Lettura creativa e scrittura mimetica per lavorare con lentezza

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La frase “i giovani non leggono più” echeggia come un mantra ovunque. La realtà? Leggono più o meno quanto i loro adulti di riferimento, ma sono monitorati in modo più sistematico e capillare. Un progetto racconta come provare a stimolare la lettura attraverso la scrittura.

 

“Leggono Shakespeare?” chiese il Selvaggio mentre,
diretti ai laboratori biochimici, passavano
davanti alla biblioteca scolastica.
“ Certamente no” rispose la direttrice arrossendo.
“La nostra biblioteca – spiegò il dottor Gaffney –
contiene soltanto libri di referenza. Se i giovani
hanno bisogno di distrazione, possono procurarsela
al cinema odoroso. Noi non li abbiamo incoraggiati
ad indulgere ai divertimenti solitari quali che siano”.
(A. Huxley, Il mondo nuovo)

La frase “i giovani non leggono più” echeggia come un mantra nelle aule scolastiche, nelle sale docenti, nelle trasmissioni radiofoniche, durante i colloqui scuola-famiglia, nelle conversazioni tra adulti sempre più allarmati. Per quanto nella sostanza veritiera, questa affermazione risulta riduttiva – se non rischiosamente autoassolutoria – per diversi ordini di ragioni. Innanzitutto finisce per suggerire l’idea di una società inspiegabilmente scissa tra adolescenti sempre meno inclini alla lettura e una schiera di adulti forti lettori; sappiamo bene che le cose non stanno così: le recenti rilevazioni sulle competenze in lettura, scrittura e calcolo degli italiani in età lavorativa (dai 16 ai 65 anni) tratteggiano un quadro di diffuso analfabetismo funzionale. I giovani leggono dunque più o meno quanto i loro adulti di riferimento, ma sono monitorati in modo più sistematico e capillare.

L’aspetto più scivoloso di questa interpretazione dei fatti è però probabilmente un altro: sembra che al progressivo, generale disinteresse per i libri corrisponda l’affermarsi di una communis opinio che attribuisce all’atto stesso di leggere virtù quasi taumaturgiche, senza considerare che ci sono molte modalità diverse di lettura e di scrittura, non tutte allo stesso modo fruttuose. Non sembra sufficiente, dunque, proporre liste di titoli, (de)portare gli alunni in biblioteca o in libreria, imporre di scrivere sintesi di libri, verificare l’avvenuta lettura attraverso questionari irti di trabocchetti oppure – pratica in cui chi insegna si imbatte purtroppo sempre più di frequente – promettere ai propri figli qualche banconota per ciascun volume letto.

Philip Roth alla residenza per artisti Yaddo nel 1968, © Bob Peterson/Time Life Pictures/ Getty Images.

Volendo analizzare il fenomeno in modo più corretto e sistematico, si potrebbe piuttosto affermare che i giovani partecipano di una comune tendenza alla riduzione delle capacità di concentrazione, di ascolto, osservazione, riflessione; sembra che sia questo il prezzo da pagare per il vertiginoso aumento di dati ed esperienze a nostra disposizione e per l’estrema facilità di reperimento delle informazioni che hanno caratterizzato l’ultimo decennio.
Si tratta probabilmente di un dato fisiologico, di una tendenza evolutiva della società con cui non possiamo non fare i conti; di fatto però la rapidità, la pluralità e simultaneità di stimoli, la tendenza a lavorare a ritmi accelerati, senza soffermarsi nell’osservazione dei dettagli, mal si accordano, se non con la lettura in generale, con quella che consideriamo “lettura utile”. La scuola ha forse il compito di adeguarsi alle tendenze del suo tempo; ma può anche assumersi la responsabilità, quando sembri opportuno, di “fare da controcanto alla società”, per usare una bella formula del maestro Franco Lorenzoni, recuperando spazi alla lentezza, alla accuratezza, alla dimensione artigianale della fruizione e della produzione di testi, per quanto questa possa sembrare una battaglia di retroguardia.

