“L’altra isola” di Lorenzo Nguyen

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Essere scrittori si può. È sufficiente: 1. avere qualcosa da raccontare; 2. conoscere gli argomenti di cui si parla; 3. avere consapevolezza dei propri mezzi; 4. saper scrivere; 5. saper accettare i consigli.

“Essere scrittori” non significa necessariamente, però, essere grandi scrittori.
Per questo occorre fare un passo in più. Lungo, lunghissimo: avere un’idea della letteratura e del suo ruolo nel mondo.
Non accade spesso di incontrare grandi scrittori.
Quando succede, però, ci si sente fortunati e gratificati.
Soprattutto se il “grande” ha 15 anni.

Domenica 11 maggio, al Salone del libro di Torino, è stato presentato Un’altra isola, il romanzo di Lorenzo Nguyen, giovane torinese che racconta il racconto di suo padre, profugo vietnamita: uno dei tanti boat people fuggito dal suo Paese su un barcone e salvato dalla marina italiana nel luglio del 1979.

“Quando nella tua terra non hai più futuro, devi fuggire!”.
Questo il messaggio conclusivo, mi sembra. Un messaggio forte che sottintende, ma neanche tanto, una verità basilare: al futuro abbiamo diritto, tutti.
Lorenzo è timido e preciso, come spesso sono i timidi.
Risponde a tutte le domande con proprietà di linguaggio e di pensiero. Non si atteggia, non ha pose da scrittore. Nemmeno sa se vuole davvero diventarlo, uno scrittore, ma propende per il no.

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Ha raccontato perché questo gli hanno chiesto a scuola (era un compito estivo, rivela, mentre la sua professoressa annuisce, sorridendo). Poi la cosa è cresciuta, ma senza intenzione davvero letteraria, insiste. È stato un caso e una fortuna, dice convinto, che una casa editrice abbia voluto pubblicare il suo racconto…
Un caso e una fortuna, infatti. Soprattutto per noi, che abbiamo avuto il privilegio di lavorare con un giovane scrittore che conosce la lingua e la usa con rigore matematico e gusto estetico, e consapevolezza e ingenuo stupore.
E con un’idea della funzione del gesto compiuto: testimonianza e riflessione.
In un mondo che troppo spesso rifiuta all’Altro il diritto al futuro e alla felicità, il racconto d’avventura di quel padre bambino affidato ai barconi traballanti diventa domanda inquieta sul tempo presente: altra gente va per mare, altre pestilenze negano il futuro a troppe persone. Eppure, “quando si va per mare, se il mare è mosso, i barconi affondano e le persone muoiono”. Perché lo si permette?

Qui il video completo della presentazione al Salone del libro.

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Sandro Invidia

Direttore editoriale Loescher.

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