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Un po’ in tutta Italia si sono svolti i Percorsi Abilitanti Speciali (PAS): si tratta di corsi di formazione divisi in diversi moduli, al termine di ciascuno dei quali “l’abilitando” (un collega che ha prestato servizio per almeno tre anni nella scuola statale o paritaria) sostiene un esame, orale e scritto. Sono stato reclutato – con un concorso per titoli – per insegnare “Tecnologie dell’Istruzione”. Tra le attività previste per l’esame vi era la realizzazione di un eBook, da commentare in sede di prova finale.

L’esperienza si va concludendo proprio in questo periodo, ma si connota già in modo sufficientemente interessante da essere commentata, poiché è stata una sorta di laboratorio paradigmatico di un processo che in futuro potrà riguardare la scuola nella sua interezza. Ha coinvolto infatti numerosi insegnanti, di tutte le classi di abilitazione e quindi in rapporto con tutti i campi di conoscenza, con “competenze digitali” diverse e, soprattutto, con differenti rappresentazioni mentali dell’impiego, dell’utilità e della sostenibilità delle tecnologie della comunicazione nella didattica quotidiana. Questi docenti sono stati chiamati ad arricchire e definire il loro profilo professionale formale realizzando un prodotto il più possibile significativo sul piano pedagogico e metodologico, misurandosi con le conoscenze che il corso poteva fornire o arricchire e con le risorse che la rete mette a loro disposizione.  

Il compito di chi insegna
Il mio ruolo, come quello dei colleghi responsabili dei moduli analoghi al mio, è stato accrescere la consapevolezza, fornire chiarimenti, supportare la progettazione, proporre esemplificazioni convincenti, ma non tali da diventare eccessivamente paradigmatiche o peggio vincolanti. Quest’ultimo aspetto – insieme alla necessità di convincere alcuni corsisti del fatto che realizzare un eBook è un obiettivo fattibile, di ridurre ansia e senso di inadeguatezza derivanti dalla sovraesposizione delle tecnologie operata dalla retorica della Scuola 2.0 e dalla mitologia dei nativi digitali – si è rivelato immediatamente molto più complesso di quanto possa apparire a prima vista.
Non si trattava infatti di realizzare soltanto un libro digitale, quanto un libro di testo digitale, ovvero uno strumento caratterizzato soprattutto dal contenere e dall’esporre “sapere insegnabile” e dal proporre attività didattiche, destinate alla facilitazione della comprensione, all’organizzazione dello studio, allo stimolo all’apprendimento significativo. E in giro – nei prodotti già presenti nelle scuole, realizzati in genere dall’editoria scolastica tradizionale, così come tra il materiale reso raggiungibile via Internet da parte di case editrici innovative, reti di scuole e altri soggetti singoli o aggregati che agiscono su base volontaria – di materiale davvero convincente, che possa fungere da riferimento ce n’è davvero poco.

