Slow pc – un decalogo per il Ministro

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La lettera del collega Reali mi stimola ad esprimermi, in particolare per quanto riguarda la più o meno fantomatica “scuola digitale”, dal momento che ho scelto di dedicare le mie (presunte) risorse intellettive e intellettuali a questo tema.

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Discontinuità: di questo c’è bisogno. Non solo e non tanto rispetto all’operato di Francesco Profumo, le cui varie trovate – dematerializzazione degli Esami di Stato, libri elettronici, registro elettronico – si sono tutte rivelate alla prova dei fatti soltanto autoesaltazione (per altro ben accetta dalla stragrande maggioranza dei media), priva di effetti reali; anche e soprattutto nei confronti delle scelte istituzionali e degli atteggiamenti culturali che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio, a cominciare da Lombardi (ministro dell’istruzione del governo Dini) e dalla sua direttiva sul progetto Multilab, per proseguire con tutti i successori, quale che fosse l’orientamento politico dichiarato.

E quindi – come da tradizione millenaria – propongo all’attenzione del neoministro un decalogo, considerando anche lo sferzante parere OCSE sul Piano Nazionale per la Scuola Digitale:

1. Dai proclami alle certezze: deve essere dismessa la politica degli annunci (quanto appena citato, ma anche tablet per tutti, studenti e insegnanti e così via): presunte innovazioni con valenza epocale non raggiungono alcun risultato significativo, sempre ammesso che vengano attuate. Con la complicità di quotidiani, riviste e televisioni e nell’indifferenza di un’opinione pubblica che sembra aver programmaticamente rinunciato al senso critico, almeno per quanto riguarda le tecnologie digitali.

2. Dalla demagogia alla democrazia: deve cessare anche la politica dei bandi, delle classi e delle scuole 2.0; questo modo di procedere si traduce infatti non tanto nel premio alle buone pratiche, quanto nella selezione darwiniana di coloro (insegnanti e studenti) che hanno diritto a cimentarsi con gli strumenti digitali nel proprio processo di acculturazione, in percentuali attualmente del tutto esigue. Gli investimenti sulla scuola non possono più seguire questo modello demagogico. Si devono reperire i fondi e/ o trovare le modalità perché tutti possano partecipare.

3. Dalle affermazioni globali alla verifica minuziosa: anche in considerazione della prospettiva indicata al punto precedente vanno condotti seri e autentici monitoraggi degli effettivi risultati di apprendimento: si investa per tutti laddove si ha la certezza che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione fanno imparare di più e meglio, o almeno semplificano, agevolano ed hanno veri effetti di inclusione, riduzione delle differenze e rimozione degli ostacoli; in particolare, basta con la mitologia dei “nativi digitali“.

4. Da sprechi e sospetti alla trasparenza: vanno raccolti e resi noti non solo i risultati di apprendimento ma anche – e il più rapidamente e diffusamente possibili – quelli delle perizie disposte dal ministro sulla questione delle “Pillole del sapere; deve essere verificata al più presto la credibilità culturale e deontologica di coloro che condizionano l’innovazione tecnologica della nostra Scuola.

5. Dalla centralizzazione alla scuola dell’autonomia riconfermata: deve essere restituita ai singoli istituti l’iniziativa in campo di ricerca e sperimentazione prevista dalle norme vigenti; gli enti strumentali e gli uffici centrali e periferici del ministero devono tornare a un ruolo sussidiario e rinunciare all’attuale posizione, che invece vincola le scuole alle loro iniziative.

6. Dalle forzature alla contrattazione: sindacati e associazioni del personale scolastico devono uscire dall’attuale paralisi culturale e pratica in merito al rapporto tra innovazione tecnologica e profili professionali (in senso didattico ma anche più esteso) e ragionare su diritto alla formazione, intensificazione delle prestazioni, impegni aggiuntivi, destinazione dei (residui) fondi di istituto.

7. Dai totem alla riflessione: questioni come i libri di testo digitali piuttosto che i registri o gli scrutini non possono essere delegate ai vari apprendisti stregoni o alle regole di un mercato caratterizzato da pochissima trasparenza: tutta la comunità educante deve essere coinvolta e conoscere i termini essenziali dei problemi e le caratteristiche delle diverse soluzioni; sarebbe poi inammissibile andare a regime senza che siano stati dichiarati i modelli e testati processi e procedure.

8. Dalla centralità dei dispositivi a quella degli esseri umani: basta con i grilli parlanti che accusano il personale della scuola di immobilismo operativo e culturale perché non accetta le loro facili ricette innovative; basta con teorizzazioni come quelle sulla LIM come grimaldello o sugli eBook come agenti virali: le ragioni della mancata penetrazione del “digitale” nelle pratiche didattiche e – prima ancora – culturali di molti insegnanti vanno indagate senza preconcetti; e la necessaria, massiccia, formazione deve tenerne conto senza le ironie e le demonizzazioni che ancora emergono negli atteggiamenti snobistici di molti che si considerano iniziati.

9. Dall’inadeguatezza alla valorizzazione: gli insegnanti devono avere la possibilità di utilizzare le TIC per rendere ancora più efficaci le pratiche didattiche in cui credono già, perché hanno già dato buoni risultati in termini di apprendimento: insomma, basta anche con la vulgata secondo cui le strumentazioni tecnologiche digitali esigerebbero la rottura con le abitudini didattiche consolidate, spregiativamente definite “tradizionali”. Le ragioni per un’innovazione formativa, metodologica e dei canoni culturali risiedono nell’evidente incapacità del nostro sistema scolastico di essere realmente democratico e inclusivo (dispersione, ripetenze, mancato conseguimento di alfabeti minimi e competenze, dissipazione culturale, disaffezione di studenti e insegnanti), non certo nel sistema di credenze delle vestali del digitale.

10. Dalla confusione alla distinzione dei ruoli: è inammissibile che vi siano ancora realtà scolastiche in cui le pratiche, le scelte e gli investimenti dipendono dalla rappresentazione che lo smanettone o gli smanettoni di turno restituiscono – il più delle volte in perfetta buona fede – ai colleghi in base alle loro esperienze, scelte, preferenze; deve essere chiaro che la dimensione digitale della cultura e della didattica ha un respiro ben più ampio: non è assolutamente più sufficiente avere buone conoscenze sul funzionamento del computer per assumere funzioni di consulenza generale, come troppo spesso ancora avviene in alcune realtà, dove la superficialità si accompagna alla triste cultura della delega che caratterizza molti aspetti del nostro lavoro.

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Marco Guastavigna

Insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it.

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