Convergenze #5 – Macrostoria, microstoria, ministoria

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Esistono la macrostoria, la microstoria, ma anche quella che si può chiamare la ministoria, cioè la riduzione della storia ad aneddotica comica e banale, il rovescio grottesco della storia. Vi racconto una vicenda esemplare.

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Qualche tempo fa un giovanissimo storico tedesco, Gleb Albert dell’università di Bielefeld, ha ritrovato negli archivi militari di Mosca un pacco di lettere indirizzate, tramite il segretario Michail Glasman, a Lev Trockij. In quel periodo Trockij era ministro della Difesa, fondatore e capo dell’Armata rossa e incarnava le speranze della rivoluzione, ma, come si sa, isolamento internazionale e burocratizzazione del partito stavano trasformando la situazione e imponendo un’evoluzione su cui Lenin, che pure era consapevole del pericolo ma, ormai molto malato, non era più in grado di intervenire (macrostoria).
Nel paese regnavano molte speranze, che la rivoluzione aveva risvegliato, ma anche molte angosce, che si erano impossessate di tanti cittadini, in seguito a conflitti, sofferenze, soprusi e ingiustizie subiti durante gli anni della guerra mondiale e della guerra civile.

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Le lettere ritrovate da Albert (molte migliaia), raccontano molte di queste vicende personali, da parte di gente disperata che spera nell’aiuto di Trockij, il grande uomo che può cambiare il loro destino (tante microstorie). Il vecchio Schmil Stein, un contadino analfabeta, ha perso il figlio negli avvenimenti drammatici della rivoluzione, ucciso senza nessuna sua colpa, e ora lui e l’unica figlia rimasta vivono nella penuria e nella miseria: ora ha chiesto a una vicina di scrivere la lettera ed è pronto a fare il lungo viaggio fino a Mosca, a piedi – per fortuna la vicina gli ha regalato un paio di scarpe – per consegnare personalmente la sua richiesta d’aiuto a Trockij.
La contadina Alexandra Anufrijeva protesta perché i soldati dell’armata rossa hanno rubato la sua mucca da latte, unico possesso e fonte di sostentamento della famiglia; il marito e i bambini sono stati minacciati con le armi, in piena notte, proprio da quelli che dovevano portare la giustizia nella Russia post-zarista.
La soldatessa dell’Armata rossa Nadja Bogomolova, dopo anni di impegno a combattere e a insegnare ai commilitoni i principi della Rivoluzione, dichiara che continua a portare alta la bandiera rossa per le strade e i mercati di Mosca, ma confessa la sua delusione e il suo scoraggiamento. Rosa Spieß, la padrona della pensione di Vienna, che ha ospitato la famiglia Trockij al tempo dell’esilio e tante volte ha evitato di pretendere la riscossione dell’affitto, manda al grand’uomo le sue congratulazioni per la carica prestigiosa ottenuta e chiede la sua intercessioni in favore di un nipote, che molto volentieri andrebbe a lavorare nell’Unione sovietica.
Una donna australiana, Harriet Frances Powell, che nel suo paese è una militante del movimento operaio, scrive perché sta cercando disperatamente il suo uomo, che risulta scomparso nel vortice della Rivoluzione. Lei suppone che lui si trovi in Germania, sul «fronte decisivo». È un eccellente ingegnere. Spera che la squadra di Trockij riesca a rintracciarlo. Lei pensa che l’uomo, per le sue straordinarie capacità nella strategia e nella tattica, e per le sue doti di leader militare si trovi in una regione occupata dai francesi. È molto probabile che lui si trovi lì, per salvare la popolazione tedesca. Lei in ogni caso si propone di venire in Russia e in Germania, dove penso che potrebbe essere utile alla causa.

