L’Europa nei manuali: un’identità evanescente

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Una ricerca sulla descrizione dell’Europa in venti manuali scolastici di geopolitica editi in tutti i continenti mette in luce non poche incongruenze e un forte deficit nell’approccio critico.
Il campanile di San Marco e la Tour Eiffel al parco Window of the World di Shenzhen, in Cina.

La mia ricerca ha preso in esame la rappresentazione dell’Europa e dell’Unione europea in venti manuali di geografia politica per studenti delle scuole secondarie di otto Paesi sparsi in tutti i continenti: Stati Uniti (6 testi), Francia (5), Russia (1), Brasile (4), India (1), Malta (1), Guinea (1) e Burkina Fasu (1). Ho inoltre considerato Esploriamo l’Europa, l’opuscolo didattico per gli insegnanti disponibile dal 2010 sul sito ufficiale dell’Unione europea.

Anticipando in sintesi le conclusioni, va detto che l’approccio comune a tutti questi testi sta nel trattare l’Europa come un’entità reale e già costituita, riducendola però a una lista di aspetti strutturali (i rilevi geografici, gli aspetti climatici e demografici, le tradizioni culturali, le attività economiche e così via), il cui unico punto comune sta nell’essere collocati in un’area convenzionalmente determinata. Questo approccio facilita l’insegnamento sul piano didattico e riduce il rischio di introdurre temi politicamente controversi, ma ha lo svantaggio di presentare l’Unione europea come un progetto politicamente incompleto.

L’approccio tradizionale: l’Europa come continente

Nei manuali di geografia politica, l’Europa è molto spesso raffigurata come un continente, vale a dire un insieme di elementi apparentemente naturali che si suppone circoscrivano e definiscano una regione del mondo più grande degli Stati-nazione. Ma il concetto di continente appartiene alla tradizione della geografia classica, perché implica una naturalizzazione essenzialista dello spazio: si riferisce all’idea di un mondo strutturato dalla presenza di realtà fisiche su scala regionale che il lavoro scientifico dovrebbe individuare, descrivere e spiegare.

Il concetto di continente appartiene alla tradizione della geografia classica, perché implica una naturalizzazione essenzialità dello spazio.Questa naturalizzazione dei confini è spesso usata per reificare l’identità dell’Europa, di cui si parla come una realtà regionale specifica, chiaramente e rigorosamente delimitata in base a criteri fisici. Il più delle volte la si presenta come una penisola circondata da tre aree marine, il Mediterraneo al Sud, l’Oceano Atlantico a Ovest e la frangia meridionale dell’Oceano Artico a Nord. Ciò pone naturalmente il problema delle isole (Baleari, Canarie, Corsica, Sardegna, Sicilia, Creta e Cipro), sistematicamente indicate come una parte dell’Europa nonostante il fatto ovvio che siano fisicamente separate dal cosiddetto continente europeo e a volte abbastanza lontane da esso, come Cipro o le Canarie. Analoghe considerazioni andrebbero fatte per la Gran Bretagna, l’Irlanda e l’Islanda, anche se nessuno dei testi considerati prende in esame tali questioni.

Ciò che invece differenzia le carte geografiche è il luogo scelto per fissare il confine orientale dell’Europa. Nella maggior parte dei manuali, gli Urali sono artificialmente evidenziati da una serie di tratteggi a suggerire l’esistenza di una barriera naturale. Al contrario, i monti del Caucaso sono a volte omessi, permettendo così di includere il territorio turco nel continente europeo.

Questa naturalizzazione dello spazio non considera il fatto che i continenti sono eminentemente costruzioni intellettuali, inventate nel passato da geografi europei per scopi politici e riproposte poi di generazione in generazione per giustificare la visione di ciò che l’Europa e il mondo dovrebbero essere (Grataloup, 2010).

L’importanza degli Urali: un enigma geopolitico

Va quindi ricordato che l’abitudine di porre il confine orientale dell’Europa sui monti Urali deriva da una tradizione inaugurata dal geografo russo Vasily Tatishchev (1686-1750) all’inizio del Settecento per sostenere il progetto geopolitico di Pietro il Grande di saldare il suo impero ai destini europei (Foucher 1998, 1999 Lévy 1997). Il fatto che la natura storica di questa deliberazione sia omessa in tutti i testi esaminati può essere interpretato come una forma di opportunismo pedagogico: è più conveniente attenersi a un’unica visione dell’Europa e chiedere agli alunni di imparare luoghi e nozioni geografiche, piuttosto che discutere criticamente la fondazione politica e ideologica delle teorie dominanti.

