L’istruzione digitale in Italia e negli USA

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L’uso del digitale nell’istruzione ha tanti volti. Michael Feldstein, esperto di educational technology, ne conosce parecchi. Il suo è uno sguardo privilegiato sugli States, con qualche incursione nel panorama italiano.

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In una vita precedente è stato un insegnante di scuola media e superiore: così si legge in fondo al suo profilo on-line. Oggi Michael Feldstein è un consulente, un esperto di strumenti educativi digitali e di e-learning, che lavora con scuole, case editrici, fornitori di prodotti digitali e istituzioni che operano nel campo dell’istruzione. In mezzo, tra la vita precedente e questa, una serie di esperienze professionali lo portano dal mondo delle piattaforme di apprendimento on-line all’Academic Enterprise Solutions di Oracle fino al Cengage Learning, società che offre soluzioni altamente specializzate per l’apprendimento. Autore di un blog, e-Literate, dedicato a “What we are learning about on-line learning… on-line” e comunicatore instancabile, ben lontano dall’immagine di un guru che dispensa enigmatiche pillole di saggezza, di recente Feldstein ha svolto attività di consulenza anche in Italia. Con il suo ventaglio di conoscenze e con la sua esperienza nel nostro Paese, ci aiuta a passare in rassegna alcuni punti nodali dell’avvento e del futuro del digitale nel mondo dell’istruzione.

D: L’introduzione degli strumenti educativi digitali nelle scuole italiane si scontra con alcune difficoltà “pratiche” come la scarsa dotazione tecnologica delle classi. Qual è la situazione negli Stati Uniti?

R: Le principali difficoltà delle scuole negli Stati Uniti sono molto simili a quelle delle scuole italiane. Infatti non tutti gli studenti possiedono device digitali, la maggior parte delle classi non ha a disposizione strumenti tecnologici o una buona connessione alla rete e molti insegnanti non hanno confidenza con le nuove tecnologie. Negli Stati Uniti siamo più avanti che in Italia nell’affrontare questi problemi, ma non siamo tanto avanti da poterli considerare risolti.

D: Lei è un esperto di strumenti educativi digitali. In qualità di consulente, come aiuta le scuole?

R: La mia società non lavora molto con le primary e secondary schools (NdR: equivalente a scuole elementari, medie e superiori) perché la maggior parte di esse non può assumere consulenti. Di solito, quindi, aiutiamo le primary e secondary schools in maniera indiretta, ovvero lavorando con i fornitori affinché offrano prodotti migliori e con i legislatori affinché elaborino politiche migliori. A livello di università, aiutiamo i nostri clienti a prendere decisioni relative all’acquisto di prodotti tecnologici e a definire le strategie di sviluppo dell’insegnamento on-line.

D: Tra gli insegnanti qual è l’atteggiamento prevalente nei confronti delle nuove tecnologie?

R: Il panorama è molto vario. L’età media dei nostri insegnanti è più bassa rispetto all’Italia e l’utilizzo di smartphone e tablet è più diffuso, perciò nel complesso c’è più apertura. Tuttavia ci sono ancora moltissimi insegnanti che non hanno confidenza con le nuove tecnologie.

D: Parliamo delle aziende che lavorano nel campo dell’istruzione, in particolare delle case editrici di scolastica. Il mercato sta cambiando rapidamente: come aiutate le aziende del settore e gli editori di scolastica? Quali sono le loro difficoltà principali?

R: È una fase molto difficile per chi fornisce prodotti destinati all’istruzione. Tutti pensano che la tecnologia cambierà l’istruzione, ma non siamo ancora arrivati a questo punto. Quindi per le aziende è difficile capire a quali prodotti dare la precedenza o a quale velocità andare. Oltretutto per gli editori di scolastica è particolarmente difficile progettare bene i prodotti digitali. Questa attività richiede un rapporto con il cliente completamente diverso da quello consueto, nonché alcune abilità nuove. I clienti della mia società spesso arrivano da noi senza sapere nemmeno da che parte cominciare. Noi iniziamo aiutandoli a trovare le modalità che permettano loro di costruirsi delle competenze e di conoscere il mercato correndo il minor rischio possibile. Con i clienti che possiedono già certe abilità e hanno maggior esperienza, rivediamo le loro strategie e li aiutiamo a trovare il modo migliore per crescere stando al passo con le evoluzioni del mercato.

D: Come vede il futuro a breve termine delle case editrici, diciamo nei prossimi cinque anni?

