L’e-book e lo scrittore

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Un saggio nato per la carta che diventa e-book nel 2000, agli albori del digitale italiano. Dieci anni dopo, una novella concepita per la lettura digitale. Nel mezzo rimane l’impossibilità di inserire una pagina bianca, nell’attesa di una rivoluzione che non è ancora avvenuta.

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Da qualche parte, nei recessi di un portatile in disuso, dovrebbero ancora esserci le tracce del mio primo libro apparso in edizione elettronica. Era il 2000, qualcosa non era successo e qualcos’altro invece sì. L’atto mancato era il famigerato Millennium Bug, che secondo i catastrofisti di fine XX secolo avrebbe reso inservibile il patrimonio digitale fin lì accumulato. Previsione errata, come sappiamo, e rinnovata fiducia nel progresso informatico, che in quel momento aveva in Bill Gates il suo principale propagandista. Non a caso sempre nel 2000, e per l’esattezza l’8 agosto, Microsoft lanciava Reader, il programma che permetteva di leggere libri elettronici direttamente sul computer. Ed è a questo punto che la macrostoria dei new media si intreccia con il mio modesto destino di autore.
Il libro si intitolava Citazioni pericolose, era stato pubblicato da Fazi e, per essere un saggio, non se la stava neppure cavando male. Era un tentativo di spiegare come mai nel cinema di quegli anni – e in molta narrativa popolare, da Stephen King in giù – accadesse sempre più spesso che la letteratura rivestisse un ruolo tanto minaccioso. Se ricordate le sanguinarie sciarade del serial killer in Seven avete capito di che cosa stiamo parlando. Era, in un certo senso, un libro sui libri, il che lo rendeva particolarmente adatto all’esperimento che l’editore aveva in mente: cercare una strada italiana per l’e-book.

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Quello che succede nel 2000 è, in breve, che Citazioni pericolose viene reso disponibile anche in formato digitale. Io stesso installo Microsoft Reader e scarico il testo che, secondo le politiche distributive dell’epoca, può risiedere su un numero molto limitato di apparecchi. Per qualche ora mi soffermo ad apprezzare la nitidezza dei caratteri, la pulizia dell’impaginato, la comodità di effettuare ricerche rapide ed efficaci. Ricordo di aver pensato con una punta di rammarico alla fatica impiegata nella redazione dell’indice analitico, ma era stata una constatazione passeggera. Come passeggera, in quel momento, sembrava l’infatuazione per l’e-book. Anche perché i dispositivi “dedicati” erano ancora merce rara e qualcuno sosteneva, in tutta serietà, che il display di un palmare fosse un supporto di lettura più che sufficiente. La materia ha continuato a interessarmi, anche dal punto di vista professionale (come giornalista mi occupo spesso di scenari editoriali). Ma fino al 2010 non mi ha più riguardato in maniera immediata.
Nel frattempo la tecnologia si era perfezionata, Amazon e il suo Kindle avevano reso abbordabile l’acquisto di un e-reader, nei Paesi di lingua inglese gli e-book avevano iniziato a conquistare quote di mercato sempre più sostanziose. E in Italia? In Italia era nata BookRepublic, una piattaforma indipendente che non solo distribuisce in digitale il catalogo di diversi editori, ma ha anche creato una sua sigla, 40k, destinata alla pubblicazione di inediti. Me ne parlò Giuseppe Granieri, uno dei più ascoltati media guru nostrani, allora impegnato a reclutare autori per il progetto. Mi invitò a partecipare e io accettai, spinto anzitutto dal desiderio di mettermi alla prova sulla misura – che mi ha sempre affascinato – della novella. A 40k non si accontentavano di un racconto, né erano interessati a narrazioni troppo estese. Ritenevano, giustamente, che il lettore digitale fosse attratto da una lunghezza intermedia, la stessa che in seguito è stata adottata dai Kindle Singles. A stampa equivale a un testo fra le 40 e le 60 cartelle: è quella che gli anglosassoni chiamano novelette.
Oltre alle caratteristiche del formato, ero attratto dalla prospettiva di scrivere un racconto destinato direttamente alla diffusione digitale. Sia pure con una certa lentezza, anche in Italia si stava diffondendo la prassi di proporre in e-book le novità editoriali, come se all’hardcover venisse affiancata una sottospecie di tascabile virtuale (forse un tascabile troppo costoso, ma questo sarebbe un altro discorso). Contemporaneamente si affacciava la convinzione del libro elettronico inteso come terra promessa del self publishing, risorsa non disprezzabile in assoluto e tuttavia meno significativa rispetto alla sfida di un’editoria digital first, con tutte le caratteristiche di rischio d’impresa, distribuzione e ufficio stampa fin lì esclusive del cartaceo.

