Se apprendere diventa un’avventura

Tempo di lettura stimato: 17 minuti
L’avventura è stata spesso usata sia nell’educazione formale sia in quella informale, con modalità differenti. Oggi i due principali metodi che ne fanno uno strumento pedagogico sono l’educazione all’avventura e l’adventure learning. Questo articolo ne esamina una possibile applicazione al campo dell’educazione ambientale. Dal dossier del numero 16 de «La ricerca», “Pianeta Scuola”.
© Donata Cucchi, San Francisco 2008, «Bordi», dal progetto MariAperti.

Nella letteratura, così come nella vita di tutti i giorni, l’avventura colpisce la nostra immaginazione e ci trascina con sé. Siamo presi dalla meraviglia del rischio che stiamo correndo, dal coraggio, dalla forza e dall’audacia mostrati da coloro che sono coinvolti. Può essere un’esperienza di trasformazione sia per i partecipanti sia per gli osservatori.

L’avventura è generalmente definita come un evento che comporta rischi, sfide ed emozioni, come un’esperienza fuori dal comune il cui esito, almeno inizialmente, è sconosciuto (Merriam-Webster 2012; Miles 1990; Weir 2004). Non ha a che fare per forza con una sfida fisica; può essere anche puramente mentale (ad esempio attraverso un gioco online coinvolgente). Fisica o mentale che sia, tuttavia, l’avventura è intrinsecamente esperienziale, in particolare se ad essa si accompagnano la riflessione, la condivisione e l’opportunità di praticare la risoluzione di problemi concreti. In particolare, ha potenzialmente il potere di aiutare a costruire connessioni profonde con il mondo naturale, stimolando sia la riflessione sia l’azione verso i temi legati allo sviluppo sostenibile.

L’avventura è stata incorporata nell’educazione alla sostenibilità in vari modi nel corso della storia: attraverso la letteratura, l’educazione fisica e all’aperto, l’esplorazione e la ricerca sul campo e, più recentemente, attraverso la tecnologia, che ha permesso agli studenti di affiancare, seppur virtualmente, esploratori e scienziati nelle spedizioni negli angoli più remoti del mondo.

La tecnologia ha infatti migliorato e ampliato i tipi di avventure che oggi possiamo affrontare, perfezionando le attrezzature e gli strumenti che ci permettono non solo di esplorare regioni del pianeta prima inaccessibili ma anche di partecipare a eventi solo poco tempo fa inimmaginabili tramite computer, internet e dispositivi mobili.

L’uso mirato dell’avventura nell’educazione è probabilmente iniziato nel 1932 in Gran Bretagna, quando una società di esplorazione per ragazzi, la Public Schools Exploring Society, permise loro di partecipare a esperienze avventurose all’estero. Era stata fondata con la missione educativa di incoraggiare l’apprendimento esperienziale e di diffondere l’idea che le esplorazioni potessero avere uno scopo scientifico, e che non esistono solo viaggi di piacere o avventure fine a se stesse (Allison 2011).

Tuttavia, si può anche dire che l’avventura ha fatto parte dell’educazione fin dai tempi antichi. Basti pensare che alcune culture indigene per centinaia di anni hanno mandato i loro giovani in terre sconosciute affinché affrontassero sfide e conquiste personali, che consideravano un elemento chiave per imparare a sopravvivere nella cultura e nella natura selvaggia (Berry 1990).

Oggi l’avventura è presente in numerosi aspetti della nostra vita e della nostra società: viaggi, sport e giochi, giusto per fare qualche esempio; ma anche film, libri ed esplorazioni scientifiche. Alcune sono rivolte in modo particolare agli amanti del brivido, e non sono necessariamente intese come esperienze di apprendimento o di crescita. Vi sono, però, diversi modi per incorporare l’avventura nell’educazione formale e informale, inclusa l’educazione alla sostenibilità. Combinando elementi di avventura stimolanti, adrenalinici e in grado di nutrire l’immaginazione dei ragazzi, con un solido approccio pedagogico, questi modelli producono esperienze di apprendimento molto ricche. I più noti sono l’educazione all’avventura e l’apprendimento avventuroso. […]

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© Donata Cucchi, Salò 2017, «Resistenze», dal progetto Resistenze.

