Il lettore comune e l’allegra brigata. Seminario a Delhi #2

Tempo di lettura stimato: 9 minuti
Venti ore di seminario in quattro giorni, nelle aule della Jamia Millia Islamia University e dell’Istituto Italiano di Cultura di New Delhi, con venticinque insegnanti di lingua e di letteratura italiana di varie università e scuole pubbliche e private dell’India. Ne parlavo qui.
Murales alla stazione di Jaipur.

Venti ore in cui ho imparato molto; qualcosa potrebbero aver imparato anche loro, soprattutto durante i momenti di dialogo e di condivisione di problemi e soluzioni. Abbiamo messo in comune metodi e strumenti, abbiamo giocato, abbiamo mangiato insieme e ci siamo raccontati storie che alcuni di noi ricorderanno a lungo. Io ho seguito il programma in modo rigoroso durante i primi due giorni, poi ho preferito rispondere a esigenze specifiche emerse fin da subito, soprattuto riguardo la necessità di avere strumenti pratici per giocare con la letteratura nell’ambito dei corsi di lingua. In questo articolo riporto in sintesi alcuni degli argomenti toccati durante il seminario.

Il lettore comune e la fruizione della letteratura

Da alcuni anni ormai cerco di promuovere l’uso delle opere della letteratura all’interno di corsi di studio che non hanno lo scopo principale di sviluppare le competenze letterarie, le quali, ammesso che davvero esistano, sono delle competenze tecnico-professionali che servono agli esperti di letteratura. Anche sulla scorta delle indicazioni di Tzvetan Todorov e delle ricerche di Jean-Marie Schaeffer, invito i miei allievi a mettere al centro della riflessione sulla letteratura loro stessi in quanto lettori comuni. Il lettore comune, infatti – quello che compra i libri o va in biblioteca per soddisfare i propri bisogni, abituato a immergersi nelle storie narrate dai romanzi e ricopiare o a imparare a memoria le poesie che preferisce – ci insegna che la lettura è un’attività desiderabile, senza la quale non sarebbe possibile “attivare le opere” e fare quell’esperienza particolare che fa parte della quotidianità di milioni di persone. Un’esperienza che ha la caratteristica di mobilitare le risorse cognitive della persona che vi è coinvolta, la quale deve mettere a disposizione il proprio tempo e la propria energia, e deve attivare alcuni canali sensoriali (la vista o l’udito) e specifiche aree del cervello che riguardano i processi attenzionali, la memoria, le emozioni.

Il lettore comune, come ci insegnano la psicologia cognitiva, la sociologia della vita quotidiana e le neuroscienze, si immerge nella storia narrata dall’opera letteraria – sia essa un romanzo o una poesia, – grazie alla quale riesce a simulare esperienze e a trasferirsi momentaneamente in una sorta di “altrove”, un mondo narrato che ciascuno costruisce grazie agli stimoli che riceve dal testo durante la lettura. Queste esperienze “mediate” dalle storie, che sono trattate dal cervello umano alla stregua delle esperienze compiute direttamente nel mondo reale, rappresentano un potente strumento di moltiplicazione delle possibilità umane.

La conoscenza dei meccanismi psicologici e sociali che sono alle fondamenta della costruzione del mondo narrato è alla base della comunicazione narrativa e delle pratiche di storytelling, e a mio avviso deve portare a una rivisitazione del ruolo stesso della letteratura nell’insegnamento. Usata finora nei percorsi di istruzione per perfezionare le competenze linguistiche o per trasmettere valori culturali, la letteratura, a mio parere, dev’essere usata soprattutto e innanzitutto a partire dai primi mesi di vita di una persona. Pratiche come la lettura ad alta voce di testi semplificati e illustrati, l’apprendimento attraverso le filastrocche o le canzoni, i giochi di ruolo narrativi, la narrazione autobiografica o la scrittura creativa, sono a pieno titolo dei modelli da cui partire per rivedere l’idea tradizionale di letteratura. Tutto vale, mi piace ripetere nei miei corsi, purché sia efficace nel far provare almeno una volta a ogni allievo e allieva l’esperienza estetica stimolata dalla fruizione di un’opera della letteratura.