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Nacque così Il Deposito, una novella che, come già era stato per Citazioni pericolose, si poteva leggere come un libro sui libri. O, se preferite, come un e-book sugli e-book. Nella mia storia si immagina infatti che, in un futuro non troppo lontano, i volumi tradizionali siano considerati poco igienici e, di conseguenza, ammassati in enormi magazzini solo in parte accessibili al pubblico. I libri non sono proibiti, anzi – nonostante la conclamata vittoria degli e-book – ciascun cittadino può possederne una certa quantità, che però dev’essere custodita in una particolare libreria, progettata in modo da prevenire il contagio derivante da acari e polveri. Nel “Deposito”, si capisce, la situazione è completamente diversa: tomi e opuscoli si affastellano gli uni sugli altri, dando luogo a una geografia surreale, che può richiamare di volta in volta le geometrie di Escher o le fantasmagorie dell’Arcimboldi.
Scrivere Il Deposito è stata per me un’esperienza molto istruttiva, e non soltanto perché mi ha insegnato a diffidare delle classifiche (per un paio di giorni il mio titolo fu il best seller di BookRepublic e questo probabilmente aiuta a definire quali fossero in quel momento le dimensioni del fenomeno). Lavorando alla mia novelette digitale ho avuto l’opportunità di intuire come, allo stato attuale, l’e-book non presenti per uno scrittore alcuna reale differenza rispetto alla pubblicazione su carta.

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A voler essere onesti, bisognerebbe semmai ammettere che certi espedienti tranquillamente praticabili per via tradizionale (inserire una pagina bianca come cesura nel racconto, per esempio) sono pressoché improponibili in sede digitale. Pur sapendo che il suo testo diventerà un e-book, insomma, uno scrittore lavora sempre allo stesso modo. Ci troviamo in una fase simile agli esordi del cinema, quando in buona sostanza ci si limitava a stupire gli spettatori con una sorta di teatro filmato. Poi, per tentativi ed errori, il cinema è diventato cinema, e cioè qualcosa di completamente diverso rispetto al teatro.
In letteratura un balzo del genere non si è ancora verificato, nonostante se ne discuta da oltre vent’anni. In gran parte dimenticato anche dagli addetti ai lavori, il dibattito sull’ipertesto ha segnato in modo determinante l’inizio degli anni Novanta. Non producendo capolavori, d’accordo, ma incidendo con forza sulla mentalità degli autori. Adesso la riflessione si è spostata sulla cosiddetta enanched literature, la “letteratura arricchita” (di immagini, suoni, filmati, animazioni eccetera) di cui si possono apprezzare solo sporadici esperimenti.
Fino a quando l’e-book non troverà il suo Ejzenstejn, o magari il suo Meliès, sarà essenzialmente un ottimo sistema per mettere al sicuro il catalogo o, in alternativa, per sostituire le venerande plaquette in termini di raffinatezza e curiosità. Non male, se si considera che gli scrittori amano le plaquette, ma sotto sotto è al catalogo che puntano.

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Alessandro Zaccuri

Autore di saggi e romanzi. Tra questi ultimi ricordiamo Milano, la città di nessuno (L’Ancora del Mediterraneo, 2003, premio Biella 2004), Il signor figlio (Mondadori, 2007, premio Selezione Campiello) e Dopo il miracolo (Mondadori, 2012, premi Basilicata e Frignano). Scrive sul quotidiano “Avvenire”.

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