L’educazione all’avventura

Tra i pensatori fondamentali che hanno influenzato l’approccio all’apprendimento conosciuto come “educazione all’avventura” ci sono il filosofo John Dewey e il pedagogista tedesco Kurt Hahn. Dewey si è concentrato sull’importanza di stimolare un continuum di apprendimento in cui gli studenti imparino non solo dagli insegnanti, ma anche dai loro coetanei e dall’ambiente in cui si trovano, attingendo e ampliano le loro conoscenze preesistenti. Per usare le sue parole: «Ogni esperienza attinge qualcosa da quelle precedenti e modifica in qualche modo la qualità di quelle che seguono» (1938). Dewey ha anche sottolineato il ruolo cruciale dell’apprendimento collaborativo e della risoluzione creativa dei problemi nell’educazione.

Kurt Hahn, un educatore tedesco fondatore di alcuni istituti in Germania e in Gran Bretagna, ha anticipato l’apprendimento esperienziale e il service learning [un approccio didattico che coniuga l’apprendimento a forme di servizio sociale verso la comunità, N.d.T.] con particolare attenzione all’educazione del carattere (Berry 2011). L’educazione all’avventura potrebbe infatti essere considerata il prodotto di organizzazioni come la già citata Public Exploring Society, e più in generale del crescente interesse per l’educazione esperienziale che, a partire dalla prima metà del secolo, scorso portò, fra le altre cose, alla creazione di scuole e organizzazioni come la Salem school (www.salem-net.de), la Gordonstoun School (www.gordonstoun.org.uk) e la Outward Bound (www.outwardbound.org), tutte fondate da Hahn. 

Con il tempo, l’educazione all’avventura ha assunto la forma di un’attività di team building/trust building, ovvero di gioco cooperativo, educazione fisica e sfida ai pericoli dell’ambiente (ad esempio, escursioni con funi o catene, attività nella natura selvaggia, spedizioni). Poiché tipicamente vi partecipano piccoli gruppi, l’apprendimento e l’esperienza sono limitate ai singoli individui o ai gruppetti. Anche se l’educazione all’avventura non si limita alle attività all’aria aperta, è spesso legata all’ambiente esterno, all’educazione ambientale e alla sostenibilità, ed è generalmente impiegata in contesti informali o non formali.

Nei programmi di educazione all’avventura, i partecipanti sono messi alla prova, fisicamente o psicologicamente, con una particolare attenzione all’assunzione di rischi, alla soluzione dei problemi, alla crescita psicologica e allo sviluppo individuale (Berry 2011; Miles 1990). I risultati che in genere ci si aspetta da questo tipo di attività formativa includono il potenziamento del concetto di sé e la costruzione di abilità interpersonali. Hattie (1997) ha identificato nello specifico sei tipologie di risultati: di leadership, di consapevolezza del proprio sé, accademici, di personalità, interpersonali e di inclinazione all’avventura.

Le attività di elaborazione e di riflessione sono presenti in alcuni, ma non in tutti i programmi di educazione all’avventura, mentre gli altri programmi applicano l’approccio non facilitato, conosciuto anche come approccio The Mountains Speak for Themselves (vedi approfondimento a p. 49). Fra i programmi di educazione all’avventura vi sono Project Adventure (www.pa.org), Outward Bound (www.outwardbound.org) e National Outdoor Leadership School (NOLS; www.nols.edu). A parte questi progetti, molte organizzazioni più piccole, compresi gli environmental learning center e i community nature centers, incorporano l’educazione all’avventura nella loro formazione (per esempio l’Eagle Bluff
Environmental Learning Center nel Minnesota sud-orientale).>

All’inizio degli anni Novanta, esploratori come Will Steger, Dan Buettner, Robert Ballard, Lonnie Dupre e Paul Pregont iniziarono a sperimentare come far entrare l’avventura nelle aule usando la tecnologia, con la speranza di sensibilizzare gli studenti di tutto il mondo sulle questioni ambientali e sociali.>

Questi esperimenti nel 2004 hanno portato allo sviluppo di Arctic Transect 2004, un’esplorazione educativa di 3.000 miglia nell’area di Nunavut (il nome dello Stato autonomo degli inuit, nell’arcipelago artico canadese) per investigare gli effetti culturali e ambientali del riscaldamento globale sulle comunità inuit di questa remota regione artica.

