Una questione privata

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Paolo e Vittorio Taviani, dopo il bellissimo “Cesare non deve morire” (2012) e il non del tutto convincente “Meraviglioso Boccaccio” (2015), tornano a occuparsi del tragico periodo dell’ultimo scorcio del secondo conflitto mondiale.

Se ne La notte di San Lorenzo (1982) il centro della narrazione era costituito dalla storia corale di una piccola comunità in fuga dai rastrellamenti dell’esercito tedesco, in Una questione privata l’attenzione si sposta invece sull’individuo, sulla figura di un uomo solo messo di fronte al destino. Il film è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio, pubblicato postumo nel 1963, alcuni mesi dopo la morte dello scrittore piemontese.

Non ci avventureremo nelle insidiose sabbie mobili di una dissertazione su quanto il film sia fedele al romanzo. Trasformare un’opera letteraria in un film è, come ogni traduzione, un inevitabile tradimento, tanto più nel caso di forme d’arte e linguaggi profondamente diversi. Francamente non trovo mai interessante ripercorrere pedissequamente le pagine di un romanzo e di una sceneggiatura per scovare eventuali scostamenti o libere interpretazioni. Parlando di cinema è molto più importante valutare se il regista, confrontandosi con un’opera preesistente alla sceneggiatura, l’abbia messa in scena con fedeltà rispetto al suo mondo espressivo. In questo caso, se la messa in forma delle pagine di Fenoglio sia aderente ai canoni stilistici dei fratelli Taviani e alla loro poetica cinematografica. Se attraverso il loro autonomo percorso autoriale si siamo poi ricongiunti all’essenza dell’opera al suo significato più profondo.

Siamo tra le nebbie delle colline delle Langhe al tempo della Resistenza. Durante una perlustrazione, il partigiano Milton si ritrova per caso alla villa della bellissima Fulvia, partita per Torino allo scoppio della guerra. Una ragazza seducente e capricciosa conosciuta un anno prima e di cui Milton si era segretamente innamorato, così come lo era anche il suo fraterno amico Giorgio, ora partigiano in un’altra divisione.
Da un breve dialogo con la custode della Villa, Milton comincia a sospettare che l’amicizia tra Giorgio e Fulvia fosse in realtà una relazione molto più intima. In quell’istante il ricordo del suo amore per Fulvia si trasforma in una vera ossessione. Milton vuole assolutamente trovare Giorgio per parlare con lui e sapere cos’è realmente successo. La guerra, gli ideali della resistenza, la lotta armata perdono ogni significato, trasformando tutto in una semplice ma fondamentale questione privata.

Milton s’incammina verso un pericoloso viaggio nel suo mondo interiore. Accantona per un attimo la lotta partigiana per sprofondare in un’intima battaglia, dove deve combattere un nemico più insidioso, fatto di ricordi, speranze, sospetti, dubbi e rancori. Tra le avvolgenti nebbie delle Langhe cerca invano di trovare uno spiraglio di luce ai suoi interrogativi. Lo scenario della guerra si dissolve progressivamente nelle nebbie del paesaggio, Milton sembra un’anima persa, quasi immateriale, che si estranea dal contesto delle tragiche barbarie che lo circondano per seguire solo il suo personale dolore.
Comincia così una dolorosa discesa nella memoria, dove la linea del tempo interseca presente e passato alla ricerca di suggestioni, emozioni e tracce che possano in qualche modo fare chiarezza. Fedele a questa deriva individualista ed egocentrica del personaggio di Milton, il film lascia in secondo piano la grande storia, per concentrare l’attenzione narrativa e figurativa sul protagonista, lasciato solo della desolata ricerca di un senso ai suoi tormenti. Ritroviamo cosi un uomo messo a nudo di fronte al dramma dell’esistenza, del dolore, lacerato dal dubbio, dalla gelosia e ossessionato dal ricordo di un amore irreale, che è esistito solo nelle sue segrete speranze.

È proprio con questo intimo percorso narrativo che si misura in modo convincente il film dei fratelli Taviani. Un cinema a cui oggi, purtroppo, non siamo più abituati, fatto di visioni di spazi vuoti che inondano e riempiono lo schermo, di dense pause narrative, di silenzi espressivi, di sguardi, di un realismo capace di elevarsi verso l’universale, di superare l’immanente per dare senso ai sentimenti umani. Un cinema in cui i margini e i confini dell’inquadratura sembrano dilatarsi verso un ambiguo infinito.
Il paesaggio è reso ancora più straniante dall’opacità della foschia lattiginosa, che confonde non solo i contorni delle cose, ma anche dei ricordi, diventando elemento simbolico della dispersa e caotica geografia dell’anima. Un deserto esistenziale dove l’uomo si perde, solo e disorientato di fronte a sentimenti troppo profondi e violenti.
Milton appare così sempre fragile, più lontano dalla realtà, rarefatto come un’ombra nella nebbia, estraneo al mondo che lo circonda. Attraversa le colline delle Langhe in preda alla sua ossessione come un fantasma quasi invisibile, anche ai soldati fascisti. Se Milton non viene ucciso da una pallottola del nemico e forse solo perché è già morto da molto tempo, da quando Fulvia è partita.

Una questione privata
Regia: Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Con: Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy, Valentina Bellè, Francesca Agostini, Jacopo Olmo Antinori, Antonella Attili, Giulio Beranek, Mario Bois, Marco Brinzi, Fabrizio Colica.
Durata: 84 minuti
Produzione: Italia/Francia, 2017

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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