Rompere il legame in nome del legame: il paradosso Moro

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Su La Ricerca, di recente, ho già discusso uno dei paradossi del legame sociale. Vorrei qui affrontarne un altro, che mi sembra tra i più affascinanti in filosofia sociale: l’ho chiamato il paradosso di Moro. Si può davvero rompere un legame in nome del legame?

moro

Il nome del paradosso rende omaggio al celebre film con Paul Scofield su Tommaso Moro, Un uomo per tutte le stagioni (1966), vincitore di sei premi Oscar. In esso vi è una scena (questa) particolarmente istruttiva per la sua paradossalità. Tommaso Moro, caduto in disgrazia presso il re, per non mandare in rovina anche il suo caro amico, il duca di Norfolk, decide di rompere l’amicizia che lo lega a questi. Se il fine è quello di non mettere in pericolo l’amico e la sua famiglia, il motivo della rottura dell’amicizia è proprio l’amicizia stessa. Sembrerebbe dunque che in nome del legame si possa rompere il legame stesso, come il film pare illustrare.

A pensarci bene, però, non dovrebbe essere possibile che il legame stesso porti alla propria rottura, dato che esso semmai porta con sé obblighi sociali che prevedono che il legame sia preservato. Infatti, quando si è legati a qualcuno si hanno obblighi verso di lui, ma anche obblighi verso il legame con lui (per esempio i così detti doveri di amicizia). Essi talvolta rendono il legame asfissiante, tuttavia di solito svolgono semplicemente la funzione di motivare alla fedeltà al legame stesso. Com’è dunque possibile che sia proprio in nome del legame che si rompe il legame?

Il paradosso, per rendere le cose più complicate, si accompagna a un conflitto dilemmatico per colui che deve decidere se rompere il legame: da un lato gli obblighi sociali di legame, dall’altro gli eventuali doveri morali e/o gli obblighi sociali che spingono alla rottura. Nel caso illustrato nel film, Moro si trova lacerato da una duplice spinta: da un lato gli obblighi verso il legame, di essere fedele all’amico, dall’altro lato la preoccupazione morale che l’amico e suo figlio non cadano in disgrazia a causa sua e la preoccupazione sociale di agire a favore dell’amico. Il secondo momento è predominante sul primo, perché a parità di obblighi sociali, nel secondo momento si ha anche una forte preoccupazione morale. Infatti Moro decide di rompere l’amicizia: si tratta di una scelta evidentemente drammatica, segno eloquente della presenza di un obbligo di legame violato. Per amore dell’amico, Moro decide di esprimergli con tutta la brutalità e l’esagerazione di cui è capace il giudizio che ha di lui e dei suoi pari al fine di spingerlo a rompere il rapporto. L’amicizia così ne è infranta per l’offesa inferta. Moro ha spinto Norfolk a prendere le distanze da lui, ora è isolato e questo è il preludio del tragico destino umano che lo attende. Se il legame a volte soffoca, fuori da ogni legame l’uomo finisce presto per perire. Nel film però, ancora una volta, le cose sono più complicate di come sembra a prima vista: Moro ha l’energia di tenere la posizione fuori dal coro che lo mette contro il re e contro gli amici, perché la sua fede lo lega a Dio ed è per la fedeltà a questo legame che egli accetta il rischio di diventare un eroe. Può sembrare fanatismo, ma è esattamente il contrario: proprio il legame con Dio lo aveva spinto in primo luogo a restare fedele a una linea di onestà e in secondo luogo al gesto di carità, attento al bene dell’amico e del figlio di questi, consistente nella dolorosa rottura dell’amicizia di cui s’è visto. Mentre il fanatico segue un’idea, qualsiasi ne sia il costo per sé e per gli altri, Moro resta fedele a un legame, quello con Dio, pagandone  di persona e fino in fondo il prezzo, mentre cerca di proteggere gli altri.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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