Convergenze #2 – Letteratura e medicina

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I rapporti fra letteratura e medicina si sono fatti, negli ultimi tempi, sempre più intensi. Mi è capitato, parlando di questo argomento nel libro Convergenze (Milano, Bruno Mondadori, 2010) di ricordare la battuta di uno studioso belga-australiano, Simon Leys: «A pensarci bene, dovendo scegliere fra due dottori che avessero un’uguale qualificazione medica, credo che preferirei fidarmi di quello che abbia letto Čechov».

In quel libro ho parlato delle iniziative di alcuni medici, soprattutto negli Stati Uniti, che testimoniano il loro interesse per la letteratura, per i linguaggi simbolici e per la retorica: insegnamenti di letteratura nelle facoltà universitarie; riviste specializzate come «Literature and Medicine»; incoraggiamento ai futuri medici perché si facciano una buona cultura umanistica e usino i personaggi dei romanzi per capire, interpretare e raccontare la psicologia dei malati; introduzione negli ospedali, accanto alla «cartella clinica» di quella che una specialista, Rita Charon, ha chiamato «cartella parallela», con la storia personale del paziente.

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Nessuno finora aveva, a quanto ne so, avuto l’ardimento e l’improntitudine (ma anche il sufficiente distacco ironico) che hanno avuto due giovani scrittrici inglesi, inventando la «biblioterapia» e scrivendo un libro intitolato The Novel Cure. An A-Z Literary Remedies (Canongate, Edinburgo-Londra 2013) [il libro è stato tradotto in italiano da Roberto Serrai per Sellerio ed è uscito con il titolo Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno, N.d.R.].
Le autrici, già compagne di studi nell’università di Cambridge, sono Ella Berthoud, che vive nel Sussex e ha talenti letterari e pittorici, e Susan Elderkin, che vive un po’ nel Somerset un po’ a New York ed è autrice di due romanzi, il primo dei quali è uscito anche in italiano da Mondadori e sta per diventare un film: Tramonto sulle Chocolate Mountains. Insieme hanno fondato, nel 2007, una «Scuola della vita», che a Londra offre assistenza, lezioni e corsi su argomenti come «terapia yoga», «restare calmi», «aver fiducia in sé stessi», «far durare l’amore» (molte lezioni postate su YouTube).

Il libro, che è organizzato come una piccola enciclopedia in ordine alfabetico, non fa distinzioni fra dolori fisici e dolori psicologici, «gambe rotte» e «cuori infranti» (anche se tende a privilegiare i secondi) e per ogni dolore, malattia o disagio offre come rimedio la lettura di un libro (in certi casi più d’uno, a volte addirittura una lista dei dieci libri più efficaci per quel male particolare). L’idea generale è che quando non si sta bene piuttosto che dal farmacista è meglio andare dal libraio. I romanzi sarebbero una grande terapia, perché «ci trasportano in un’altra esistenza e ci fanno vedere il mondo da un punto di vista diverso».

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Ecco allora che, se si soffre di paturnie e brufoli dell’adolescenza, è bene leggere Salinger perché il giovane Holden ha già avuto gli stessi problemi; se si soffre di agorafobia, si va in libreria a prendere La donna di sabbia di Kōbō Abe; se si scopre che il partner ci tradisce, allora piuttosto che Flaubert, Tolstoj o Fontane, meglio leggere L’estate senza uomini di Siri Hustvedt; se si hanno problemi di ritenzione anale e tendenze maniacale all’ordine e alle liste delle cose da fare, allora è il momento di leggere il classico Tristram Shandy di Sterne; se si ha il mal di denti, ci si rivolge un altro classico: Anna Karenina. Altri consigli riguardano tonsillite, diarrea, flatulenze, mal di schiena, obesità, eiaculazione precoce, crisi di astinenza, incubi notturni, pensieri omicidi, influenze, raffreddori, ecc. Buoni libri sono poi segnalati per chi deve curare una persona malata di cancro o chi è a sua volta malato terminale di cancro.
Se poi uno è costretto a letto con una gamba rotta, il libro più adatto è di un autore australiano, Nikki Gemmell, che ha nel titolo la parola-chiave: Cleave, che in inglese è una parola double-face, come «ospite» in italiano, perché può voler dire sia «spaccare» sia «unire, aderire» e può aiutare a «vedere con l’immaginazione la frattura del proprio osso e così velocizzare il processo di ricomposizione».

Alla fine del libro le due scrittrici, che devono essersi divertite non poco a mescolare discipline così diverse, come la letteratura e la medicina (un insegnamento anche per le nostre scuole?), con un tocco di leggerezza (e provocatoriamente ignorando i ponderosi saggi di Susan Sontag su tubercolosi, cancro e AIDS nelle nostre culture e nei nostri linguaggi simbolici), avviano un dialogo impersonando la prima lettrice e la seconda lettrice del proprio libro, con ciò evidentemente ispirandosi a Se una notte d’inverno di Italo Calvino.

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Remo Ceserani

(Soresina, 1933 – Viareggio 2016), allievo di Mario Fubini a Milano, si è perfezionato alla Yale University con René Wellek. Ha insegnato a Bologna, Milano, Pisa, Genova e in università statunitensi e australiane. Si è occupato di teoria della letteratura, di letterature comparate del Rinascimento e dell’età moderna e di storia della critica. Tra i suoi scritti ricordiamo Raccontare la letteratura, Bollati Boringhieri, Torino 1990, Raccontare il postmoderno, Bollati Boringhieri, Torino 1997, Guida allo studio della letteratura, Laterza, Roma-Bari 1999, Il testo narrativo: istruzioni per la lettura e l’interpretazione, il Mulino, Bologna 2005, con Andrea Bernardelli, Il testo poetico, il Mulino, Bologna 2005, Convergenze: gli strumenti letterari e le altre discipline, Bruno Mondadori, Milano 2010, La letteratura nell’età globale, il Mulino, Bologna 2012, con Giuliana Benvenuti, Treni di carta, Bollati Boringhieri, Torino 2002, L’occhio della medusa: fotografia e letteratura, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Ha fatto parte del comitato direttivo de «L’asino d’oro» e ha collaborato al «Giornale storico della letteratura italiana», a «Belfagor», a «L’Indice» e a «il manifesto».

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