Un Grand Tour nel Museo Piranesi

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Già qualche anno fa scrissi su queste colonne un breve articolo che voleva dare il quadro culturale della Roma settecentesca dove imperversavano – con funzioni, attività e idee diverse – Giovan Battista Piranesi (1720-1778) e Johan Joachim Winckelmann (1717-1768), accomunati però da un grande amore per il mondo antico.  In questo 2017 entrambi questi grandi personaggi ritornano alla ribalta: Winckelmann per alcune iniziative che ne celebrano i 300 anni dalla nascita, mentre Piranesi perché è appena venuta alla luce una pubblicazione destinata a illuminare per molti anni gli studi sul nostro. È infatti uscito, dopo una ventennale gestazione, il Museo Piranesi di Pierluigi Panza, edito da Skira (pp. 582, euro 45), volume che gli addetti ai lavori auspicavano da tempo di poter consultare.

Giovan Battista Piranesi, antiquario e mercante

Quello che Panza, già autore di un’avvincente biografia di Piranesi1, va ad indagare, non è tanto il Piranesi incisore, sulla cui bravura e originalità gli storici dell’arte hanno già speso fiumi d’inchiostro, bensì il Piranesi antiquario, mercante, restauratore, la cui casa-museo di Palazzo Tomati a Roma era meta di un vero e proprio pellegrinaggio da parte di nobili ed eruditi d’ogni parte d’Europa.
Sì, perché in quegli anni nell’Urbe si apriva uno scavo dopo l’altro, dal quale riemergevano statue, lapidi, urne, suppellettili antiche; oggetti che gli stranieri impegnati nel Grand Tour consideravano perfetti souvenir con i quali adornare le proprie lussuose dimore.
Tali reperti, però, talora denunciavano il tempo trascorso mostrando lacune, fratture, deterioramenti vari che l’atelier piranesiano “riparava” con tanta perizia quanta astuzia; Piranesi, infatti, al pari dell’amico-rivale Bartolomeo Cavaceppi, offriva ai suoi facoltosi clienti manufatti marmorei lussuosamente rinnovati, arricchiti di particolari decorativi cari al gusto dell’epoca e divenuti talora dei veri e propri eclettici pastiches diversissimi dall’originale.
E i collezionisti inglesi, francesi, tedeschi, russi, svedesi, impazzivano davanti alla grande bellezza di queste fantastiche creazioni, degne di quella “mente nera” che la grande Marguerite Yourcenar2 ha attribuito al nostro; nostro che sarà stato anche un po’ umorale e stravagante, ma che – dicono le fonti – con le sue vendite divenne assai noto, anche se certamente non così ricco come qualcuno insinuava.
Tra l’altro Piranesi, nato a Mogliano Veneto, poté godere in quegli anni della presenza sulla cattedra di Pietro del veneziano papa Clemente XIII (1758-1769), nato Carlo della Torre Rezzonico, con la cui famiglia aveva una certa familiarità: e – si sa – se vivi a Roma e sei amico del papa e di qualche cardinale, le cose troppo male non possono andare…

  • xGiovan Battista Piranesi
  • xUn foglio di Vasi, candelabri etc…
  • xUn foglio delle Antichità romane
  • xParticolare di un oggetto piranesiano
  • xLa collezione del Museo Soane, Londra

L’indagine di Pierluigi Panza

Pierluigi Panza, in questo libro, espone i risultati di una “caccia grossa” che lo ha portato a rintracciare un gran numero di questi oggetti oggi sparsi per il mondo: molti di essi erano non solo passati per Casa Piranesi, ma anche stati incisi a mo’ di catalogo nei meravigliosi fogli intitolati Vasi, candelabri, cippi… che Giovan Battista non portò mai a completa redazione. Non contento di tutto questo, lo studioso (che è docente universitario e giornalista del «Corriere della Sera») ha anche provato a ritrovare altro materiale archeologico “piranesiano” che il grande incisore veneto vide e riprodusse in alcune sue opere grafiche – in primis le Antichità Romane del 1756 – e che gli servì di ispirazione per la sua attività di art dealer.