Le nozioni necessarie
Oltre a questa difficoltà di fondo, ossia il fatto che i corsisti erano in realtà chiamati a produrre un “qualcosa” del quale non avevano un’immagine consolidata e condivisa, il procedere dell’attività ha poi reso necessario rispondere a una serie di interrogativi; o – per meglio dire – mettere i colleghi nelle condizioni di sapersi porre le giuste domande su una serie di prospettive e di piani, che si intersecano tra di loro, sia nel produrre ebook in prima persona, sia anche nel progettarli, nel commissionarli, nel valutarli.
La prima questione riguardava i dispositivi, il PC e tutti i suoi diversi derivati, dai tablet, agli ebook reader, agli all-in-one, strumentazioni ibride poco note e diffuse, ma di un certo interesse per la compresenza in un unico prodotto commerciale di diverse destinazioni d’uso (lavoro, studio, intrattenimento) e di differenti condizioni di impiego e posture del corpo (seduti davanti a una scrivania o a un banco, sulle ginocchia, tra le mani, in piedi, per strada, più tutte le diverse combinazioni possibili, compresa la possibilità di tenere tra le mani un tablet con cui fotografare un panorama stando comodamente appoggiati a una balaustra, per documentare un viaggio). Particolarmente importante la differenza tra schermi retro-illuminati e tecnologia dell’inchiostro elettronico, la più vicina alle condizioni di lettura offerte dalla carta rilegata (stiamo parlando della dimensione tecnologica del libro tradizionale, un fantastico esempio – soprattutto se tascabile – di dispositivo mobile): dipendenza dalla luce dell’ambiente e minor affaticamento degli occhi.
Questo problema intersecava quello dei formati: quali sono quelli proprietari e quali quelli aperti. Quali di questi consentono la gestione della dimensione multimediale e quali no. Quali formati sono in grado di essere visualizzati e ottimizzati dai diversi dispositivi. Detto in altri termini: capire come la scelta di un certo dispositivo può vincolare in termini di formato e come – fatto più importante – la scelta di un formato possa condizionare il tipo di dispositivi con cui il proprio prodotto didattico sarà compatibile.
I corsisti andavano poi informati a proposito di costi, disponibilità, caratteristiche operative degli ambienti digitali destinati in modo specifico alla realizzazione di eBook. Per esempio, se la loro scelta è il formato ePUB (aperto e – nella versione 3 – anche “multimediale”) devono sapere che possono procedere in modi diversi: dall’uso di un’estensione per OpenOffice e LibreOffice, che permette di esportare direttamente un testo con immagini correttamente impostato sul piano grafico, a quello di ambienti online, per esempio ePUB editor.
Soprattutto, è stato necessario chiarire con estrema nettezza che i diritti d’autore vanno rispettati, criterio che ha valenze sia giuridiche sia etiche. Testi, immagini, video e quant’altro si immagini debba andare a comporre l’eBook vanno infatti elaborati in proprio dall’autore, oppure selezionati tra i materiali rilasciati con Creative Commons Licenses. La poca chiarezza vigente e alcune cattive abitudini hanno invece costruito in alcuni l’idea che sia perfettamente lecito saccheggiare le altrui produzioni intellettuali mediante copia-e-incolla, download indiscriminati e uso massiccio dello scanner e del riconoscimento ottico dei testi.

Le prime evidenze
La gran parte dei corsisti ha scelto di cimentarsi con proprie monografie, con lo scopo culturale di trattare o approfondire tematiche assenti o poco considerate nei libri di testo tradizionali. È probabile che questa scelta sia stata motivata dalla necessità di produrre materiali in qualche modo originali. Accanto a quest’esigenza si collocano anche dichiarati interessi personali, ben precisi e consolidati, dagli studi universitari ad altre occasioni di ricerca o di produzione di saggi.
La struttura prevalente è stata nella totalità dei casi (sono stati prodotti quasi 30 eBook di testo) quella del libro: capitoli, paragrafi, capoversi, con relativa titolazione. A determinare questa scelta, due fattori: da una parte l’evidente aspetto di rassicurazione e facile condivisione nel lavoro di gruppo e nella distribuzione dei contributi, dall’altra il modo di operare del formato ePUB, che utilizza marcature stilistiche di un documento – in particolare i diversi livelli di titolazione e quello del “corpo testo” – per definirne la scansione logica e gestirne distribuzione spaziale e visualizzazione dinamica sui diversi dispositivi. In una delle premesse metodologiche al lavoro svolto che ho richiesto ai corsisti è stata per altro esplicitamente affermata l’importanza fondamentale del partire dalla “scrittura di un testo che garantisse unitarietà”, intorno alla quale costruire una rete di rimandi ipertestuali e multimediali che non fosse “elemento di dispersione e di distrazione”, ma che avesse invece un’autentica utilità, individuata in “approfondimento” e “spiegazione”.
Le difficoltà tecniche sono state frequenti e ripetute, ma nessun corsista le ha considerate l’aspetto essenziale del proprio percorso di arricchimento professionale: molti hanno anzi accettato di raggiungere risultati anche solo parzialmente soddisfacenti e di valorizzare piuttosto il ragionamento sulla valenza cognitiva di quanto messo in atto. Nel caso dei video, per esempio, molti corsisti hanno rapidamente rinunciato all’idea di incorporarli nel proprio prodotto, a favore della riflessione sul modo di motivarne e guidarne la fruizione da parte degli studenti mediante indicazioni sulla durata, didascalie introduttive e di commento, schede per attività.

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Marco Guastavigna

Insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it.

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