Trainati da cani da slitta, i sei partecipanti hanno raccolto dati scientifici sul campo per conto della NASA e per Environment Canada, ma hanno anche incontrato gli anziani e gli studenti inuit per approfondire le conoscenze ecologiche tradizionali delle remote comunità visitate lungo il percorso. Alla spedizione era legato un corso scolastico completo centrato sull’educazione alla sostenibilità, un ambiente di apprendimento online interattivo e un progetto di discussione accademica per l’elaborazione di un nuovo approccio pedagogico definito adventure learning (Doering 2006, 2007; Doering 2009).

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© Donata Cucchi, Bologna 2017, «Senza fine», dal progetto Le Metamorfosi.

L’adventure learning

L’adventure learning fornisce una cornice in grado di progettare esperienze che consentano agli studenti di esplorare all’interno di un ambiente di apprendimento online interattivo i problemi concreti del mondo reale, attraverso narrative autentiche e raccolte sul campo (Doering 2006; 2007). Questo metodo cerca di coniugare l’apprendimento esperienziale (Dewey 1938; Kolb 1984), l’inquiry based learning (Bransford 1999), e l’apprendimento autentico (Jonassen 1991), e abbina un ambiente di apprendimento online con attività condotte in classe e guidate dagli insegnanti. I principi fondamentali su cui si basa sono nove: 

1) un problema e un luogo definiti;
2) apprendimento autentico;
3) un elemento di avventura;
4) un corso di studi serio e  fondato sull’indagine;
5) opportunità di collaborazione e interazione tra studenti, esperti, insegnanti e contenuti;
6) opportunità di apprendimento sincronizzate che legano il contenuto al corso di studio;
7) un luogo online dove i contenuti sono accessibili;
8) l’uso di più media;
9) scaffolding [sostegno, supporto, guide al processo di apprendimento, N.d.T.] sia per gli insegnanti sia per gli alunni.

Per chiarire meglio di cosa parliamo, all’interno di un programma ispirato all’adventure learning, una squadra è coinvolta in una spedizione o in una esplorazione in un determinato luogo e finalizzata ad approfondire una questione sociale o ambientale specifica, ad esempio il cambiamento climatico nell’Artico. Il team si reca sul campo per ricavare i dati e le interviste, che poi vengono messe in comunicazione con un corso scolastico finalizzato ad approfondire lo stesso tema. Le esperienze sul campo, i dati, le risorse multimediali e le osservazioni del team sono condivise online, in un ambiente di apprendimento in cui gli studenti hanno la possibilità di partecipare attivamente e collaborare con gli esploratori, i colleghi di tutto il mondo, i loro insegnanti e un’ampia varietà di esperti sul campo. Un’opportunità di collaborazione e interazione che consente ai ragazzi di creare connessioni tra ciò che sta avvenendo nel mondo reale e i loro studi. Gli studenti non si limitano a partecipare alle discussioni online, ma in aula si confrontano, con l’aiuto degli insegnanti, sui problemi emersi e sulle possibili soluzioni. 

L’adventure learning sposta l’avventura oltre la partecipazione individuale o di piccoli gruppi, portandola attraverso l’apprendimento online nelle aule di tutto il mondo. Diversamente dall’educazione all’avventura, dunque, non è un’esperienza di apprendimento isolata, ma basata sulla condivisione della riflessione. Il suo obbiettivo non è solo generare la consapevolezza di un problema, ma stimolare il coinvolgimento attivo degli studenti nella risoluzione di questioni reali e nella creazione di soluzioni innovative. 