L’allegra brigata: la letteratura come ambiente di apprendimento

Sette ragazze e tre ragazzi scelgono di lasciare momentaneamente la città infestata dalla peste e in preda al caos per ritirarsi in campagna e ricostituire una comunità armoniosa, rispettosa delle regole fondamentali della convivenza civile. È una società ideale, basata sulla condivisione di canti e di racconti che ciascuno dei nuovi cittadini è invitato a proporre agli altri, i quali devono ascoltare. Se uno parla, l’altro ascolta, e viceversa. L’ascolto è la sola condizione necessaria affinché le storie possano circolare. Una comunità di narratori-ascoltatori o, per usare un’espressione del sociologo Paolo Jedlowski, di interlocutori affidabili: persone che sanno creare un ambiente in cui le storie possono essere messe in circolazione senza che qualcuno si faccia male. Perché narrare, si sa, è pericoloso quanto ascoltare. È sufficiente che qualcuno interrompa la narrazione o, peggio, che smetta di ascoltare, e l’altro può sentirsi insultato, umiliato, offeso. Ed è anche possibile che l’ascolto di una determinata storia possa sconvolgere la vita di chi l’ascolta, cambiandone la direzione, orientandola verso mete prima inimmaginabili.

La condivisione di storie è un’arte difficile ed è alle fondamenta della civiltà letteraria italiana. Giovanni Boccaccio l’ha detto chiaramente attraverso il suo Decameron, dedicato non a caso alle donne del suo tempo, le quali avevano meno occasione degli uomini di fare esperienze dirette e, quindi, avrebbero trovato nelle storie narrate dall’“allegra brigata” una fonte di esperienza alternativa. Nelle storie le donne, attraverso la lettura, avrebbero potuto simulare esperienze che non avrebbero vissuto, entrare in ambienti e visitare luoghi che mai avrebbero visto.

Tutto ciò è possibile – lo sappiamo dagli studi di linguistica cognitiva – perché attraverso la fruizione di storie il cervello umano (e quindi il corpo) si impegna in modo pressoché automatico nella costruzione di “mondi” e di “sub-mondi” nei quali si svolgono le azioni dei personaggi.

Una giovane e bellissima donna, figlia del principe di Salerno, rimane vedova e, desiderosa di compagnia, sceglie come amante il valletto del padre, un ragazzo onesto, rispettato e valoroso. I due si incontrano di nascosto nella camera di lei, a cui lui ha accesso attraverso un passaggio segreto. Il principe, morbosamente geloso della figlia al punto da non aver voluto che si risposasse, per caso scopre i due mentre sono insieme. Si allontana alla chetichella; in seguito, a freddo, fa arrestare il valletto e va a parlare con la figlia. Lei, lucidissima e padrona di sé, rivolge al padre un discorso straordinario, in cui illustra la necessità di soddisfare i desideri del corpo e rivendica la propria libertà di scegliere il meglio per sé. Accusa il padre di essere ingiusto e, in definitiva, poco intelligente, accecato da un senso dell’onore e da una gelosia che gli impediscono di vedere le cose come stanno. Infine, lancia un monito al padre: se lui uccide il suo amante, allora dovrà uccidere anche lei, o si toglierà la vita da sé.
Il principe, pur commosso dal discorso fino alle lacrime, ha già preso la sua decisione: fa uccidere il valletto e gli fa strappare il cuore, che una volta deposto in una coppa d’oro viene portato alla figlia. La donna, che si trova nelle sue stanze insieme alle sue dame, prende la coppa con il cuore e beve fino all’ultima goccia, dopo avervi versato dell’acqua avvelenata. Mentre sta morendo, infine, fa promettere al padre – che non riesce a smettere di piangere – di essere sepolta accanto al suo amato.

