Letteratura illegale

Tempo di lettura stimato: 7 minuti
Robert Darnton torna in libreria con “Editori e pirati”, un saggio che, nel ricostruire le vicende dell’editoria pirata del Settecento, offre anche un intrigante ritratto del secolo filosofico

 

Questo libro racconta la storia segreta dell’editoria pirata, e oltre che a Weber si ispira a Balzac, le cui Illusioni perdute ritraggono la corsa al prestigio e al profitto nel mercato librario di inizio Ottocento. Autori, editori e librai abitavano un mondo altrettanto vivace nell’Età dei Lumi, e le loro vite meritavano di essere narrate non solo per ciò che rivelano sulla cultura del XVIII secolo, ma anche per sé stesse (p. 16).

Disincagliare lo studio del Settecento dalle sabbie dell’erudizione e dell’iper-specialismo coniugando acribia di storico e affondi da narratore è uno dei maggiori meriti di Robert Darnton, il cui interesse per le vicende del secolo dei Lumi è prevalentemente angolato nel senso di una ricostruzione di ambienti, uomini, rapporti, capace di abbracciare tutti gli aspetti di quel tempo e di quella società, non ultimi quelli del costume e della mentalità. Il suo La dentiera di Washington – riproposto nel 2007 da Adelphi col titolo L’età dell’informazione e tradotto da Franco Salvatorelli – rappresenta ancora, a distanza di venticinque anni, un ottimo punto di partenza per chi voglia avvicinarsi allo studio, o anche solo a una migliore comprensione, dell’epoca che con maggior appetito si è nutrita all’albero della conoscenza, per dirla col citato Max Weber.

Con Editori e pirati, appena pubblicato da Adelphi con la traduzione di Svevo D’Onofrio, Darnton torna a esplorare la storia materiale e simbolica della stampa clandestina di area francofona durante un periodo di snodo nella formazione della cultura contemporanea. «Nell’Europa della prima età moderna», leggiamo nell’Introduzione, «i concetti di libro, autorialità, editoria, pirateria e nozioni affini erano ancora fluidi e indeterminati» (p. 14). Solo infatti a Ottocento già maturo l’editoria emergerà come funzione specifica, distinta dalla realizzazione e dalla vendita dei libri. In precedenza si dava solo un’enorme zona grigia fatta di proteiformi realtà imprenditoriali e professionalità non ancora specializzate, dove il concetto di copyright non esisteva e il commercio legale destinato a un’élite facoltosa confliggeva con una ben più vasta industria abusiva impegnata a produrre contrefaçons, ovvero prodotti adatti alle tasche di un pubblico non abbiente ma nondimeno famelico di ghiotti bouquins.

Tale scenario determinò per tutto il Settecento un feroce scontro geo-politico tra Parigi, dove operavano i detentori del monopolio sui privilèges editoriali – ossia di fatto i soli legittimati a realizzare e smerciare determinate opere – e quella che Darnton chiama Mezzaluna Fertile, un’area corrispondente in realtà a mezza Europa (da Amsterdam a Bruxelles, dalla Renania alla Svizzera fino ad Avignone) punteggiata di manifatture librarie ai limiti o fuori dalla legalità, in costante lotta coi poteri, governativo e corporativo, della capitale francese e spesso anche tra di loro.

Tali imprese piratavano senza ritegno, e disinvoltamente – tagliando, modificando, ricombinando in barba alla volontà d’autore – tutto ciò che poteva trovare spazio sul mercato, a partire dai libelli che i funzionari al servizio della corona di Francia avevano censurato, così inondando i banchi dei bouquinistes di tomi contenuti nel costo e dai contenuti spesso dirompenti – livres philosophiques, trattati scientifici, scritti sediziosi quando non sovversivi, e soprattutto le molto redditizie opere pornografiche (una scena underground già esplorata dallo storico statunitense in L’intellettuale clandestino, Garzanti, Milano 1990, trad. G. Ferrara degli Uberti). Il giro d’affari era enorme, se si pensa che «almeno metà dei libri commerciali venduti in Francia tra il 1750 e il 1789 erano piratati» (p. 15).

Il volume è tripartito: nella prima parte l’autore fa il punto sulla storia dell’editoria e sulla natura dello smercio di testi a Parigi; nella seconda ricostruisce alcune biografie di importanti editori dell’epoca, restituendo colore a figure notevoli ma la cui immagine risultava brunita dal tempo; nella terza infine ci conduce tra le mura di una delle grandi stamperie del tempo, la Société typographique de Neuchâtel, i cui archivi permettono di comprendere alcuni aspetti cruciali delle dinamiche interne ed esterne che caratterizzavano la vita di un’attività commerciale (e latamente culturale) del XVIII secolo, seguendone le sorti dalla fondazione fino all’epilogo della bancarotta.

Pur innervando le sue ricerche di una fine metodica storiografica, e non lesinando dati d’archivio e puntuali ricostruzioni di intricatissime vicende giocate su più paesi e decenni diversi, Darnton passa al vaglio i materiali senza farsi sopraffare dall’ingente massa dei documenti trattati, ben distribuita nel ricco, ordinato apparato di note. Come spesso capita con i migliori studiosi anglosassoni, il risultato è una scrittura di andamento scorrevole, qua e là animata da spunti che invitano il lettore a sorridere, o a riflettere, delle e sulle sorti umane, ma capace anche di cogliere in sintesi, e problematizzare, fenomeni di ampia portata.