Sono tutte componenti chiave dell’educazione alla sostenibilità, perché, come sottolinea Kemmis (2012), è fondamentale che quest’ultima guidi gli studenti nello sviluppo di competenze che conducano a mettere in atto comportamenti virtuosi per l’ambiente. 

Oltre a GoNorth!, che come abbiamo detto si pone l’obbiettivo di «fornire agli studenti della scuola primaria e secondaria un corso multidisciplinare online incentrato sui cambiamenti climatici, la sostenibilità e la cultura artica» (Veletsianos 2012), altri esempi di progetti che, anche se in misura diversa, hanno utilizzato questo metodo sono Earthducation, North of Sixty, la serie Quest di percorsi in bicicletta, il Progetto Jason, Eat Bike Grow, World by Cycle e AL @ UI.

In tutti questi progetti, le spedizioni sul campo e l’apprendimento autentico giocano un ruolo chiave. Le spedizioni, in particolare, costituiscono il cuore del programma. Generano nei ragazzi eccitazione, coinvolgimento e sfide all’apprendimento, fungendo da percorsi di scoperta che ben si coordinano con l’attività in classe del corso di studio. Queste spedizioni offrono anche un mezzo per raccogliere informazioni, dati e risorse multimediali da condividere con gli studenti e che non si limitano alle voci degli esploratori. L’obiettivo delle spedizioni è infatti quello di raccogliere le narrazioni di persone che vivono e/o lavorano nei luoghi attraversati o che sono comunque legati alla questione concreta esplorata.

Anche la tecnologia gioca un ruolo importante. I team di spedizione utilizzano in genere laptop, unità GPS, videocamere, registratori audio e tecnologie satellitari per raccogliere dati, media e racconti dal campo e per condividerli all’interno dell’ambiente di apprendimento online. Le classi che partecipano al progetto usano computer e dispositivi mobili per accedere agli ambienti di apprendimento, ma anche software specifici per partecipare alle chat e collaborare con altri studenti, con il project team e con gli esperti online.

L’agire educativo per l’educazione ambientale

I programmi di adventure learning si sono mostrati un mezzo efficace per coinvolgere gli studenti nell’apprendimento e in attività di problem solving. Sono al contempo sia un buono strumento per l’insegnamento e l’apprendimento interdisciplinare, sia un modo efficace per collegare l’educazione autentica con l’inquiry-based learning (Doering 2010; Koseoglu 2011; Moos 2011; Veletsianos 2010). Inoltre, è stato dimostrato che i programmi di adventure learning hanno il potenziale per fornire uno sviluppo professionale degli insegnanti di grande impatto, influenzandone anche la motivazione e l’apprendimento (Veletsianos 2012).

Molti ambienti di apprendimento online utilizzano media o testi generici per fornire contenuti allo studente.  Sono incentrati in gran parte su elementi cognitivi e non danno modo agli studenti di interagire tra loro o condividere domande, storie e scoperte. Pertanto falliscono nell’opportunità di generare un’esperienza più significativa, personalizzata e coinvolgente (Parrish 2009; Wilson 2008). Uno degli obiettivi dell’adventure
learning
è invece quello di andare oltre la trasmissione fissa e generica di informazioni verso un pubblico passivo. Il tentativo è piuttosto quello di immergere e coinvolgere gli studenti in un problema e in un luogo specifici, generando in loro un pensiero critico e creativo, una riflessione attiva sulla questione, spingendoli a cercare attivamente soluzioni innovative locali e globali ai problemi sociali e ambientali (Doering 2008). In poche parole, il principale obiettivo dell’adventure learning è generare un apprendimento trasformativo. 

Per queste ragioni, questo metodo didattico ben si allinea agli standard di educazione ambientale, comprese le linee guida dell’Associazione nordamericana per l’educazione ambientale (NAEE) per una educazione ambientale di qualità e per apprendimento che stimoli l’azione. 

Quest’ultimo principio, stabilito nel 1977 dalla Dichiarazione di Tbilisi durante la prima conferenza intergovernativa mondiale sull’educazione ambientale, fornisce un quadro dell’educazione ambientale che sposta il problema dalla consapevolezza e dalla sensibilità verso l’ambiente naturale all’acquisizione di competenze che abbiano l’obiettivo finale di fare partecipare attivamente lo studente alla gestione ambientale, sia a livello individuale sia di gruppo.