La novella di Tancredi e Ghismonda è la prima della quarta giornata del Decameron. Durante sua lettura o dal suo ascolto, non importa se nella versione originale, per far funzionare la storia e riuscire davvero a vederla è necessario “farsi il film” e immaginare gli spazi, i personaggi, i loro movimenti, il loro carattere. Si trascorre da una stanza all’altra del castello, si sentono le voci, ci si trova faccia a faccia con l’uno o l’altro personaggio. Quando Ghismonda rivolge il suo discorso al padre Tancredi, chi legge è quasi costretto a essere lì accanto e vedere di volta in volta la bocca di lei pronunciare quelle solenni, terribili parole, e lo sguardo del padre che ascolta.

La poetica cognitiva (per la quale si consiglia almeno la lettura dell’ottima sintesi di Sara Costa, Introduzione alla poetica cognitiva, Aracne 2014) è un approccio di ricerca che si occupa proprio dello studio degli effetti della lettura sul lettore concreto. La teoria dei mondi è uno dei suoi capisaldi, ed è anche uno strumento prezioso per comprendere i processi fisiologici e psicologici che sono alle fondamenta dell’uso della letteratura nell’apprendimento-insegnamento. I suoi strumenti di analisi sono utili agli insegnanti per capire come semplificare i testi, come tradurli, come “transmediarli” conservando la loro efficacia nel far simulare una determinata esperienza agli allievi.

Andando ad abitare nei testi, ci insegnano i ragazzi dell’allegra brigata, è possibile divertirsi e fondare una società ideale, dove è possibile fare esperienza attraverso la condivisione di storie. Ogni storia narrata, ci ricorda Boccaccio, è una fonte di esperienza, un mondo da abitare per un certo periodo di tempo, un ambiente di apprendimento all’interno del quale è possibile simulare azioni ed emozioni in modo sicuro, protetto, al riparo. È stato detto che la letteratura, come i videogiochi, è un potente simulatore di volo (Mazzarella, La grande rete della scrittura, Bollati Boringhieri 2008). Si tratta, per l’insegnante di lingua (e non solo), di riuscire a usare questa potenzialità.

Il docente giullare: imparare a raccontare le storie della letteratura

Qualche mese fa, durante una giornata di studio dedicata alla didattica dell’italiano, il professor Sabatini ha definito il mio approccio all’uso del testo letterario “giullaresco”. Ho riflettuto a lungo su quest’espressione, alla quale ho voluto dare peso proprio perché pronunciata da un grande linguista. Non poteva trattarsi di una parola scelta con leggerezza. Giullaresco, usato spesso in senso spregiativo nel senso di buffonesco, significa proprio del “saltimbanco, buffone, acrobata, esperto nei modi di divertire il pubblico con il canto, con i suoni, con la danza, con la recitazione” (dizionario Treccani), e ben si adatta all’idea di un insegnante in grado di lavorare con la letteratura, ovvero con un corpus di canti e racconti, al fine di farli funzionare nella mente e nel corpo degli allievi. Un insegnante-giullare che, attraverso l’uso di un complesso set di strumenti e di giochi, riesce ad attivare i testi – anche quelli della tradizione più illustre – e a renderli “abitabili”.
Vale tutto, ripeto ancora una volta ai miei allievi insegnanti. Purché l’esperienza della lettura e della scrittura, dell’ascolto e della produzione orale, siano davvero significative.

Per questo è fondamentale che l’insegnante sia, come uno dei membri dell’allegra brigata, un interlocutore affidabile in grado di favorire la circolazione di storie (e quindi di opere letterarie) nella comunità dei suoi allievi. E per lo stesso motivo è ancor più necessario che il docente sappia mobilitare le risorse cognitive ed emotive degli studenti, i quali devono assolutamente provare – a partire da ciò che effettivamente sanno e da ciò che sono in grado di fare – l’esperienza del “costruttore di mondi” che ogni lettore comune di narrativa ha avuto l’occasione di provare.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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