Vizio di forma

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Se vi piace la scrittura di Pynchon, se siete appassionati di romanzi hard boiled e di cinema nero americano e amate come un fratello Jeffrey Lebowski, questo è il vostro film!

Finalmente un bel film. Di quelli che dalle oscure spirali della memoria ti fanno riaffiorare alla retina i frammenti confusi di fotogrammi di grande cinema e di pagine della letteratura americana, e t’inabissano a riflettere sul caotico, casuale e sfuggente nonsenso dell’esistenza.
Paul Thomas Anderson, già autore di Boogie Nights, Magnolia, Il petroliere, The Master, questa volta prende spunto dalle pagine da una delle voci più innovative, anticonformiste e rivoluzionarie della letteratura americana contemporanea: Thomas Pynchon. Padre spirituale della letteratura postmoderna, autore dalla scrittura complessa, contorta, densa, labirintica, irrisolta, generatrice di sospetti, di caotici dubbi, di paranoici complotti.
Sembrava una sfida quasi irrealizzabile portare sullo schermo Pynchon. Invece “Inherent Vice – Vizio di forma”, o meglio vizio intrinseco (ambigua espressione del linguaggio giuridico, che allude a un difetto degli atti formali, che in assenza di alcuni elementi essenziali appaiono “viziati” e quindi non validi), si è rivelato un romanzo più lineare e cinematograficamente addomesticabile rispetto alla precedente produzione di Pynchon.
Tanto da far affermare al noto giallista Michael Connelly: «Io sono felice e orgoglioso che Pynchon si unisca a noi. Quando uno scrittore scopre quello che noi giallisti abbiamo capito da tempo – e cioè che il crimine racconta l’America meglio di tanti altri generi, compresa la cosiddetta “fiction letteraria” – io sono davvero felice».
Un film che si muove su rotte eccentriche, un’indagine che non procede verso la chiarezza e la messa in luce di una logica soluzione. L’accumulo d’indizi, informazioni, personaggi, non fa progredire la narrazione verso la comprensione, ma verso una crescente entropia, verso la moltiplicazione delle ipotesi, dei rimandi, delle rifrazioni, come dentro un caotico caleidoscopio colorato, che tutto dissolve. Forse il mondo è governato davvero dalla tavoletta ouija con cui giocano in un flash back i protagonisti del film. Il disorientante moto degli eventi sembra andare alla deriva nel tramonto di una Los Angeles anni ’70 ormai scolorita, che si agita tra le macerie delle illusioni rivoluzionarie e psichedeliche dei figli dei fiori con sussulti sempre più violenti e cupi. Un’atmosfera dai colori sgualciti e malinconici, che Paul Thomas Anderson ha ricreato utilizzando per le riprese del film una pellicola scaduta, forse appartenente a quel passato metafisico che permea tutta l’opera. Un film crepuscolare e disilluso, come il protagonista: l’investigatore privato Larry Doc Sportello. Un uomo che sembra aver già vissuto il meglio della sua esistenza e si trascina in un presente senza tempo, tra i ricordi e il ricorrente rimpianto per l’ex fidanzata Shasta. Una figura di detective che porta al parossismo lo sguardo stanco del Philip Marlowe altmaniano de Il lungo addio e il mood di tanti personaggi incarnati da Robert Mitchum. Doc Sportello riunisce, nella sua sbandata indagine, il mondo surreale di Jeffrey Lebowski e il tramonto dell’universo chandleriano. Un percorso straniante, popolato da detective psicopatici e caricaturali, sette di nazisti, massoni, tossici di ogni tipo, avvocati, poliziotti corrotti, rock star allo sbando, agenti federali al limite dell’autismo, improbabili dentisti. Vibranti risonanze che rimandano al miglior cinema dei Coen e di Tarantino.
Shasta si presenta da Doc in cerca di aiuto, seducente come non mai. Doc sa benissimo che dovrebbe tenersi alla larga da un oscuro e sporco affare di tradimenti, rapimenti e ricatti e sa anche in che razza di guai si sta ficcando, ma non si può dire di no a una “fiamma del peccato”. Comincia cosi per Doc un viaggio allucinante nell’abisso di Los Angeles, con l’immediata accusa di omicidio e di rapimento. È solo il benvenuto nel caos di una città in disorientante decomposizione, in cui i confini di ogni cosa si sciolgono nel possibile, negli sguardi vuoti e sperduti, nelle visioni distorte di un ipnotizzante effetto di straniamento. Una stagione, un’epoca, un mondo sembrano trovare espressione solo in un sentimento di dolorosa nostalgia. L’amore perduto di Doc diviene metafora esistenziale, non solo del protagonista, ma del genere umano e della società intera: di un originale “vizio di forma”.
Non sorprende che gli Oscar abbiano guardato altrove, e non verso il lato oscuro e caotico dell’esistenza.

VIZIO DI FORMA (Inherent Vice)

Regia: Paul Thomas Anderson
Con: Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Eric Roberts, Josh Brolin, Benicio Del Toro, Reese Witherspoon, Jena Malone, Owen Wilson.
Durata: 148
Produzione: USA, 2014

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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