L’apprendimento trasformativo smuove la tradizionale percezione di un problema da parte dello studente, sfidandolo a riflettere in modo critico sulle ipotesi e sulle sue convinzioni (Mezirow 1991; 1997). Lascia anche un’impronta duratura sugli studenti, migliorandone la capacità sia di risolvere i problemi in modo creativo e collaborativo sia di trasferire le conoscenze acquisite in ambiti diversi (Wilson 2008).

Nel discutere le esperienze di apprendimento trasformativo e il ruolo svolto dalle emergenti tecnologie, Veletsianos (2011) lancia un appello verso «un passo in avanti verso l’uso della tecnologia per fornire opportunità di trasformazioni personali rilevanti e significative», sottolineando che «al centro dei recenti progressi teorici e tecnologici nell’apprendimento online vi è l’idea di utilizzare la tecnologia come stimolo per la progettazione di nuove esperienze e opportunità per coinvolgere gli studenti nelle comunità online». Veletsianos cita l’apprendimento avventuroso come un metodo potenzialmente in grado di raggiungere questi obiettivi. 

Tratto e adattato da: J. Henrickson, A. Doering, Teaching Sustainability through Adventure, in «The Journal of Sustainability Education», giugno 2013, sul sito www.susted.com/wordpress/content/teaching-sustainability-through-adventure_2013_06/.
Traduzione di Francesca Nicola.


Outward Bound e City Bound

Il modello dell’Outward Bound nasce dall’impegno di Kurt Hahn ed è basato principalmente sull’idea di learning by doing (imparare attraverso il fare).
Hahn rintraccia nella natura il contesto ideale per l’apprendimento e la usa nella pratica come ambiente privilegiato per le attività pedagogiche.
In questa ottica, l’apprendimento avviene in modo migliore attraverso le emozioni e la sfida. Le persone scoprono le loro abilità, i loro valori e passioni, la loro responsabilità in situazioni in cui è presente l’avventura e l’inaspettato. Attraverso specifiche metodologie, i partecipanti sono spinti a svolgere compiti che richiedono perseveranza, forza fisica, padronanza, creatività, autodisciplina. Il compito primario di un educatore esperienziale è aiutare i suoi studenti a superare le loro paure, e a scoprire che sono in grado di fare più di quello quanto credono di poter fare. 

Oggi le scuole che praticano l’Outward Bound sono presenti in 33 Paesi e arruolano più di 250.000 studenti ogni anno, coinvolgendoli in attività di sport in natura, avventura e apprendimento. Negli anni Sessanta negli Stati Uniti si è poi sviluppata poi l’idea di portare l’apprendimento esperienziale in natura anche nell’ambiente cittadino. Sia negli Stati Uniti sia, poco più tardi, in Gran Bretagna, questi programmi si sono diffusi con il nome di “City Bound”. Anziché la natura, questi corsi sfruttano il valore pedagogico della città, offrendo ai partecipanti giochi e attività capaci di favorire la sperimentazione spontanea delle abilità individuali, in un contesto di gruppo stimolante e protetto e in relazione con l’ambiente urbano e i suoi abitanti. 

Mountains Speak for Themselves

L’approccio “Mountains Speak for Themselves” è un orientamento specifico dell’Outward Bound che, basandosi sulla filosofia di Henry David Thoreau, per cui la natura è la più grande insegnante che l’uomo possa trovare, sostiene che le condizioni dell’ambiente in cui una persona è immersa portino automaticamente a un cambiamento dei suoi comportamenti, delle sue azioni e dei suoi pensieri. In quest’ottica, l’acquisizione delle competenze di uno studente è tanto maggiore quanto egli è immerso in un’esperienza di contatto con la natura (come un’uscita di trekking in montagna o l’esplorazione di percorsi naturali sconosciuti) di tipo diretto e frugale: nella sua versione originale, infatti, il modello non solo non prevede, ma addirittura scoraggia la riflessione astratta e la mediazione degli insegnanti, secondo il principio per cui “la montagna parla da sola”.