Diverse sono le attività promosse con questo fine nella scuola italiana negli ultimi anni, spesso sorte in modo spontaneo e senza una rete di coordinamento e comunicazione reciproca; noi ci abbiamo provato nel 2010 con “La pagina che non c’era”, un progetto che mira ad integrare la lettura con la produzione testuale, mettendo in pratica la modalità di trasmissione del sapere più naturale che esista, quella che si basa sull’imitazione. Il progetto nasce nell’Istituto “Pitagora”, una scuola secondaria di secondo grado in cui sono presenti vari indirizzi di studio, dal Liceo Classico all’Istituto Professionale; le attività ruotano intorno a un concorso di scrittura per ragazzi, che giunge quest’anno alla sua sesta edizione, rivolto a tutte le scuole secondarie di secondo grado presenti sul territorio nazionale.

Ogni anno il Comitato Scientifico, composto da docenti, seleziona tre o quattro libri di recente pubblicazione: è un momento molto utile alla nostra crescita professionale, il punto di arrivo di una ricerca che in genere dura tutta l’estate e che ci porta a sperimentare, esplorare, scambiarci consigli, compulsare recensioni, leggere nuovi testi con gli occhi dei potenziali giovani lettori. Un’occasione di autoaggiornamento per molti versi ben più utile di tanti pretestuosi corsi di formazione.

Uno studente interviene durante un incontro con gli autori dei libri selezionati. © Roberto Schettino.

Scelti i libri, viene pubblicato il bando; i ragazzi devono leggere almeno uno dei testi e prepararsi all’incontro con gli autori, propedeutico alla fase produttiva del concorso, in cui dovranno inserire una “pagina che non c’era” in un punto qualsiasi del libro, imitandone lo stile e rispettandone la coerenza narrativa. La necessità di produrre un testo secondo regole precise spinge a una lettura attenta e meditata e fa degli incontri con gli scrittori qualcosa di più di un “evento culturale”: si tratta di una tappa funzionale allo svolgimento di un lavoro, quasi un confronto tra maestro e apprendista in una bottega artigiana. Le domande vertono necessariamente su dati tecnici, scelte stilistiche, possibili alternative, caratteristiche minute di singoli personaggi; le risposte degli autori offrono possibilità di rilettura, spunti di riflessione su cui i ragazzi torneranno nei mesi successivi.

Ma questi incontri costituiscono anche il pretesto per organizzare un festival, “Scrittori tra i banchi”, in cui si alternano laboratori di scrittura, produzione di testi poetici e in prosa, lettura, ascolto musicale, riflessione storiografica, il cui elemento comune è la centralità data alla fase produttiva caratterizzata dal metodo mimetico. Docenti della scuola e dell’università, studiosi, sceneggiatori, poeti, giornalisti si confrontano con i ragazzi e mettono in comune pratiche didattiche ed esperimenti di produzione; da questi incontri è nato il testo Dalle pagine al quaderno. Cinque anni di pagina che non c’era (Salerno, Arcoiris 2016), che si propone di offrire ai docenti spunti utili per costruire percorsi e momenti di didattica laboratoriale da sperimentare anche in orario curriculare.

Verso la fine della primavera arrivano, a decine, le pagine scritte dai ragazzi. Il Comitato Scientifico si riunisce, con il difficile compito di selezionare le cinque pagine migliori per ciascun testo: anche questo è un momento di grande valore formativo per i docenti, in cui ci si confronta sui criteri di valutazione e sulle modalità di correzione, mettendo in pratica forme di lavoro comune che nella scuola sembrano sempre più limitate alla sterile correzione di test a risposta multipla imposti dall’alto.

Le cinquine finaliste vengono poi inviate agli autori dei rispettivi libri: saranno loro a scegliere la pagina vincitrice, quella che ha colto lo spirito del loro lavoro producendo la più convincente e originale “variazione sul tema”. L’invito a essere originali pur all’interno di un processo mimetico è infatti la grande sfida che lanciamo ai nostri alunni: vincolati a una contrainte stringente, devono impadronirsi dell’armamentario retorico e stilistico dei loro modelli, ma poi andare oltre, compiere quello sforzo di immedesimazione e, insieme, di straniamento da sé che è alla base del processo letterario e trovare un spunto, un angolo in cui inserire il proprio contributo. Gli autori lo riconoscono spesso nelle loro motivazioni: la “pagina che non c’era” può aggiungere al testo elementi che loro non hanno voluto o potuto trattare, sviluppare suggestioni lasciate in sospeso, suggerire una chiave di lettura inaspettata.