Ho trovato tuttavia un’eccezione, un testo di storia della geografia edito in Francia nel 2006 dalla casa editrice Hatier, il Manuel de Première pour classes européennes. Vi si spiega, in modo esemplare per la sua semplicità, che: «da un punto di vista geografico, l’Europa è una penisola asiatica i cui limiti sono difficili da impostare, in particolare sul versante orientale. Già nel Settecento, i geografi, spinti dallo zar russo Pietro il Grande, hanno stabilito gli Urali come confine orientale del continente, anche se questa definizione è ancora oggetto di molte discussioni».

L’abitudine di porre il confine orientale dell’Europa sugli Urali deriva da una tradizione inaugurata dal geografo Tatishchev per sostenere il progetto politico di Pietro il Grande.L’attualità di queste discussioni politiche, del resto, appare evidente anche da un confronto fra i libri di testo. In un manuale francese, i limiti orientali sono rimarcati con una stretta linea rossa e in quelli brasiliani da una traccia altrettanto immaginaria e definitoria. È un approccio molto diverso dalla mappa geografica proposta agli insegnanti sul sito web dell’Europa, in cui nessun confine fisico è chiaramente sottolineato a rischio di creare confusione, dato che nella cartina appaiono anche il Nord Africa e il Mar Caspio.

Ancor più notevoli sono le differenze nei libri di testo americani. Alcuni non comprendono nella rappresentazione dell’Europa né la Turchia né tutti i Paesi nati dal crollo dell’URSS: le Repubbliche baltiche, la Bielorussia, l’Ucraina e la Moldavia sono considerate a parte, poste in un’area geografica intermedia sotto l’influenza russa. Ma quasi al contrario, in un testo pubblicato da Glencoe, McGraw e Hill la demarcazione dell’Europa esclude solo la Russia, e questo è l’unico caso in cui la definizione geografica dell’Europa viene fatta coincidere con la sua attuale dimensione istituzionale, a costo di prescindere dalla ricerca di uno specifico limite naturale.

Ancora diversa è l’immagine dell’Europa presentata sul manuale russo: il suo confine geografico non è collocato sugli Urali ma in una traccia che separa la Polonia, la Romania e gli altri Paesi occidentali dalla Russia, la Bielorussia, l’Ucraina e la Moldavia sul lato orientale. La prima area è etichettata come «Europa straniera» e tutta la rappresentazione suggerisce l’esistenza di un’altra entità europea, posta sotto l’influenza del potere russo, che comprende l’Ucraina, la Bielorussia e la Moldavia.

Il palazzo di Westminster e l’Atomium al parco Mini Europe di Bruxelles.

Il problema della Turchia

L’indeterminatezza dei confini naturali e l’uso politico delle caratteristiche geografiche appaiono anche nelle rappresentazioni del Bosforo, considerato come il confine naturale del Sud-Est europeo da coloro che si oppongono all’ingresso della Turchia nell’Ue in base alla considerazione che la maggior parte del territorio di questo Stato si trova in Asia. Un argomento, questo, molto usato a livello politico.

In realtà, l’incertezza del rapporto fra Turchia e Unione europea appare con chiarezza nel modo in cui questo Stato è rappresentato nei libri di testo. La soluzione più frequente sta nell’attribuirgli due diversi colori, suggerendo così implicitamente che nel Mar di Marmara passi un’invisibile ma reale confine fra Europa e Asia. Alcuni testi francesi tracciano tale confine con una pesante linea rossa, per evidenziare così come la Turchia asiatica sia chiaramente separata dall’Europa. Nei manuali russi e americani, però, anche il territorio turco al di qua del Bosforo, di solito considerato europeo, è chiaramente escluso dal continente e collegato invece al Medio Oriente.

L’omissione del fatto che i suoi confini orientali possono essere stabiliti solo con una decisione politica favorisce l’idea che l’Europa sia una reale entità fisica e geografica. È una visione imperfetta, ma costantemente ripetuta, del resto ben presente anche nei testi dei Paesi non europei e radicata in una tradizione storica che risale al Medioevo. I libri di testo hanno una grande responsabilità nel perpetuarsi di questo luogo comune nell’immaginario politico-sociale: va notato infatti che, quando intendono specificare la realtà dell’Europa aggiornando più o meno inconsciamente il paradigma eurocentrico ereditato dalla tradizione occidentale moderna, molti uomini politici si rifanno proprio a queste rappresentazioni convenzionali, sostenendo che gli alunni di tutto il mondo già a scuola apprendono tali supposte ovvietà.

Di fatto, comunque, l’uso politico di questi confini “naturali” può essere funzionale a strategie diverse. Durante la guerra fredda, il presidente francese De Gaulle insisteva sull’immagine di un’Europa estesa dall’Atlantico agli Urali per contestare le politiche egemoniche portate avanti dagli Stati Uniti nell’Europa occidentale. Oggi invece, per lo meno nei manuali scolastici esaminati, la naturalizzazione dei confini appare soprattutto un modo per reificare la realtà europea depoliticizzandone l’identità.