R: Penso che le case editrici di scolastica abbiano davanti a sé un futuro luminoso nella misura in cui saranno in grado di sviluppare le abilità necessarie a realizzare ottimi prodotti digitali. Le case editrici possiedono una conoscenza profonda dei contenuti e del mercato e hanno un rapporto molto forte con i loro clienti, rapporto che possono ulteriormente rafforzare. Ma il primo ostacolo che devono affrontare consiste nel capire che per gli insegnanti e per gli studenti devono risolvere problemi diversi rispetto a quelli che erano abituati a risolvere con i libri cartacei. Il contenuto in sé diventerà sempre più difficile da monetizzare. Tuttavia gli editori possono aiutare gli insegnanti a lavorare meglio, per esempio offrendo loro la possibilità di tenere traccia dei progressi degli studenti e suggerendo attività di recupero che utilizzino sia i contenuti sia le funzionalità dei software. Questo avrà un valore molto rilevante per insegnanti, studenti e genitori. E le case editrici si trovano nella posizione migliore per garantirlo.

D: Che rapporto c’è fra contenuto e design nei libri digitali? Il design modifica il contenuto?

R: Nei libri digitali il design incide moltissimo sul contenuto, molto più che nei libri cartacei. Per lo studente lavorare con un libro di testo non è un processo strettamente lineare. Lo studente può leggere, sfogliare, saltare da un punto all’altro, ripassare ed esercitarsi. Questo è il motivo per cui nei libri scolastici è così importante l’aspetto grafico. Nell’ambiente digitale, dove il contenuto può muoversi ed essere interattivo e dove le dimensioni e le proporzioni dello schermo possono cambiare moltissimo, il design diventa ancora più importante. In linea di massima per gli studenti non è molto comodo usare i libri solo per qualche minuto per studiare in auto o sull’autobus mentre si va a scuola. Ma con i device digitali gli studenti e gli insegnanti possono fare delle piccole “incursioni” nel contenuto perché è molto più facile farlo con uno smartphone o un tablet che con un libro voluminoso e pesante. Questo modifica sia il design sia il contenuto.

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D: Uno dei principali vantaggi dei prodotti digitali è il fatto che siano user friendly. Nell’ambito dell’istruzione non si corre il rischio che ciò semplifichi troppo il processo di apprendimento o che lo studio si trasformi in intrattenimento?

R: Non sono sicuro che gli insegnanti e gli studenti siano d’accordo sul fatto che un computer o uno smartphone siano più facili da usare di un libro. La tecnologia può essere difficile da utilizzare se non è concepita in modo ottimale. Il vero pericolo con i computer è che stiamo cominciando a pensare che possano sostituire gli insegnanti. I policy makers sono tentati di pensarlo quando le risorse per pagare gli stipendi degli insegnanti sono ridotte. In tal caso iniziamo a trasformare la nostra concezione di istruzione per adattarla a ciò che il computer sa fare bene: il che ovviamente è diverso da ciò che un insegnante sa fare bene. Questo tipo di tentazione al momento è più pericolosa negli Stati Uniti che in Italia, ma è una questione da tenere sott’occhio.

D: Si diffonderanno anche in Italia piattaforme LMS come ad esempio Moodle?

R: Negli Stati Uniti le piattaforme LMS si stanno diffondendo soprattutto perché a livello di primary e secondary schools stanno aumentando le scuole virtuali di on-line learning e a livello di formazione postsecondaria (NdR: in genere non comprende l’istruzione universitaria) stanno crescendo i corsi on-line. Non vedo molti segnali che questo trend sia in rapida crescita in Italia. Le piattaforme LMS possono essere utili in contesti scolastici più tradizionali in quanto permettono di condividere documenti con gli studenti, continuare on-line le discussioni iniziate in classe, tenere informati i genitori, ma usare le piattaforme LMS per questi scopi può richiedere molto lavoro e una spesa consistente.

D: Negli Stati Uniti si stanno diffondendo i MOOC e recentemente in e-Literate, il blog su cui Lei scrive, si è discusso se i MOOC siano o meno una disruptive innovation. Lo sono?