Non si tratta, naturalmente, di trasformare centinaia di ragazzi in aspiranti scrittori: la nostra ambizione è piuttosto quella di incoraggiarli in un lavoro di osservazione attenta, meditata riflessione, produzione non estemporanea ma sedimentata e ponderata, diluita nel tempo, che richieda pazienza e labor limae. Che si tratti di un testo narrativo, di un graphic novel, dell’illustrazione di un libro di divulgazione scientifica, della creazione di un falso documento storico (queste fino a ora le strade battute dal nostro progetto, ma molte altre sono possibili) la questione non è forse tanto leggere o non leggere, ma imparare a osservare, riflettere, lavorare con lentezza.

Un incontro con Stefano Benni organizzato da La pagina che non c’era. © Roberto Schettino.

La sezione scuole medie: sfide, metodi e risultati

La scuola è uno spazio fisico e mentale dove esplorare apprendimenti diversificati. La normativa e la società di oggi sollecitano una preparazione significativa degli alunni attraverso la suggestione dell’insegnare per competenze.
Le competenze elencate nelle Indicazioni nazionali per il curricolo sono quelle del cittadino europeo, in primis la comunicazione nella madrelingua, che travalica l’ambito disciplinare ed è uno strumento essenziale e necessario per la comprensione e la narrazione della realtà.
Per raggiungere questo obiettivo la scuola si orienta verso esperienze significative come i compiti di realtà, per passare da un sapere tecnico e sequenziale a uno pratico e reticolare.

Il progetto del concorso “La pagina che non c’era – sezione medie” nasce con l’obiettivo di mettere insieme queste sollecitazioni: libri calibrati per i ragazzi, i cui protagonisti sono adolescenti, consentendo un processo di identificazione che è necessario nei lettori di questa età; la classe “spazio laboratorio” con la lettura collettiva in cui c’è cura per l’ascolto e attenzione al tono e alle pause.

L’esplorazione del libro che continua a casa, perché in classe non si è conclusa la lettura del capitolo e il desiderio di leggere rimane. Il libro nella sua forma cartacea, portato con sé a scuola e mostrato con fierezza ai compagni:” Guarda io ce l’ho! Il mio ha la copertina cartonata!”, annusato come piace ai lettori analogici, ma anche letto online e visualizzato sulla LIM in digitale, catturando anche l’alunno meno interessato; o ancora il testo fruito mediante l’audiolibro, che consente ai non vedenti e ai dislessici di godere del brano senza l’ostacolo della decodifica lenta e difficile delle parole.
Il percorso continua, si superano i limiti dell’aula e s’incontra l’autore con ragazze e ragazzi che hanno letto lo stesso libro e fanno domande, domande su domande, ormai l’autore è uno di loro.