Lungi dall’idealizzare l’età pre-rivoluzionaria, l’autore lega fili apparentemente distanti e di colore diverso per svelare da un lato le pratiche sociali che stavano dietro la circolazione dei libri, dall’altro i processi reali del gioco capitalistico, palesati da un sistema di mercato tanto “libero” da risultare interamente sottoposto alle leggi coercitive della concorrenza, e pertanto di fatto indisciplinato e indisciplinabile (competizione priva di regole, sfruttamento, raggiri). Un paradosso perfettamente illustrato dal fatto che la confiance, la fiducia nei colleghi, negli autori, nei librai, era l’architrave di tutto il settore… del falso. Come operavano i pirati della Mezzaluna Fertile, si chiede Darnton? E così si risponde: «facevano e disfacevano gli accordi, si associavano e si separavano, e adattavano continuamente la strategia e le tattiche al mutare imprevedibile delle circostanze. La pirateria consisteva nel mobilitare capitali, cogliere le opportunità, correre rischi, avere accesso a informazioni affabili, scommettere, bluffare e capire quando incassare e abbandonare il tavolo» (p. 243). Variazione, fluidità, mobilità, stato permanente di incertezza e di lotta: insomma, l’economia di mercato ai suoi albori, e per certi versi in purezza.

Inevitabilmente dunque raccontare il tentativo del potere di ridurre sotto il proprio controllo la stampa con ripetuti provvedimenti, peraltro di scarsa o nulla efficacia; restituire le astuzie di una vera e proprio biblio-star dei suoi tempi come Voltaire, abile nel giocare di sponda tra editori e tipografi; ricostruire le vicende di alcuni spregiudicati affaristi d’epoca significa soprattutto evidenziare un altro aspetto di quell’età di faglia che fu il Settecento: il dissidio tra la fissità dello Stato autoritario e l’imporsi dinamico di un’economia monetaria dove il denaro già agiva da dissestatore di antichi regimi e insieme da livellatore radicale di ogni altra forma di distinzione sociale. Da un lato le retrive forze poliziesche impegnate a mantenere un ordine ormai fuori controllo, dall’altro la modernità che s’imponeva sotto forma di caotica, incessante lotta per la sopravvivenza.

Sballottati tra queste due spietate forze monocratiche, gli audaci pirati con le loro funamboliche peripezie giuridico-finanziarie, in modo quasi sempre involontario, diciamo per eterogenesi dei fini, finirono per favorire condizioni non standardizzate di produzione e diffusione della parola scritta, sensibilizzando migliaia di persone verso nuovi e diversificati orizzonti culturali, e di fatto determinando una democratizzazione dell’accesso ai saperi. È infatti anche in virtù di questi filibustieri che nel Diciottesimo secolo il libro si afferma, su scala più larga di quanto mai fosse avvenuto in precedenza, come il veicolo ideale per diffondere la creatività umana, le scoperte scientifiche, il progresso economico, sociale, civile.

Non solo grazie ai contenuti dell’Encyclopédie o dei capolavori di Rousseau, ma anche per il tramite delle astuzie, dei raggiri, delle sfide alle istituzioni dei tanti personaggi davvero romanzeschi che trafficavano nella Mezzaluna Fertile la carta stampata ha rappresentato nel Settecento un presidio di civiltà in vista dell’obbiettivo dell’emancipazione umana e del perseguimento del bene pubblico, anche in un’ottica di desacralizzazione e demistificazione della conoscenza. Ecco, Darnton non cita neppure una volta un altro fan di Balzac come l’autore del Capitale, ma è chiaro che il frutto delle sue analisi cade molto vicino all’albero delle acquisizioni marxiane.

Condividi:

Riccardo Donati

Docente e saggista, insegna all’Università di Napoli “Federico II”; tra i suoi lavori più recenti ricordiamo “I veleni delle coscienze. Letture novecentesche del secolo dei Lumi” (Bulzoni, 2010), “Le ragioni di un pessimista. Bernard Mandeville e la cultura dei Lumi” (ETS, 2011), “Nella palpebra interna. Percorsi novecenteschi tra poesia e arti della visione” (Le Lettere, 2014), “Critica della trasparenza. Letteratura e mito architettonico” (Rosenberg & Sellier, 2016), “La musica muta delle immagini. Sondaggi critici su poeti d’oggi e arti della visione” (Duetredue, 2017), “Apri gli occhi e resisti. L’opera in versi e in prosa di Antonella Anedda” (Carocci, 2020), “Il vampiro, la diva, il clown. Incarnazioni poetiche di spettri cinematografici” (Quodlibet, 2022), “«Queste mie carte argute». Sei studi su Giuseppe Parini” (Cesati, 2022). Si occupa di letteratura italiana ed euro-statunitense dal Settecento a oggi, con interventi in volume e in rivista; nel 2013 l’Accademia Nazionale dei Lincei gli ha attributo il “Premio Giuseppe Borgia” per i suoi contributi sulla poesia.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it