Il viaggio

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Il viaggio ha sempre rappresentato un momento fondante dell’esperienza di vita. Fin dall’antichità ha assunto il significato non solo di uno spostamento fisico o di un’esplorazione di nuovi territori, ma anche di mezzo per mettersi alla prova, rito d’iniziazione, occasione di mutamento interiore. Viaggiare è lasciarsi alle spalle il passato, aprirsi a nuovi incontri, andare verso il futuro e l’ignoto: è mutare, diventare qualcun altro, percorrere un cammino interiore verso una conoscenza più profonda di se stessi. È rinnovamento, catarsi esistenziale, ma anche fuga, esilio.

Il viaggio di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden verso il mondo terreno, le avventure di Ulisse venate dell’eterno tema del νόστος, il pellegrinaggio alla Mecca dei musulmani, i pellegrinaggi cristiani a Gerusalemme, Roma, il cammino di Santiago de Compostela, sono esempi di come secoli di cultura e religione abbiano rivestito il viaggio di significati. Avvicinandosi ai nostri tempi, pensiamo al Viaggio in Italia di Goethe e alla moda dei Gran Tour. Il viaggio è un’esperienza fondamentale per comprendere le differenze, relativizzare il proprio punto di vista, confrontarci con altri, crescere. È una fonte inesauribile di conoscenza, di arricchimento culturale e di saggezza.

Forse a tutto questo hanno pensato, anche inconsciamente, i fautori della trattativa di Saint Andrews, che doveva finalmente portare alla pacificazione dell’Irlanda del Nord. Da qui parte il film di Nick Hamm.
Dopo 40 anni di duri scontri e battaglie politiche, i due leader politici dell’Irlanda del Nord, il repubblicano del Sinn Féin Martin McGuinness e il predicatore protestante Ian Paisley, capo del Partito Democratico Unionista, si incontrano in Scozia per discutere uno storico accordo di pace. Martin McGuinness, da sempre vicino all’IRA, ha ormai abbandonato l’idea della lotta armata ed è pronto a discutere del futuro lasciandosi alle spalle un passato doloroso e drammatico. Ian Paislay, duro e intransigente oppositore dei cattolici e fedele al governo di Londra, sembra invece non perdonare i vecchi scontri e non voler dimenticare decenni di violente battaglie. Quando la trattativa sembra in una fase di stallo, grazie a un escamotage ordito a loro insaputa, i due leader politici sono costretti a intraprendere insieme un viaggio in auto di alcune ore verso l’aeroporto di Edimburgo. La speranza è che lontano dagli ambienti istituzionali si stabilisca un minimo di empatia e di comunanza d’intenti per riuscire a portare a termine la trattativa.

Chiusi in un’auto che percorre sotto la pioggia la campagna scozzese, riusciranno i due uomini a dimenticare i vecchi rancori? Saranno più forti le ruggini sedimentate dal passato o il desiderio di lasciare alle nuove generazioni un paese capace di ritrovare la strada della pace sociale e della convivenza religiosa?
Il film vive fondamentalmente di due ambientazioni diverse e antitetiche: l’auto e i boschi. Lo spazio claustrofobico dell’abitacolo della macchina, che costringe i due antagonisti a una vicinanza forzata, porta la discussione verso un confronto acceso e serrato, che assume spesso le connotazioni di uno scontro. Ma quando, a causa di una sosta nella foresta per un piccolo incidente di percorso, i due protagonisti scendono per una breve passeggiata tra i boschi, tutto cambia. Al sarcasmo e alle battute pungenti si sostituiscono aneddoti intimisti, confessioni, rimorsi e momenti d’inattesa empatia. La passeggiata nel silenzio della natura sembra restituire ragionevolezza, il ritmo lento dei passi e la presenza di un ambiente che infonde quiete e serenità portano i due vecchi nemici a camminare, l’uno a fianco dell’altro, in un percorso simbolico che preannuncia un possibile disgelo.

L’opera vive sostanzialmente sulla sceneggiatura, sui dialoghi tra Martin McGuinness e Ian Paisley, sui loro silenzi, sui loro sguardi dapprima taglienti e guardinghi, poi sempre più comprensivi. Da un punto di vista narrativo il film mette lo spettatore nella privilegiata condizione di assumere uno sguardo di secondo grado sulla vicenda: il montaggio alterna sequenze in cui osserviamo agire i due protagonisti, a sequenze in cui ci è mostrata anche la fonte delle immagini, ovvero una telecamera nascosta nell’auto e controllata dagli schermi di una sala riunioni con Tony Blair e le alte cariche dei servizi segreti e della diplomazia. Un gioco metalinguistico che svela le carte e denuncia come il viaggio non sia poi tanto casuale. Ogni cosa che accade sull’auto è in qualche modo programmata a tavolino, frutto di una meta-sceneggiatura che si sovrappone al film stesso. Un abile sdoppiamento di piani narrativi svela l’architettura del film.

Il nostro sguardo prende le distanze, consapevole di trovarsi in una sorta di finzione al quadrato, con una doppia regia, manifesta e occulta. Un disvelamento progressivo della macchina del cinema come strumento creatore di senso, che partecipa alla messa in scena di una doppia realtà, verosimile e manipolata. Un gioco di scatole cinesi che denuncia il continuo inganno del cinema, ma anche della politica e della diplomazia. E questo, forse, dovrebbe preoccuparci.

Il viaggio
Regia: Nick Hamm
Con: Timothy Spall, Colm Meaney, Toby Stephens, Catherine McCormack, Ian McElhinney, Barry Ward, Ian Beattie, Freddie Highmore, John Hurt
Durata: 94 minuti
Produzione: UK, 2016

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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