La sezione del concorso dedicata alle scuole medie presenta delle difficoltà proprio per l’età dei ragazzi, preadolescenti curiosi di conoscere il mondo. È richiesta una cura particolare dei contenuti, del linguaggio e dei messaggi, che devono essere adeguati ai loro bisogni cognitivi ed emotivi. Quest’anno Fabio Geda ha raccontato di come ha scelto la storia di Enajat, il protagonista del libro, del fatto che si è innamorato di come lui gli ha raccontato la sua vicenda umana, di come riuscisse a raccontare un’esperienza drammatica sempre con leggerezza e speranza. Ha parlato del “rubare non solo lo sguardo, ma anche la lingua” delle atmosfere linguistiche orientali, del disegnare la pagina con scelte particolari, della costruzione del testo con la mancanza di punteggiatura, dell’importanza della lettura, che è una modalità non migliore, ma diversa di sedimentare una storia: il libro viene scritto due volte, una prima dall’autore e una seconda da chi lo legge. Alla fine ha dato dei consigli per aggiungere “la pagina che non c’era”: suggestiva è stata l’espressione “carotaggio”: per Geda raccontare storie vuol dire eseguire un carotaggio nella realtà: «prendere una storia ed entrarci in profondità affinché questa diventi simbolo di altre e scrivere la pagina mancante vuol dire entrare nel testo e aggiungere qualcosa, vedere un pezzettino di terreno che lui non ha visto e scriverlo».
Altri scrittori sono rimasti nel cuore dei ragazzi, come Francesco D’Adamo, l’autore di Mille pezzi al giorno, che, come ha scritto Delfina Curati nella recensione per il nostro sito lapaginachenoncera.it, «è riuscito a parlare di tecniche narrative, mimesi stilistica, Bildungsroman e autodiegesi, senza mai pronunciare nessuna di queste parolacce da manuale».

Il concorso è cresciuto e ha preso forza in questo: cercando di proporre belle storie da leggere; la produzione di narrativa per ragazzi, soprattutto di tipo scolastico, è purtroppo molto deludente: storie sminuite e banalizzate con messaggi retorici che non danno spazio alla riflessione e alla crescita intima e culturale del lettore.
Leggere una storia ben costruita rimane nel profondo, è una esperienza significativa e questo andrebbe aggiunto ai dieci diritti del lettore di cui parla Daniel Pennac, l’undicesimo, un diritto speciale degli alunni: leggere a scuola un libro che rimanga nel cuore.

Una buona storia è l’elemento necessario per la riuscita del percorso, ma è fondamentale la volontà dei docenti di partecipare. Questo concorso non va considerato “altro” dalla didattica tradizionale, ma un’opportunità per agire un compito di realtà con gli ingredienti necessari. È un’occasione didattica costruita da persone che vivono la scuola in prima linea, sono in classe e toccano con mano quotidianamente le difficoltà di avvicinare i ragazzi alla lettura e alla scrittura, un mondo fatto di tempo e di gusto per la lentezza, distante dalla velocità della realtà liquida di oggi.

Il cuore del concorso è la produzione di una nuova pagina del libro, seguendo i criteri di stile, di contenuto e di originalità. La scrittura per i ragazzi riveste un ruolo fondamentale di formazione; l’esercizio di stile richiesto, l’inventio, necessita di una manipolazione del testo al fine di una riappropriazione, nel contenuto e nella forma, stimola processi cognitivi di analisi, di comparazione e di rielaborazione e pone l’accento sul dato importante di consapevolezza della realtà.

Il momento della premiazione è una festa per i ragazzi e per gli organizzatori è il punto di arrivo di un lungo lavoro fatto anche dalla lettura dei numerosi elaborati prodotti: è entusiasmante leggere tanti testi, immaginare ciascuno che riempie la pagina vuota, toccare con mano la creatività di ogni ragazzo, la sua energia mentale; è un lavoro faticoso ma ricco di emozioni.

Il logo dell’iniziativa.

