Giorgio Bassani. Officina bolognese (1934-1943)

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La piccola e preziosa mostra a cura di Marco Antonio Bazzocchi e Annarita Zazzaroni, inaugurata a Bologna all’Archiginnasio il 28 ottobre e che proseguirà fino al 18 dicembre 2016, espone lettere, fotografie, taccuini, appunti, disegni e documenti che testimoniano come il legame fra lo scrittore ferrarese e la città felsinea sia stato fondamentale tanto nella formazione, quanto nella maturazione delle sue opere letterarie.
Un ritratto di Giorgio Bassani.

Giorgio Bassani nasce a Bologna il 4 marzo 1916, in un momento in cui la sua famiglia di origine ferrarese si è trasferita nel capoluogo emiliano prendendo casa in viale XII giugno. Cresciuto a Ferrara, dove la famiglia era tornata, Bassani rientra a Bologna nel 1934, quando s’iscrive alla facoltà di lettere, iniziando un pendolarismo che durerà ben oltre gli anni universitari, perché qui Bassani trova compagni di studio e di vita, come Francesco Arcangeli, affettuosamente chiamato Momi, e sua sorella Bianca, maestri come il pittore Giorgio Morandi, il poeta Attilio Bertolucci, Leo Longanesi e lo storico dell’arte Roberto Longhi, con il quale il rapporto continuerà ben oltre il discepolato universitario, ma anche sodali nella rivolta al fascismo come Carlo Ludovico Ragghianti, tra i fondatori del Partito d’Azione, cui aderì anche Bassani, che per questo venne incarcerato nel 1943.

Giorgio Bassani e la futura moglie Valeria Sinigallia a Bologna (anni ’40) – dal sito della mostra.

Come sarà anche per Pasolini, cui lo accomuna lo stesso relatore di tesi, Carlo Calcaterra, e la passione per la storia dell’arte infiammata dalle sulfuree lezioni di Roberto Longhi, con il quale entrambi avrebbero preferito laurearsi, Bologna è il luogo in cui la passione letteraria viene messa alla prova per liberarsi dei suoi aspetti più libreschi e dilettanteschi e scaturire in una poetica personale. Un dialogo fatto di scambi di opinioni e di letture incrociate mostra l’evolversi di una ricerca stilistica ed espressiva molto intensa. Bassani sottopone a Francesco Arcangeli i primi racconti, usciti in riviste, e le prime poesie, poi pubblicate nella raccolta Storie di poveri amanti nel 1945, ma gli espone anche i dubbi sul proprio stile. Siamo nel 1940 e già cominciano a germogliare i nuclei di storie che ritroveremo nelle opere mature di Bassani, come nell caso del racconto Debora, battuto a macchina da Bianca Arcangeli, oggetto di molti ripensamenti formali negli scambi epistolari con l’amico Momi: col tempo Debora diventerà il personaggio di Lida delle Cinque storie ferraresi (1956). Così come la poesia del 1944, Cena di Pasqua, contiene in nuce la celebre scena del seder pasquale, all’indomani della promulgazione delle leggi razziali, ne Il giardino dei Finzi-Contini (1962).

Alla “Marfisa d’Este”, il circolo di tennis di Ferrara (Bassani è il primo a sinistra). Foto da Internetculturale.it.

Agli anni bolognesi risale, dunque, non solo una strenua ricerca estetica e formale, ma anche il formarsi di nuclei narrativi che in seguito verranno sviluppati in romanzi e racconti.  I materiali esposti in mostra, provenienti dall’archivio degli eredi Paola ed Enrico Bassani, dalla Fondazione Bassani di Ferrara, dalla Biblioteca del dipartimento di filologia e italianistica dell’università di Bologna, e dall’Archiginnasio, documentano un metodo di lavoro che procede per aggiustamenti e riscritture successive, e un percorso intellettuale punteggiato da una rara capacità autocritica. La troviamo espressa, ad esempio, nel densissimo appunto di un taccuino del 1941, dove Bassani afferma di bisogno di aver bisogno di far marcire le cose dentro di sé, per poterne fare degli oggetti di scrittura, “tutto doveva marcire dentro, per nascere”, e ancora “Ma forse non ero adatto per la narrazione distesa. Giacché avevo bisogno di sentirmi sempre al centro di una corrente, di un’aura poetica. Era un difetto d’intelligenza, soprattutto”.

Giorgio Morandi, «Campo da tennis», acquaforte, 1923, in Giorgio Bassani, “Il giardino dei Finzi-Contini”, Einaudi, Torino 1962, p. 89.

Colpisce il ricorrere, negli scambi epistolari, della metafora tennistica, soprattutto se si pensa alla centralità del campo da tennis ne Il giardino dei Finzi-Contini, vero e proprio luogo di messa alla prova delle tensioni fra i personaggi, della loro vitalità e capacità di sopravvivenza, e in ultima analisi della scrittura stessa. Non a caso troviamo, nell’edizione Einaudi del 1962, l’acquaforte di Giorgio Morandi raffigurante un campo da tennis velato di ombre crepuscolari, luogo di un agonismo privato che, per i giovani intellettuali maturati durante la Seconda guerra mondiale, doveva avere un valore simbolico che travalicava il semplice gusto per lo sport.

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Alessandra Sarchi

Ha studiato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, laureandosi in storia dell’arte; ha poi svolto un dottorato di ricerca a Ca’ Foscari, Venezia. Ha lavorato alla Fondazione Federico Zeri di Bologna, occupandosi di catalogazione fotografica. Collabora con vari giornali e blog culturali. Con Einaudi Stile libero ha pubblicato due romanzi: «Violazione» (2012), «L’amore normale» (2014) e l’ultimo, «La notte ha la mia voce», uscito nel 2017.

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