli, anche se importanti, come la diversa opinione sulla “revisione” delle Prove d’Esame di Stato), ma che denotano comunque un appassionato tentativo di ribadire la dignità e l’importanza degli studi classici, e massime del latino.

Ed è proprio a Nicola Gardini che volevo arrivare, e al suo bel libro Viva il latino. Storia e bellezza di una lingua inutile, Garzanti, Milano 2016, che – tra l’altro – è stato a lungo ai vertici (o quasi) delle classifiche librarie estive nella sezione saggistica.

Gardini si spoglia in questo volume dell’aura professorale per attraversare i maggiori autori della latinità, tra i quali Cesare, Catullo, Cicerone, Lucrezio, Virgilio, Ovidio, Orazio, Livio, Seneca, Petronio, Tacito, Apuleio, i cristiani… con lo spirito soprattutto del lettore. Un lettore raffinato, che propone bellissime traduzioni originali, capaci di coniugare l’aderenza al testo antico con la necessità di una limpida resa in lingua italiana; e che suggerisce per ciascun autore alcune immediate chiavi di lettura e fruizione, adatte sia a chi il latino lo bazzica da anni sia a chi non l’ha più degnato d’attenzione dai tempi del liceo.

Alcuni spunti brillanti (come la “geometricità” della prosa di Cesare, la polisemia del termine umbra nelle Bucoliche virgiliane, le “parolacce” di Catullo, la grandezza di Tacito “interprete” del potere, gli echi di Petronio e Apuleio nella letteratura moderna, le immaginose metafore di Sant’Agostino etc.) contribuiranno di certo – agli occhi di molti lettori – a togliere un po’ di polvere dall’uniforme malconcia di quel nobile decaduto e malaticcio di cui abbiamo parlato.

Allo stesso modo altre riflessioni – ad esempio quelle su utilità/inutilità del latino – potranno aiutare tutti a fare un po’ di chiarezza sul senso dell’insegnamento scolastico e dell’approccio intellettuale a questa lingua, che non può essere un puro esercizio grammaticale, una “ginnastica mentale” (quante volte abbiamo sentito questa sciocchezza!) da Settimana Enigmistica, ma l’avvicinamento a un mondo “bello” e “vivo” come quello della letteratura e cultura che incarna. “Bello” d’accordo…, ma perché anche “vivo”, potrebbe obiettare qualcuno? L’esempio fatto dall’autore, quello di Machiavelli che scrive l’opera più innovativa della politica moderna (Il principe) dopo essersi religiosamente nutrito della “vivacità” dei classici latini, è davvero illuminante; forse ancora più dell’accenno a Dante che scrive la Commedia sulla scia di Virgilio…

Insomma, basta davvero con la funerea immagine di “lingua morta”, dice Gardini, “perché la letteratura è vita, non morte, ed è viva perché genera in risposta altra scrittura, che durerà, e anche perché esistono i lettori, perché esiste l’interpretazione, che è un dialogo tra scrittura e pensiero, un dialogo tra i secoli” (p. 216). Mi piacerebbe proprio che questo costante accenno alla vita allunghi anche quella del nostro nobile decaduto, e magari gli riconsegni un po’ del perduto prestigio…

Consiglio vivamente, dunque, la lettura di questo libro; un libro nel quale ho trovato anche qualche “brandello” della mia giovinezza, poiché l’autore ha frequentato la “Statale” di Milano pochi anni dopo di me, e dunque nomina professori o situazioni che hanno segnato la vita di quelli della mia generazione. Sarà anche per questa comune formazione culturale che – su molte cose – ho trovato nelle parole di Gardini una consonanza con quello che penso, dico e scrivo da anni; su una sola cosa non è riuscito a persuadermi, e cioè ad amare Seneca, che egli afferma essere un autore che può “aiutare a vivere”. Quando lo leggo, infatti, non riesco a non pensare alla sua complicità con le malefatte di Nerone (matricidio compreso), e tutti i suoi suggerimenti etici mi paiono falsi e artificiosi, quasi come il suo teatrale suicidio… Eppure anche questo ci fa capire come la letteratura latina sia qualcosa di vivo, dialogante, davvero in grado di fare irruzione nel nostro mondo, ma anche di catapultarci in un mondo lontano; sì, io (come molti altri) Seneca l’ho visto davvero – attraverso il racconto di Tacito – confabulare con Afranio Burro, farsi proteggere da Agrippina e poi tollerarne l’omicidio, inginocchiarsi davanti al capriccioso Nerone: come potrei disgiungere le sue parole da tutto ciò? Ma adesso basta davvero, perché rischio il pubblico linciaggio; infatti so di essere in decisa minoranza, poiché la schiera dei fan di Seneca (soprattutto tra le colleghe) è davvero lunghissima!

P.S. mentre scrivo questo articolo apprendo che è appena uscito un nuovo libro del filologo Ivano Dionigi, dal titolo Il presente non basta. La lezione del latino, Mondadori, Milano 2016. L’urgenza di salvare il malato ha messo in campo davvero tutti! Appena l’avrò letto ne parlerò senz’altro su queste colonne.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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