La pagina che non c’era

  • Dal 2010 abbiamo organizzato sei edizioni del concorso, che ha visto la partecipazione di più di 60 scuole sul territorio nazionale; la giuria ha ricevuto più di 500 elaborati.
  • Gli autori che hanno partecipato a “La pagina che non c’era” sono: Andrea Bajani, Stefano Benni, Francesco D’Adamo, Maurizio de Giovanni, Ornella Della Libera, Fabio Geda, Giuseppe Genna, Viola Di Grado, Gaetano Di Vaio, Nicola Lagioia, Sergio Lombardi, Andrej Longo, Valerio Magrelli, Marco Malvaldi, Margherita Oggero, Valeria Parrella, Paolo Piccirillo, Luca Rastello, Antonio Scurati, Paola Soriga, Andrea Tarabbia, Maurizio Torchio, Raffaele Tripodi, Paolo Zanotti.
  • Le case editrici dei testi scelti per il concorso sono: Adelphi, Ad est dell’Equatore, Baldini Castoldi Dalai, Beccogiallo, Bompiani, Einaudi, e/o, Mondadori, Nutrimenti, Ponte alle Grazie, Rizzoli, Sellerio, Zanichelli.
  • Per la sezione scientifica “L’immagine che non c’era” abbiamo invitato: Amedeo Balbi, Andrea Baldassarri, Nicola Nosengo.
  • La sezione graphic novel “La tavola che non c’era” ha visto la partecipazione di Francesco Barilli e Manuel De Carli; Ciaj Rocchi e Matteo Demonte.
  • Hanno tenuto seminari e lezioni durante il festival “Scrittori tra i banchi”: Stefano Bises, Alessandra Coppola, Francesco de Cristofaro, Cristiano De Majo, Pier Paolo De Martino, Gabriele Frasca, Alessandro Gallo, Benedetta Gargano, Eugenio Lucrezi, Gianni Maffei, Luciana Mignola, Matteo Palumbo, Miriam Rebhun, Riccardo Rosa, Francesca Russo, Pasquale Scherillo, Gennaro Schiano, Enza Silvestrini, Paolo Trama, Marco Viscardi.
  • Il progetto è patrocinato dai Comuni di Napoli e di Pozzuoli e ha ottenuto due riconoscimenti nazionali: Premio Mibac 2012 come miglior progetto per la promozione della lettura e Premio Gutenberg 2013. Per la quinta edizione ha beneficiato del contributo del Forum delle Culture 2013 (bando Forum scuole).
  • Nel gennaio 2015 “La pagina che non c’era” si è costituita in Associazione per riuscire a coinvolgere un numero maggiore di scuole e per aprirsi alla società civile; l’organizzazione opera in rete con le associazioni “A voce alta” e “DiSciMus”.
  • Coordinamento e progettazione: Diana Romagnoli, Maria Laura Vanorio.
  • Comitato tecnico-scientifico e giuria scuole superiori: Brunella Basso, Raffaella Bosso, Delfina Curati, Giuseppe Girimonti Greco, Elisabetta Himmel.
  • Comitato tecnico-scientifico e giuria scuole medie: Fiorella Angelillo, Giovanna Callegari, Francesca di Fenza, Nunzia Meluccio, Concettina Rimedio.
  • Responsabili sezione scientifica: Andrea Baldassarri, Isabella Buono, Paola Cannada Bartoli.
  • Gestione del sito web e comunicazione: Giovanna Arnone, Giovanni Pipola.
  • Istituti promotori: I.S.S. “Pitagora” (Pozzuoli), I.C. “G. Falcone” (Napoli) , I.C. “F. Russo” (Napoli), I.C. “Oriani-Diaz” (Pozzuoli).
  • Hanno sostenuto e sostengono a vario titolo la nostra attività: la società di navigazione TTTLines, l’Hotel Vesuvio, la società City Sightseeing Napoli, le case editrici Feltrinelli, Chiarelettere, Mondadori, Clichy, BeccoGiallo, Adelphi.
  • Sul sito lapaginachenoncera.it le pagine finaliste e vincitrici, le motivazioni degli autori, la rassegna stampa e molto altro.
  • Per info: lapaginachenoncera@outlook.it.
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Francesca Di Fenza

Laureata in pedagogia, da vent’anni docente di italiano nella secondaria di I grado, insegna attualmente nell’I.C. “Giovanni Falcone” di Napoli. Ha lavorato nel settore informatico e ha approfondito gli studi delle Scienze Umane e delle ITC; collabora con il FADI, centro OPPI-MI, nell’attività di ricerca in campo educativo e di formazione. Fa parte del comitato tecnico-scientifico della sezione medie de “La pagina che non c’era”.

Raffaella Bosso

Docente di italiano e latino nei Licei, fa parte del comitato tecnico-scientifico de “La pagina che non c’era”. Ha conseguito un dottorato di ricerca in archeologia e si occupa soprattutto della ricezione dell’antico in età moderna, collaborando con soprintendenze e università. Ha curato diversi progetti sull’archeologia per la scuola.

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