La narrativa storica fra unità e diversità

Un’altra tendenza molto presente nei manuali è utilizzare vari elementi storici per integrarli in una narrazione provvidenzialistica che fa dell’Europa il prodotto di certi principi essenziali rivelatisi nel corso del tempo. È una lettura teleologica della storia che trasforma alcune caratteristiche del passato in elementi costitutivi o definitori dell’attuale identità europea. Secondo questo approccio, il patrimonio culturale greco-latino e quello giudaico-cristiano si sarebbero mischiati in una civiltà originale, il cui emergere sarebbe legato a uno spostamento del potere geopolitico dal Mediterraneo all’Atlantico del Nord (Braudel, 1979).

Questa visione retrospettiva di una Europa spontaneamente emersa come risultato di tendenze storiche di lunga durata è spesso basata su una ricostruzione selettiva che enfatizza il ruolo di strutture economiche, politiche, religiose o artistiche per giustificare la graduale affermazione di un’unica entità geografica. Ma se da una parte questa narrativa storica cerca di attribuire un fondamento unitario all’Europa, dall’altra esiste anche un approccio contrario che ne valorizza invece le diversità interne e strutturali.

I libri di testo insistono molto su questo aspetto presentando tutti numerose mappe, cartine, fotografie e dati concernenti sia le diversità naturali (rilievi, clima, fauna, vegetazione) sia le differenze linguistiche e religiose, l’ineguale distribuzione della ricchezza e dei flussi migratori, la permanenza di tradizioni locali e del folklore locale.

In sostanza, questo approccio rappresenta l’Europa come un patchwork multi-dimensionale: la mancanza di unità culturale, religiosa e linguistica incoraggia i libri di testo a rappresentare la diversità come la caratteristica essenziale dell’identità europea, associandola così al valore della tolleranza.

In questo modo, però, l’analisi scientifica si trasforma implicitamente in un discorso ideologico sulle virtù della differenza, degli scambi culturali e della complementarità fra gruppi sociali. Da un insieme di dati oggettivi e determinazioni naturali, l’Europa si trasforma in un’entità geografica che realizza le ambizioni sociali e politiche del multiculturalismo. Il testo del Burkina Fasu è particolarmente esplicito nell’associare l’Europa ai valori filosofici della democrazia, del pluralismo e del rispetto dei diritti umani.

Combinandosi fra loro, queste interpretazioni selettive della storia vogliono suggerire l’idea che l’Europa sia emersa da un processo storico lineare e provvidenziale il cui fine sta nell’affermazione dei valori liberali. Si trascura così il fatto, più volte messo in luce da Amartya Sen (2005, 2007), che l’eredità dell’Antica Grecia e le pratiche democratiche sono condivise con altre tradizioni culturali, presenti ad esempio nei Paesi arabi o in India. E lo stesso si può dire per l’eredità del mondo romano e della tradizione giudeo-cristiana, di cui l’Europa non ha affatto il monopolio esclusivo. La permanenza di queste forme di etnocentrismo non incoraggia gli studenti a prendere coscienza dei dibattiti storiografici ed evita di considerare la varietà delle interpretazioni della storia globale oggi presenti nel resto del mondo.

Sotto questo aspetto, è interessante il confronto con le visioni fornite da manuali extraeuropei. L’approccio provvidenzialistico della storia d’Europa è condiviso da tutti i testi statunitensi. Qui l’Europa si presenta come depositaria di un complesso patrimonio di civiltà e al contempo una reazione ai suoi errori del passato (imperialismo, razzismo, Olocausto); è la speranza di un futuro felice fondato su pace, diritti umani e democrazia. Ma nel manuale indiano la visione dell’Europa, senza essere esplicitamente critica, è di certo meno attraente. Appare come una potenza imperialistica che ha conosciuto il suo apice tra il Settecento e la metà del Novecento, un’epoca in cui ha realizzato l’integrazione di diverse regioni del mondo in un unico mercato globale sotto il suo dominio. Ma si nota anche che dal tramonto dell’imperialismo e del colonialismo, il suo ruolo è diventato molto meno importante nel contesto globale.

La Tour Eiffel di Las Vegas, in Texas.

L’Europa come progetto politico 

Dopo aver analizzato l’Europa come un continente e delineato la necessità storica della sua unificazione, alcuni manuali aggiungono una sezione in cui la considerano esplicitamente come un progetto politico in costruzione.

