La filosofia nasce dal terrore? Forse quella di Severino

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Il 31 dicembre scorso è stato pubblicato sulla pagina Facebook di “Filosofia” un post in cui viene ripresa l’interpretazione di Severino del passo aristotelico che ho qui avuto già modo di discutere secondo cui, se l’interpretazione corrente è buona, la filosofia nasce dalla meraviglia (Metafisica, A, 2, 982b, qui e qui i miei testi).

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Aristotele, si legge nel post (e si sente nel video allegato), usa il termine thâuma, che vorrebbe dire infatti ben più che meraviglia. Si tratta di una parola che, dice Severino, nel suo significato originario significa «terrore», «paura». Secondo Severino si tratterebbe di paura del dolore, della morte, dell’infelicità. Mi fa piacere che l’autorevole pensatore prenda le distanze dall’idea che la filosofia nasca dalla meraviglia. La sua interpretazione di quale sia la “vera” origine della filosofia, fondata su ragioni terminologiche, non mi pare però convincente sia rileggendo con attenzione il testo aristotelico, sia riflettendo sulle cose stesse. Proverò, in breve, a spiegarmi.

Andiamo al testo di Aristotele e proviamo a rileggerlo (sempre nella traduzione di G. Reale): “Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli altri astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo”. Letto il passo nel suo intero si capisce la scelta di tradurre con “meraviglia” poiché, a tradurre con “terrore”, l’effetto sarebbe straniante: le difficoltà più semplici suscitano terrore o anche solo paura? Con gli esempi che Aristotele fornisce si fuga poi qualsiasi dubbio residuo: nessuno viene terrorizzato dalla luna piena (se non Remus Lupin, il professore licantropo di Harry Potter) e nessuno prova paura nel pensare a come è nato l’universo. Si tratta di quesiti teorici di un certo grado di astrazione che suscitano reazioni emotive raffinate, come appunto la meraviglia e, a mio parere soprattutto, la curiosità. Severino, insomma, mi pare che guardi al termine, ma non al contesto e perciò la sua interpretazione non mi sembra plausibile.

Al di là di come va interpretato Aristotele, alla fine quel che conta davvero è esaminare se la filosofia nasce dal terrore. Ora, mi pare che il terrore, come la meraviglia, siano sentimenti afasici, siano cioè segnati o dal silenzio o da un primo grado, assai limitato, di verbalizzazione e perciò di razionalizzazione. Di regola, il terrore paralizza, ammutolisce, blocca o fa fuggire. Dal terrore non nasce il pensiero razionale, né esso lascia agio a che la ricerca si sviluppi. Perciò dire che la filosofia nasce dal terrore è sbagliato. Forse però la paura può essere un buon movente della ricerca, anche se non credo sia l’unico, né il migliore. La filosofia può nascere infatti da molti moventi: dall’ambizione, dalla vanità, dall’inquietudine e persino dall’odio e dalla brama di ricchezza (anche se quest’ultimo fattore non farebbe presa nella nostra società e non già perché siamo per il pauperismo). Può persino darsi che in effetti la filosofia di Severino nasca dalla paura: dalla paura per l’impermanenza, dalla paura per il divenire e il non essere. Un buon filosofo però dovrebbe saper vincere le sue paure: solo così lo sguardo si purifica, diventa più lucido. Il motivo per cui alcuni dicono che la filosofia nasce dalla meraviglia è che cercano un elemento emotivo motivante e unitario che stia alla base di tutti i processi di conoscenza filosofica. Ho già detto perché non mi pare che la meraviglia e il terrore siano candidati ammissibili alla soluzione. La paura poi manca del carattere di universalità: non vale in tutti i casi in cui la ricerca filosofica si attiva. Mi pare invece che sia la curiosità ciò che Aristotele avrebbe voluto porre all’origine della filosofia e che Severino ha mancato di individuare.

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