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Un altro scrivente, il marinaio tedesco Willi Sommer ricorda nella sua lettera che nel 1917 è stato internato dall’esercito britannico a Amherst in Canada e che in quell’occasione ha diviso il suo destino con quello di Trockij, suo vicino di letto; gli manda una sua fotografia in uniforme militare e gli fa sapere che ormai, a causa del carcere, della disoccupazione e dell’inflazione lui e la sua famiglia sono in ristrettezze gravissime. Gli ricorda le riunioni in cui il compagno russo aveva raccontato della rivoluzione nel suo paese e aveva spiegato i principi del comunismo. Invoca l’esportazione della rivoluzione in Germania. Lo storico Albert, dopo il ritrovamento dei documenti negli archivi russi, ha mostrato le lettere alla regista Yuri Birte Anderson, che ha intuito le potenzialità teatrali di tante vicende drammatiche e ne ha ricavato un efficace spettacolo, che è andato in scena nel teatro-laboratorio di Bielefeld il 14 marzo di quest’anno: nessuna intenzione di sminuire il significato della Rivoluzione, ma volontà di rievocare un’atmosfera sociale molto tormentata e piena di contraddizioni. Come ha detto la regista in un’intervista, «le lettere sono testimonianze dirette del processo post-rivoluzionario, delle idee, dei sogni, delle speranze, delle esigenze, talvolta dei desideri degli uomini del tempo, della loro domanda: bene la rivoluzione, e ora? Per cosa ho combattuto? Come posso realizzare i miei sogni?». Nella resa teatrale della regista Anderson, si vede al centro della scena il segretario Glasman, che riceve le lettere e le classifica, riponendole in vari scomparti, ma alla fine rinuncia a consegnarle al destinatario, perfettamente consapevole di quanto poco potere sia rimasto a Trockij, e anche a se stesso.

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Tra le lettere ne spuntano due (e qui si cade nella ministoria), che virano verso il grottesco. Il professore viennese di etnologia Friedrich S. Krauss scrive ricordando a Trockij le partite a scacchi che hanno giocato insieme nel Café Zentral della sua città, comunica che sta scrivendo un libro intitolato Scorribanda nel mondo della bellezza femminile, una raccolta di ritratti fotografici di belle donne di tutto il mondo, e chiede di ricevere 100-200 lastre fotografiche con ritratti di bellissime donne russe, da aggiungere alla collezione. Un’altra lettera è stata inviata a Glasman il 7 giugno 1923 dal Laboratorio Nestlé per la ricerca sui capelli di New York: «Caro signore, questo istituto ha promosso una ricerca scientifica per stabilire la qualità dei capelli dei principali leader della politica mondiale e volendo evitare di disturbare la sua eccellenza, il ministro, mi prendo la libertà di rivolgermi a lei con la richiesta seguente. Sarebbe possibile per lei ottenere dall’onorevole ministro un piccolo campione dei suoi capelli? Siccome i nostri appositi strumenti sono predisposti per capelli lunghi tre pollici [7 centimetri e mezzo] può essere consigliabile usare uno dei capelli che cadono nell’atto del pettinarsi, visto che un capello preso nella sua interezza ha appunto quella misura. Le assicuro che l’accettazione della nostra richiesta non serve a nessun altro scopo so non quello sopra menzionato e verrà molto apprezzato da quel punto di vista».
Una forza irrimediabile e assurda muove la ministoria: quella che porta a spaccare ogni capello in quattro.

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Remo Ceserani

(Soresina, 1933 – Viareggio 2016), allievo di Mario Fubini a Milano, si è perfezionato alla Yale University con René Wellek. Ha insegnato a Bologna, Milano, Pisa, Genova e in università statunitensi e australiane. Si è occupato di teoria della letteratura, di letterature comparate del Rinascimento e dell’età moderna e di storia della critica. Tra i suoi scritti ricordiamo Raccontare la letteratura, Bollati Boringhieri, Torino 1990, Raccontare il postmoderno, Bollati Boringhieri, Torino 1997, Guida allo studio della letteratura, Laterza, Roma-Bari 1999, Il testo narrativo: istruzioni per la lettura e l’interpretazione, il Mulino, Bologna 2005, con Andrea Bernardelli, Il testo poetico, il Mulino, Bologna 2005, Convergenze: gli strumenti letterari e le altre discipline, Bruno Mondadori, Milano 2010, La letteratura nell’età globale, il Mulino, Bologna 2012, con Giuliana Benvenuti, Treni di carta, Bollati Boringhieri, Torino 2002, L’occhio della medusa: fotografia e letteratura, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Ha fatto parte del comitato direttivo de «L’asino d’oro» e ha collaborato al «Giornale storico della letteratura italiana», a «Belfagor», a «L’Indice» e a «il manifesto».

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