Prima ancora di entrare nel merito di tale progetto, va notata la contraddittorietà di questa sequenza espositiva: o l’Europa è un’entità predefinita, sia per natura sia come esito di una storia plurisecolare, oppure è lo spazio in cui si tenta di costruire un innovativo progetto politico. Non può essere considerata allo stesso tempo come una realtà già esistente e un orizzonte di ambizioni politiche ancora da definire.  È una contraddizione epistemiologica in cui pure cade la maggior parte dei testi esaminati, dimostrando così un’inerzia educativa spiegabile sia con la tendenza a evitare le implicazioni politiche più scottanti delle conoscenze geografiche, sia con la propensione, del resto ben radicata nello stesso progetto europeo, a evitare i conflitti ideologici (Denord,2009;Foucher,1999).

Quando però entrano nel merito degli obiettivi strategici dell’Unione, i testi scolastici mostrano in genere una significativa reticenza. Va ricordato che già dagli anni Cinquanta la costruzione della Ue si è basata su tre diversi tipi di liberalismo:
1) la promozione della pace e dei diritti umani, conformemente alla tradizione liberal-egualitaria;
2) il rispetto per la tolleranza, in coerenza con i principi del multiculturalismo;
3) lo sviluppo di un’economia di mercato in base alle norme dell’ordoliberismo tedesco, fondato sul libero scambio delle merci, la stabilità monetaria, l’abolizione di ogni ostacolo alla concorrenza e l’assunzione da parte dello Stato di un ruolo di mero garante delle regole.

Ebbene, nei libri di testo solo i primi due obiettivi sono ben evidenziati mentre il terzo è quasi sempre assente o non sufficientemente trattato. Ne risulta un’immagine depoliticizzata della Ue, pacificata al suo interno e in alcuni casi addirittura romanzata.

Da questo punto di vista, tuttavia,  è interessante notare una forte differenza tra la maggior parte dei manuali scolastici esaminati e l’opuscolo Esploriamo l’Europa a disposizione degli insegnanti sul sito web della Ue. Qui, infatti, si sottolinea espressamente l’importanza delle norme neoliberiste di governo e si insiste sui valori della stabilità monetaria, della concorrenza e della libera imprenditorialità.

Un deficit nell’approccio critico ai temi europei

Funzionale alla sterilizzazione politica tipica dei manuali è anche l’enfasi su simboli astratti e disincarnati per via della loro innocenza ideologica e della lontananza dal confronto politico attuale. La bandiera europea, le foto di monete e banconote, i palazzi europei di Bruxelles e Strasburgo sono comunemente utilizzati per incarnare un’immagine unificante e non conflittuale dell’Europa. Anche le varie fasi dell’allargamento della Ue sono spesso illustrate con grafici che suggeriscono lo sviluppo di una grande avventura e la crescita del progetto europeo. Notevole, comunque, è il fatto che questa celebrazione di una ritrovata armonia all’interno della costruzione europea sia diffusa tanto nei Paesi del continente quanto nei manuali pubblicati in Brasile, in India o negli Stati Uniti.

In sostanza, i programmi di studio e i libri di testo europei forniscono una visione allo stesso tempo entusiasta e normativa di ciò che l’Unione europea è e deve essere. Gli studenti non sono incoraggiati a discutere o criticare il federalismo o il neoliberalismo delle politiche che hanno caratterizzato l’integrazione politica dal 1950 (Denord 2009). Va notato, infine, che l’euroscetticismo non è del tutto omesso in questi testi, anche se le sue ragioni non sono mai analizzate in modo approfondito, suggerendo l’idea che la sfiducia nella Ue sia dovuta o all’ignoranza dei suoi obiettivi, o alla resistenza dei nazionalismi novecenteschi o alla riemergenza dei localismi etnici.

Tratto da: Arnaud Brennetot, Europe representations in text books, in «HAL Archives-ouvertes», 2011, https://halshs.archives-ouvertes.fr/halshs-00648767.
Traduzione di Francesca Nicola.

Per approfondire

  • F. Braudel, Civilisation matérielle, économie et capitalisme, XV-XVIII siècles, Armand Colin, Paris 1979.
  • F. Denord, L. Schwartz, L’Europe sociale n’aura pas lieu, Raisons d’agir, Paris 2009.
  • M. Foucher, Fragments d’Europe. Atlas de l’Europe m.diane et orientale, Fayard, Paris,1998.
  • M. Foucher, La République européenne, entre histoires et géographies, Belin, Paris 1999.
  • C. Grataloup, L’invention des continents, Larousse, Paris 2010.
  • J. Lévy, Europe : Une Géographie, Hachette, Paris 1997.
  • A. Sen, La d.mocratie des autres, Pourquoi la libert. n’est pas une invention de l’Occident, Payot, Paris 2005.
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Arnaud Brennetot

È maître de conférences in Geografia presso l’Università di Rouen e membro della UMR IDEES, un organismo di ricerca afferente al Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS).

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