Insomma: in tutto Panza ha censito 270 pezzi sparsi ora in 43 località, conservati sia in alcuni musei, sia in varie collezioni private. Per quanto concerne i musei, la parte del leone la fa – più ancora dei Musei Vaticani, del British Museum o dell’Ermitage – il “Museo di Antichità Gustavo III” di Stoccolma, con ben 90 pezzi; il sovrano svedese, infatti, dopo una lunga trattativa, acquistò nel 1785 la maggior parte dei marmi che il defunto Piranesi aveva lasciato ai suoi litigiosi eredi, tra i quali il figlio Francesco (anch’egli buon incisore) che della raccolta paterna fu il liquidatore.
Il primato delle collezioni private – cioè 19 diverse – spetta invece all’Inghilterra, e ciò non ci deve stupire poiché sono molte le incisioni nelle quali Piranesi padre ricorda a mo’ di omaggio i suoi fedeli clienti britannici.

Il Sir John Soane’s Museum di Londra

La mia recensione deve ora fermarsi qui, perché questa non è la sede per entrare nel merito delle varie questioni che il volume tratta, né per commentare le ricchissime e dottissime schede dei diversi oggetti. Ma la mia “doppia anima” da un lato di amante e studioso di Piranesi (ne ho studiato il rapporto con l’epigrafia latina) e dall’altro di recensore e divulgatore, mi obbliga a una piccola “coda” tra il turistico e l’erudito.
Panza dedica infatti alcune pagine (pp. 363-379) allo straordinario Sir John Soane’s Museum, cioè la casa-museo londinese dell’omonimo architetto-antiquario (1753-1837) che durante il suo Grand Tour conobbe il Piranesi ormai anziano e negli anni successivi acquistò sul mercato delle antichità numerosi oggetti del suo atelier o che a questo si ispiravano.
Il mio invito è quello di visitare questo bizzarro e affascinante museo, e di farlo con quello stesso spirito settecentesco – in bilico tra ragione e sentimento – che Panza dice di avere usato nello scrivere il suo libro; libro che pertanto non è solo una miniera di razionali informazioni per gli studiosi, ma anche un’opera che invita il lettore appassionato a intraprendere un viaggio sentimentale verso quel che Settecento che – pur se cultore dell’antico – è stato il secolo che ha “inventato” la modernità.

Addendum

Il 16 ottobre, in una sala della Pinacoteca di Brera di Milano, il volume in oggetto è stato presentato dall’autore insieme con illustri personaggi, come Aldo Bassetti, Andrea Carandini, Philippe Daverio e Carlo Orsi. Mi capita abbastanza spesso di partecipare ad eventi simili, ma quasi mai di vedere una pur grande sala così piena, e così popolata da importanti figure della cultura milanese (e non solo). Sicuramente questo pubblico voleva omaggiare l’autore di un volume così rilevante, ma – credo – ancor più era attratto dalla figura del protagonista del volume, il cui fascino è davvero senza tempo. Sì, vedere in questi tempi un po’ così (canterebbe Bruno Lauzi) persone di ogni età in piedi per un’ora a sentir parlare di Piranesi, è stata cosa piacevole quanto inattesa: anche di questo, grazie davvero al bravo Pierluigi Panza.

NOTE

1. Pierluigi Panza, La croce e la sfinge. Vita scellerata di Giovan Battista Piranesi, Bompiani, Milano 2009.
2. Marguerite Yourcenar, La mente nera di Piranesi, edito in Francia col titolo Le cerveau noir de Piranèse in Sous bénéfice d’inventaire, Parigi 1962; la sua prima traduzione italiana è del 1985 (Bompiani, Milano), ma ne esiste una recentissima riedizione del 2016 per i tipi dell’editore Pagine d’Arte, Lugano.

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