R: Penso che nessuno conosca la risposta. I MOOC sono stati molto utili nella formazione postsecondaria perché ci hanno costretto a mettere in discussione alcuni assunti sull’istruzione. È possibile insegnare in un unico corso a 160000 studenti – numero registrato dal primo corso di robotica di Sebastun Thrun e Peter Norvig – e farlo bene? Gli studenti partecipano alla lezione e completano il lavoro se non ricevono un voto su quanto hanno fatto? Si può offrire gratuitamente un’istruzione di alto livello? Queste sono domande importanti e stimolanti che non erano oggetto di discussione prima che si diffondessero i MOOC. Credo che si debba rispondere almeno ad alcune di tali domande prima di poter capire se in qualche modo i MOOC possono sostituire in determinate circostanze l’istruzione tradizionale.

D: Che effetto hanno i Big Data sull’istruzione?

R: Mettiamola così: dal punto di vista di un editore di scolastica in che modo vorreste sapere quali capitoli e esercizi dei vostri libri vengono assegnati dagli insegnanti, quali parti di testo vengono lette davvero dagli studenti, quali parti vengono rilette in preparazione di una verifica e quali parti aiutano veramente gli studenti a ottenere dei buoni risultati nelle verifiche? I Big Data possono offrire una risposta a questo tipo di domande.

D: I Big Data migliorano l’insegnamento?

R: Dipende dagli insegnanti. I Big Data (e in generale la learning analytics, che concerne la raccolta e analisi di dati sulle attività di apprendimento) possono fornire agli insegnanti molte indicazioni su ciò che funziona e ciò che non funziona. L’insegnamento può essere una professione molto solitaria, nel senso che l’insegnante è l’unico “professionista” nella sua classe e non ha molte occasioni né molto tempo per condividere con i colleghi quanto ha imparato e per conoscere ciò che i colleghi hanno scoperto. I Big Data evidenziano dei trend fra molti studenti in molti corsi e suggeriscono nuove prassi per insegnare meglio. Ma sono di aiuto solo se gli insegnanti sono interessati a utilizzarli.

D: Come valutate i risultati di apprendimento determinati dall’uso di prodotti digitali?

R: La verità nuda e cruda è che raramente valutiamo l’effetto di qualsiasi prodotto sui livelli di apprendimento, in parte perché farlo è difficile e costoso. Voi come valutate l’effetto di un libro cartaceo sui risultati di apprendimento? Di fatto può essere più facile compiere tale valutazione con certi prodotti digitali poiché si può vedere ciò che gli studenti hanno fatto davvero con questi prodotti e quali punteggi hanno ottenuto. Ma ci sono numerosi fattori che influenzano i risultati di apprendimento, molti dei quali non hanno nulla a che fare con il prodotto e rimangono invisibili per chi ha creato il prodotto.

D: Qual è il rapporto tra i costi di produzione e la qualità del prodotto finito?

R: Non c’è un rapporto semplice e diretto tra il costo e la qualità dei prodotti educativi digitali. Da un lato i fornitori tendono a spendere troppo per certi aspetti del prodotto senza un evidente ritorno in fatto di qualità. I video ne sono un esempio. I rappresentanti commerciali di aziende concorrenti amano vantare «quanti video offre l’edizione di quest’anno». Che relazione c’è tra il numero di video e i risultati di apprendimento? Nessuna. Dall’altro lato le aziende tendono a spendere troppo poco per certi aspetti del prodotto come incorporare le esigenze dei clienti in fatto di design (customer design input) e provare il prodotto con gli utenti (user testing). Tutto è dominato dalle scadenze, così accade spesso che i prodotti vengano buttati sul mercato senza essere pronti.

D: Qual è la principale sfida nell’ambito dell’istruzione per i policy makers?

R: Capire che cosa funziona. I policy makers sentono messaggi confusi e contraddittori riguardo ciò che la tecnologia può fare per l’istruzione e riguardo i suoi limiti. Questo è il motivo per cui, ad esempio, nelle prime versioni dell’Agenda Digitale italiana è stata posta grande enfasi sull’incremento dell’interattività e sui video e nel contempo sull’abbassamento dei costi. La tecnologia può aiutare a migliorare i risultati di apprendimento e può anche ridurre i costi, ma è molto difficile che le due cose avvengano simultaneamente. I policy makers devono avere un’idea realistica di ciò che si può fare con la tecnologia e di quale tipo di formazione e di strumenti aiutano gli insegnanti a utilizzare concretamente la tecnologia in classe. Questo è difficile.

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Michael Feldstein

Formatore ed esperto di strumenti educativi digitali. Insieme a Phil Hill ha fondato la società di consulenza MindWires. Senior Program Manager di MindTap (Cengage Learning), ha lavorato presso SUNY Learning Network e Oracle. Scrive sul blog e-Literate.

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