Le donne e il desiderio

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Kore-Eda Hirokazu è uno dei registi più apprezzati del cinema giapponese contemporaneo. Ha cominciato la sua carriera come documentarista, per poi esordire sul grande schermo con “Maborosi” nel 1995. Il grande successo internazionale è arrivato di recente con i film “Father and Son” (2013), che si è aggiudicato il Premio della Giuria al Festival di Cannes, e “Little Sister” (2015), sempre presentato in concorso al Festival di Cannes.

La sala cinematografica è un luogo in grado di creare un’atmosfera quasi magica. Il buio, il silenzio, la sospensione del tempo, la capacità delle immagini in movimento di suscitare emozioni profonde e ancestrali, esercitano da sempre un fascino arcano. Dal mito della caverna di Platone al ventre materno, sono molte le suggestioni, le metafore e i rimandi con cui si è cercato di interpretare questo senso d’immersione in un universo altro. Ogni volta che ci si abbandona alla visione di un film, si prova la strana sensazione di allontanarsi dalla realtà e di inoltrarsi in territori sconosciuti. A volte la sala cinematografica può essere anche una meravigliosa macchina del tempo, capace di trasportarci d’incanto in un’altra epoca, in un altro mondo, per vivere esperienze che non avremmo mai potuto neppure immaginare.

È proprio questa la sensazione che mi ha recentemente accompagnato durante la visione di un film. Non si è trattato di un viaggio in paesi esotici o epoche remote, ma solo di un breve ritorno a un recente passato. Un piccolo passo indietro rispetto al corso della storia ma così straniante da far sembrare quel tempo molto lontano.

Questa schizofrenia percettiva ha accompagnato la visione di Le donne e il desiderio del giovane regista polacco Tomasz Wasilewski. Il film è ambientato nella Polonia del 1990, subito dopo la caduta del muro di Berlino. Come sarcastica nemesi storica, l’opera è stata presentata al Festival di Berlino del 2016, dove si è aggiudicata l’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura originale.
Le donne e il desiderio mi ha riportato alla memoria frammenti di un mondo che non esiste più. Schegge di vecchi telegiornali in bianco e nero, immagini di giochi Olimpici con l’inno della DDR che dominava l’atletica femminile. Un passato demolito rapidamente, un universo velocemente assimilato dal mondo occidentale senza quasi lasciare traccia.

Il film racconta le vicende quotidiane di quattro donne, che intrecciano i loro destini sullo sfondo di un paese che sta cambiando. Quattro storie di latente insoddisfazione femminile, risvegliata dal desiderio di lasciarsi alle spalle il passato per costruire un futuro diverso. Forse influenzate dagli avvenimenti, come se la grande storia potesse finalmente dal loro coraggio, le protagoniste interpretano il sentimento di rinnovamento sociale ed economico che si respira, cercando di portarlo nelle loro vite private.

Iza, direttrice di una scuola, non vuole più vivere clandestinamente la sua relazione con un medico. Sua sorella Marzena, archiviate le velleità da ex reginetta di bellezza, non riesce più a sopportare la lontananza del marito, emigrato in Germania per lavorare. Come se non bastasse, è anche oggetto delle ambigue attenzioni di Renata, una vicina di casa sola e depressa. Agata, infine, vive la noiosa vita familiare come una prigione.

Storie che si sfiorano, scorrendo parallele quasi senza toccarsi, soffocate nel freddo inverno dei cuori. Il grigiore che avvolge le vite delle quattro donne è ben rappresentato dal tono cromatico dominante del film. La fotografia è volutamente sbiadita, dominata da colori pastello che sfumano quasi in un bianco e nero senza contrasti, pallido e piatto. Le tenui tinte disegnano visi e corpi esangui, emaciati, svuotati di vitalità.

Uomini e donne immersi in un mondo di architetture razionaliste post-sovietiche, che trasmettono un geometrico squallore, un senso di vuoto e di solitudine esistenziale, specchio del disagio emotivo dei protagonisti. Paesaggi disadorni, spazi anonimi, dominati da un vuoto straniante. Il desiderio di cambiamento delle protagoniste si esaurisce in una sterile presa di coscienza delle loro frustrazioni, senza riuscire a esprimere quella vitalità creativa e rivoluzionaria, necessaria per aprire una strada verso la felicità. Il “regime”, l’ordine e la disciplina, sembrano cosi introiettati, da diventare una sorta d’intima ideologia del cuore.

Il cambiamento si risolve in atti di trasgressione, destinati solo ad acuire il senso di disagio esistenziale, senza approdare a una nuova coscienza di sé. Ciò che le donne desiderano resta ancorato sul fondo della loro intimità. L’affiorare di qualche velleitario sprazzo non è sufficiente a portare a galla i loro veri sentimenti. Se il muro che divideva i due blocchi ideologici è stato abbattuto a martellate, le dure stratificazioni sedimentate dal tempo sul cuore delle donne sembrano resistere più a lungo. Creature inquiete e incomprese sono lasciate sole in questa battaglia.

Gli uomini sembrano non accorgersi di nulla, non riuscire a entrare in comunicazione con loro. Sono il vero muro, così duro da non riuscire neppure a interpretare uno sguardo o una lacrima. E se le donne faticano e vivere i loro desideri, gli uomini sembrano immobili nel tempo, immutabili, obsoleti come una vecchia Trabant.

Le donne e il desiderio
Regia: Tomasz Wasilewski
Con: Julia Kijowska, Magdalena Cielecka, Dorota Kolak, Marta Nieradkiewicz, Andrzej Chyra, Lukasz Simlat, Tomek Tyndyk
Durata: 104 minuti
Produzione: Polonia/Svezia, 2016

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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