Per approfondire

  • P. Allison, T. Stott, J. Felter, S. Beames, Overseas youth expeditions, in M. Berry, C. Hodgson, Adventure education: An introduction, pp. 187-205, Routledge, Londra 2011.
  • M. Berry, C. Hodgson, Adventure education: An introduction, Routledge, Londra 2011.
  • J. Dewey, Experience and education, Simon & Schuster, New York 1938/1997.
  • J. Bransford, A. Brown, R. Cocking, How People Learn: Brain, Mind, Experience, and School, National Academy Press, Washington 1999.
  • P. Bunyan, Models and milestones in adventure education, in M. Berry, C. Hodgson, Adventure education: An introduction, pp. 5-23, Routledge, Londra 2011. 
  • A. Doering, Adventure learning: Transformative hybrid online education, in «Distance Education», 27(2), pp. 197–215, 2006
  • A. Doering, C. Miller, Online learning revisited: Adventure learning 2.0, in C. Crawford et al., Proceedings of Society for Information Technology and Teacher Education International Conference, pp. 3729–3735, 2009.
  • J. A. Hattie, H. V. Marsh, J. T. Neill, G. E. Richards, Adventure education and Outward Bound: Out-of-class experiences that have a lasting effect, in «Review of Educational Research», 67, pp. 43-87, 1997.
  • J. Herrington, R. Oliver, T. C. Reeves, Patterns of engagement in authentic online learning environments, in «Australian Journal of Educational Technology», 19(1), 59-71, 2003. 
  • J. Thomas, Can the mountains speak for themselves?, Colorado Outward Bound School, 1980.
  • D. Jonassen, Evaluating constructivistic learning, in «Educational Technology», 31(9), pp. 28-33, 1991.
  • S. Kemmis, R. Mutton, Education for sustainability (EfS): Practice and practice architectures, in «Environmental Education Research», 18(2), pp. 187-207, 2012.
  • D. A. Kolb, Experiential Learning: Experience as the source of learning and development, Prentice Hall, New Jersey 1984.
  • S. Koseoglu, A. Doering, Understanding complex ecologies: an investigation of student experiences in adventure learning programs, in «Distance Education», 32(3), pp. 339-355, 2011.
  • Merriam-Webster, Adventure, 2012, www.merriam-webster.com.
  • J. Mezirow, Transformative Dimensions of Adult Learning, Jossey-Bass, San Francisco 1991.
  • J. C. Miles, S. Priest, Adventure education, Venture Publishing, State College, New York 1990.
  • D. Moos, B. Honkomp, Adventure learning: Motivating students in a Minnesota middle school, in «Journal of Research on Technology in Education», 43(3), pp. 231–252, 2011.
  • P. Parrish, L. Botturi, Assessing engagement and aesthetic qualities in learning experiences, 2009, www.comet.ucar.edu.
  • G. Veletsianos, A. Doering, Long-term student experiences in a hybrid, open-ended and problem based Adventure Learning program, in «Australasian Journal of Educational Technology», 26(2), pp. 280-296, 2010.
  • G. Veletsianos, A. Doering, J. Henrickson, Field-based professional development of teachers engaged in distance education: experiences from the Arctic, in «Distance Education», 33(1), pp. 45-59, 2012.
  • W. Weir, What is adventure? Adventure Cyclist, 2004, www.adventurecycling.org. 
  • B. G. Wilson, P. Parrish, G. Veletsianos, Raising the bar for instructional outcomes: Toward transformative learning experiences, in «Educational Technology», 48(3), pp. 39-44, 2008.
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Aaron Doering

È professore associato in Learning Technologies e co-direttore del Learning Technologies Media Lab presso l’Università del Minnesota. Pioniere dell’adventure learning, ha compiuto numerose spedizioni nell’Artico.

Jeni Henrickson

È PhD in Learning Technologies e collabora con il Learning Technologies Media Lab presso l’Università del Minnesota.

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