Divulgare l’arte

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Due convegni dedicati alla comunicazione della storia dell’arte, organizzati a Roma e a Milano a una decina di giorni di distanza, ci fanno capire che l’argomento è di grande attualità. Come trasmettere l’arte al grande pubblico, uscendo dai confini del più ristretto specialismo senza cadere nella banalità?

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Il primo convegno, dal titolo La comunicazione della storia dell’arte: fronti, confronti e frontiere, è stato organizzato a Roma dalla Consulta Universitaria Nazionale di Storia dell’Arte, e ha coinvolto storici dell’arte, editori e giornalisti.
Il mondo accademico è spesso lontano dal mondo della comunicazione. Frequentemente, inoltre, la divulgazione non è vista di buon occhio in ambito universitario, anche se la comunicazione di un sapere è espressamente prevista dall’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca) come terza missione degli enti di ricerca. Le università sono tenute a interagire con la collettività, producendo beni “che aumentano il benessere della società”, dal punto di vista culturale, sociale, educativo o di consapevolezza civile.
Da parte dei media, l’attenzione ai beni culturali scatta prevalentemente in presenza di un’emergenza, di una polemica, di una grande scoperta, di uno stato di degrado o di un furto da denunciare. Nella mostra romana sui sessant’anni della RAI, ben poco spazio (giusto un paio di video) è stato dedicato alla presenza di programmi culturali dedicati all’arte, quasi dimenticando che il giorno delle prime trasmissioni, nel 1954, è andato in onda proprio un programma culturale, Le avventure dell’arte: Giambattista Tiepolo, curato da Antonio Morassi.
Così scopriamo, nel corso del convegno, che dal punto di vista del marketing la parola “arte” non attira, è considerata noiosa, e che la divulgazione richiede la traduzione di contenuti scientifici in termini e tempi televisivi, oltre alla presenza di un “mediatore”, un divulgatore carismatico che comunichi piacevolmente l’arte e sia possibilmente anche un po’ attore.
Per quanto riguarda la stampa, invece, sono le mostre a occupare la maggior parte delle informazioni sul mondo dell’arte, quasi sempre in modo acritico e prevalentemente pubblicitario.

Ci possiamo chiedere quale sia lo scopo della divulgazione dell’arte. Quello di far conoscere una disciplina e i suoi meccanismi o quello di diffondere la conoscenza, la consapevolezza e, di conseguenza, il rispetto del patrimonio artistico? Penso sia soprattutto questo lo scopo principale della divulgazione: la storia dell’arte per conoscere il patrimonio culturale e come via per l’educazione alla cittadinanza.
Il secondo convegno, Modi di vedere. Forme di divulgazione artistica in televisione, è stato organizzato nelle sale della Triennale, dalle Università IULM e Cattolica di Milano. In questo caso l’attenzione era completamente incentrata sulla divulgazione televisiva.
Sono stati esposti vari esempi. Il conduttore televisivo (mediatore culturale) chiama l’esperto nella sua trasmissione. In molti casi, però, è lo stesso conduttore a trasformarsi, in modo piuttosto improprio, in esperto. D’altra parte, è diffusa da sempre l’idea che di arte si intendono tutti e tutti ne possono parlare con competenza. In altri casi, la divulgazione può assumere la forma di una lezione televisiva, dal sapore decisamente scolastico, o può documentare un evento, come nel caso di una grande mostra.
Anche in questo convegno scopriamo cose interessanti: la più efficace trasmissione del sapere attraverso il mezzo televisivo avviene in maniera indiretta. La sensibilità e l’attenzione per il patrimonio artistico passano quindi, preferibilmente, attraverso programmi di grande visibilità. È lo stesso principio per cui i voti alle elezioni si conquistano attraverso programmi che apparentemente non si occupano di politica.
Mi viene in mente la fortunata serie di Don Matteo, sceneggiato attraverso cui la regione Umbria ha promosso la conoscenza delle sue belle città e dei suoi paesaggi, o al ruolo chiave della serie televisiva dedicata al Maresciallo Rocca, con Gigi Proietti, nella promozione turistica di Viterbo.

La televisione, inoltre, può contare su un’arma potentissima: la ripetizione. Attraverso la ripetizione, i contenuti che comunica diventano, in modo inconsapevole, parte del sapere collettivo, luoghi comuni. Questo aspetto dimostra quale responsabilità abbia, ancora oggi, il mezzo televisivo.

Alla fine degli anni Ottanta, una bellissima trasmissione sperimentale, Immagina, in onda sul primo canale Rai, si poneva l’obiettivo di esplorare “i segni e i sogni del nostro tempo, dominato dall’immagine”. Ne era autore Paolo Giaccio, già noto per aver realizzato il programma Odeon. Tutto quanto fa spettacolo e Mister Fantasy con Carlo Massarini, un programma di “musica da vedere”, dedicato ai videoclip.
Ideatori e consulenti di Immagina erano i semiologi Omar Calabrese e Paolo Fabbri. Anche l’ambientazione era innovativa. Delle scenografie si era occupato Fabrizio Plessi, con videoinstallazioni collocate negli immaginari sotterranei della Fontana di Trevi.
Aspettavo con impazienza questo programma del giovedì sera. La conduttrice, Edwige Fenech, intervistava uno dei miei docenti universitari preferiti, Omar Calabrese, appunto, che spiegava, attraverso la finzione di uno schermo nello schermo, il mondo dell’arte e delle immagini: dai video ai fumetti, dalla pubblicità alla computer grafica. La sigla finale era un altro piccolo capolavoro: il video del regista polacco Zbigniew Rybczyński sulle note di Imagine di John Lennon. Sullo sfondo di Manhattan, un’interminabile sequenza orizzontale di stanze dalle cui porte passavano, crescendo e cambiando, bambini e adulti, per poi ritornare, con l’ultimo fotogramma, alla stanza iniziale con un piccolo triciclo.

Lo confesso: accendendo la televisione vorrei ritrovare un programma così.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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