Contro la cortesia?

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In tempi in cui la mancanza di rispetto, l’insulto, la volgarità, la battuta razzista occupano le cronache quotidiane di questa povera estate italiana, è bene chiarire che il contrario della cortesia non è la scortesia o, peggio, l’insolenza (sempre da condannare), ma la comunicazione diretta e asciutta. Non essere cortesi, infatti, non significa essere scortesi, essere maleducati. Tra la cortesia e la scortesia vi è una zona neutra, una terra di nessuno in cui si può abitare e anzi molti vi dimorano, se non proprio stanziali, almeno di frequente.

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Ciò detto, posso ammettere che ho sempre pensato che la cortesia fosse un tema per educande e ruffiani, per gente che non ha la spina dorsale e cerca servilmente di manipolare gli altri. La cortesia mi sembrava il sinistro giocattolo di coloro che adorano le complicazioni inutili e superflue. Essi, tristi, hanno smarrito il piacere della semplicità. Per contro, in televisione e nella letteratura mi attraevano gli eroi schietti e diretti, quelli che dicono le cose in maniera chiara, senza giri di parole, senza manierismi, quelli che non si nascondono in formule insincere. Vedevo molte tragedie consumarsi a causa del dire indiretto e ne concludevo che anche per la cortesia dovesse valere la stessa fine: nulla di buono poteva certo venire dal suo stile laterale. Cortesia faceva per me il paio con ipocrisia.

Virgilio mi aveva messo in guardia dalle lusinghe dell’agire cortese: «Timeo Danaos et dona ferentes» (Eneide, II, 49). La cortesia, come gli antichi assedianti greci, mi sembrava pericolosa nel presentare come dono attraente ciò che finiva poi per tradire l’aspettativa, rivelandosi perfidamente letale. La piaggeria, una cortesia degenerata, è infatti un frutto attraente, ma velenoso, uno splendido cavallo di legno, pieno di nemici mortali. Caricavo sulla seconda, la cortesia, le responsabilità della prima e osservavo che di cortesia si può appunto morire per tradimento, però anche per noia. Com’è noioso quel cianciare frasi fatte, ingessate in formule e cliché che lasciano poco spazio alla fantasia e nessuno alla creatività! L’amore per uno stile diretto e asciutto, per contro, era in me rinforzato dal fatto che sono vissuto e vivo in Friuli, come parte di un popolo notoriamente ruvido, essenziale, spiritualmente estraneo alle formule ricercate. Mi ci sono trovato bene e ne ho apprezzato la trasparenza che rende il prossimo prevedibile, affidabile. Lo stato di cortesia zero mi pareva quasi una virtù evangelica e sospettavo del suo contrario: “Sia invece il vostro parlare si, si; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt, 5, 37). Che ci fosse qualcosa di sospetto nella cortesia mi veniva suggerito anche dal fatto che essa segna la distanza, separa, trattiene, controlla il pathos e gli impedisce di esprimersi di getto. Essa mi pareva fatta per uccidere lo slancio vitale, per bloccare la spontaneità, la vita, in una gelida morsa che tutto controlla.

Poi, un giorno, studiando le forme della normatività, mi sono chiesto che tipo di regole sono quelle della cortesia. Non ho trovato risposta, sul momento. Il tema, che mi aveva infastidito, da allora è diventato per me un puzzle irresistibile, fino a quando ho trovato una soluzione, anni più tardi. Al disagio intellettuale per un rompicapo impegnativo si è aggiunta nel tempo la scoperta che molte delle persone che stimo di più sono capaci di raffinate forme di cortesia e in genere più le stimo, più ne sono capaci e certo non le stimo in quanto ne sono capaci. Inoltre, ho osservato casi di geniale creatività nell’esprimersi cortese e il fatto che un gesto di cortesia può scaldare il cuore più di tanti abbracci. Nella cortesia, dovevo ammettere, c’è di più di quel che può sembrare a prima vista. Le sue formule per lo più meccaniche e rituali nascondono insomma una saggezza che va scoperta, o almeno questo è l’indizio che un giorno colsi e che oggi voglio lasciare.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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