Edmond Dantès, c’est moi! #7

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Il conte di Montecristo per lettori suscettibili: come vestire i panni di Edmond Dantès e delle sue numerose incarnazioni e farla franca. Dopo le istruzioni per l’uso, la prima, la seconda, la terza, la quarta, la quinta e la sesta puntata, ecco il settimo appuntamento: dire la verità.
L’isola di Montecristo vista da Giglio Castello.

Dire la verità è una tra le cose più scomode da fare. Soprattutto quel tipo di verità che farebbe male al nostro interlocutore o a chi la pronuncia. Ci sono d’altronde verità scomode, sgradevoli da rivelare, che mettono in gioco i rapporti tra le persone e la stessa concezione di sé.
L’abate Busoni, una delle maschere indossate da Edmond Dantès, è particolarmente persuasivo: sa come mettere a proprio agio le persone affinché rivelino cose che non confesserebbero neanche a se stesse.
Questo travestimento compare per la prima volta nel capitolo ventiseiesimo, interamente ambientato alla locanda del Pont du Gard, nel sud della Francia, tra Arles e Nîmes.
È qui che si è trasferito il sarto Gaspard Caderousse, vicino di casa di Edmond, dopo aver lasciato Marsiglia. Divenuto per necessità oste, si è sposato e conduce una vita piuttosto modesta, addirittura squallida, lungo il fiume Rodano.
L’abate Busoni è venuto a trovarlo per estorcergli alcune preziose informazioni.
Questo è il primo incontro tra i due:

“… Cosa desiderate, cosa chiedete, abate? Sono ai vostri ordini”.
Il sacerdote fissò l’uomo per un paio di secondi con un’attenzione curiosa; pareva voler attirare su di sé l’attenzione del locandiere. Poi, vedendo che i lineamenti di quest’ultimo non esprimevano altro che lo stupore di non ricevere risposta, ritenne fosse il momento di mettere fine allo stupore e disse con un forte accento italiano:
“Siete forse mastro Caderousse?”.
“Sissignore, rispose il padrone di casa, meravigliato più della domanda che del silenzio che l’aveva preceduta. “Sono io, effettivamente. Gaspard Caderousse, per servirvi”.
“Gaspard Caderousse… Sì, credo siano questi il nome e il cognome. Voi un tempo abitavate in alle de Meilhan, non è vero? Al quarto piano”.
“È così”.
“E lì esercitavate il mestiere di sarto?”.

Insomma: Caderousse non riconosce Edmond sotto le mentite spoglie dell’abate. Il travestimento è perfettamente riuscito, e l’abate può procedere con il suo piano.
A un certo punto, l’abate domanda: “Avete conosciuto nel 1814 o 1815 un marinaio che aveva nome Dantès?”.

“Dantès?… Se l’ho conosciuto, il povero Edmond! Certo! Era persino uno dei miei migliori amici!”, esclamò Caderousse, che diventò rosso in viso mentre l’occhio limpido e sicuro dell’abate sembrava dilatarsi per coprire interamente colui che stava interrogando.
“Sì, in effetti credo si chiamasse proprio Edmond”.
“Certo che si chiamava Edmond, il ragazzo! Lo credo bene! Vero quanto io mi chiamo Gaspard Caderousse! E cosa ne è stato del povero Edmond?”, proseguì il locandiere. “L’avreste forse conosciuto? È ancora vivo? È libero? È felice?”.
“È morto prigioniero, più disperato dei forzati che trascinano la palla al bagno penale di Tolone”.
Il viso di Caderousse da rosso si fece d’un pallore mortale. Si voltò e l’abate lo vide asciugarsi una lacrima con l’angolo del fazzoletto rosso che usava come copricapo. […]
“A quanto pare, amavate quel giovanotto con tutto il cuore”, commentò l’abate.
“Si, mi piaceva molto” – confermò Caderousse – sebbene io abbia da rimproverarmi d’avere invidiato per un attimo la sua felicità. Ma da allora, ve lo giuro, parola di Caderousse, ho commiserato il suo destino sciagurato”.

E l’abate continua, raccontando al locandiere di aver assistito il povero Edmond sul letto di morte e di aver ricevuto l’incarico di scoprire la causa del suo arresto e di riabilitarne almeno la memoria. Inoltre, egli ha ricevuto dal morente un diamante col quale avrebbe dovuto ricompensare i tre suoi amici Caderousse, Fernand e Danglars, la sua fidanzata Mercédès e suo padre.
È questo l’argomento che convince l’uomo a raccontare all’abate la verità sulla causa dell’arresto di Edmond: Caderousse capisce che, accusando gli altri, potrà tenere il diamante tutto per sé.

“Innanzitutto – iniziò Caderousse – devo pregarvi di promettere una cosa”.
“Quale?”, chiese l’abate.
“Che mai, se farete uso delle informazioni che vi fornirò, si saprà che esse verranno da me, poiché coloro di cui vi parlerò sono ricchi e potenti e solo mi toccassero con la punta delle loro dita mi spezzerebbero come un cristallo”.
“State tranquillo, Caderousse, io sono prete e le confessioni muoiono nel mio cuore… Parlate dunque senza paura e senza odio. Dite la verità, tutta la verità: non conosco e probabilmente non conoscerò mai le persone di cui mi parlerete. D’altronde sono italiano, non francese; appartengo a Dio e non agli uomini, e tornerò nel convento da cui sono uscito…”.

E così Edmond viene a sapere che il padre si è lasciato morire di fame; che il signor Morrel, il suo armatore, e Mercédès, hanno cercato di essergli vicini senza riuscire a consolarlo; che Fernand e Danglars – come aveva supposto durante il colloquio con l’abate Faria – denunciarono Edmond come agente bonapartista. E, poi, che Danglars e Fernand si sono arricchiti e vivono a Parigi. E che Mercédès, inconsapevole del tradimento, aveva sposato Fernand.
Così Caderousse, omettendo il proprio ruolo nel tradimento di Edmond ma riuscendo comunque per la prima volta a raccontare quella triste vicenda a qualcuno, si guadagna un diamante (diamante che, più tardi, lo porterà alla rovina – ma questa è un’altra storia).

Immagina ora di essere tu, lettore, di fronte all’abate Busoni. È un perfetto sconosciuto, che probabilmente non rivedrai più. Parla pure, esprimi ciò che non oseresti dire a nessun altro. Dai voce a pensieri inconfessati, liberati da un peso, se ce l’hai. È il momento della verità.

[Per approfondire, qui]

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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